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TUTTO IL CATANIA MINUTO PER MINUTO

ottobre 25, 2012

TUTTO IL CATANIA MINUTO PER MINUTO
Geo edizioni

In collegamento con il dibattito su LetteratitudineBlog: “Il Pelè del Sacro Cuore”

A fine post, per gentile concessione degli autori, pubblichiamo gli aggiornamenti del libro relativi alle stagioni successive al 2011

Patrocinata dall’Università degli studi di Catania, è disponibile in libreria la seconda edizione di “Tutto il Catania minuto per minuto”, enciclopedia storica del calcio rossazzurro dalle origini al 2011. Si tratta di cinquecento pagine che ripercorrono cent’anni di storia cittadina attraverso foto, tabellini, aneddoti e personaggi protagonisti del pallone all’ombra dell’Etna. Scritta da Antonio Buemi, Carlo Fontanelli, Roberto Quartarone, Alessandro Russo e Filippo Solarino, edita dalla Geo Edizioni di Empoli, la prima edizione è andata esaurita in appena sei mesi; si è provveduto quindi ad aggiornarla con l’ultimo entusiasmante campionato e ad aggiungere altre foto e dettagli nei restanti ottanta capitoli. È stata inoltre inserita la postfazione firmata dal professor Tino Vittorio, che correda il volume insieme alle prefazioni di Damiano Morra e Ignazio Marcoccio.

«Un libro ciclopico», lo ha definito Giovanni Finocchiaro. «La sua bellezza – ha affermato Gaetano Sconzo – risiede nel fatto che mai era stato fatto uno sforzo simile nel catalogare tutti i giocatori e tutte le gare ufficiali del Catania. Contiene perfino il resoconto della preistoria del calcio all’ombra dell’Etna fino al 1929 e l’inedito excursus della società rossazzurra prima della Seconda guerra mondiale».

Lo scorso anno “Tutto il Catania minuto per minuto” è stato presentato presso la Biblioteca Livatino e la libreria Cavallotto; in collaborazione con la Provincia Regionale di Catania è stata inoltre organizzata dagli autori la mostra fotografica “Il calcio a Catania tra le due guerre”, un atto di ricostruzione storica di un periodo calcistico colpevolmente dimenticato. Quest’anno la II edizione è stata presentata nell’Aula Magna della facoltà di Scienze politiche e sono in programma altri eventi che puntano a diffondere la cultura dello sport sano e la memoria storica di Catania. Sta per concludersi, per esempio, l’iter che porterà all’intitolazione di una via a Géza Kertész, primo allenatore vincente della storia del Catania ed eroe di guerra.

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Una storiella d’inizio anno

In quel capoluogo di Trinacria che ha per stemma l’Elefante vivono quattro vispi giovanotti, simpatici e birichini e tra loro amici veri. Sin da quando sono in fasce, a ciascuno di questi baldi ragazzetti è stato raccomandato di voler bene a una vecchina coi capelli sottilissimi e bianchi come la neve. È lei assai buona e tanto cara ma di salute oltremodo cagionevole e affettuosamente ciascun di loro la chiama nonna. Or che son proprio grandicelli, non passa settimana in cui, nel giorno consacrato a nostro Signore, i giovinetti manchino di andar a casa dell’amata nonnina, in pieno centro cittadino. Le chiedono se si sente bene e in braccio portano un cesto di doni per essa medesima. Ogni santa domenica che il buon Dio manda in terra, con quattro block-notes in mano e otto voraci orecchie spalancate le implorano di raccontar loro la storia della sua vita. In verità, ora la nonnetta pare in buona salute ma in passato deve aver avuto guai seri e financo superato tre o quattro delicati interventi chirurgici. Un caldo pomeriggio estivo di diciannove anni or sono, leggenda vuole che avesse stretto la mano destra a San Pietro, e che questi le fece poi segno di accomodarsi in Paradiso. Ma quella gagliarda aveva rifiutato l’invito e se n’era tornata sulla terra più vispa che mai. Ma poi gli acciacchi erano ripresi quasi senza sosta, purtroppo. “Come è possibile” – va ripetendo da un po’ il più giovane dei quattro- “che la nostra cara nonnetta dimostra molti anni in più di quelli che lei realmente ha?” “Che vuoi farci” – gli rispondono a coro gli altri tre ragazzetti- “non tutti se lo bevono l’elisir della giovinezza!” Ma quello, il più piccolo dell’allegra combriccola è uno che la sa lunga e un giorno se ne va di nascosto all’ufficio dell’anagrafe, che si trova vicino al Castello Ursino. E a quelli che ci lavorano lì dentro gli spiega la storia e tira fuori tutti i suoi dubbi. Gli dice insomma agli impiegati che deve esserci un errore grande quanto l’oceano, che la vecchina deve avere più dei sessantasei anni che si dice in giro che le ci ha. “Vattene via di qua, sbarbatello!” gli risponde il portinaio che gli molla pure un ceffone. “Non farti mai più vedere, moccioso, hai capito?” Gli fa eco un altro brutto tipo. Lo sbarbatello però che come dicevo qualche rigo fa è uno che la sa davvero lunga a un certo punto fa una cosa che non si dovrebbe fare ma a volte si fa perché è meglio così. Insomma, dall’ufficio dell’anagrafe il ragazzetto si ruba una cartella rossa come la lava dell’Etna. Su questa benedetta carpetta rossa c’è una grande scritta di un colore azzurro come il cielo: “SON GUAI SERI PER CHI SCOPRE IL MIO SEGRETO”. Ansimante, il giovanotto scappa via dai tre amichetti con il fascicolo in mano. Dentro quest’incartamento rosso fuoco redatto il certificato di nascita della vecchietta e c’è scritto propriamente così: “Catania, 27 giugno 1929. Costituzione della SOCIETA’ SPORTIVA CATANIA“. Ordunque l’arzilla nonnina in rossazzurro ha la bellezza di diciassette anni in più: ottantatre e non sessantasei.

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AGGIORNAMENTI PUBBLICATI NEL MESE DI LUGLIO 2015

2010-‘11: Serie A

A caccia di record

Mister Marco Giampaolo da Bellinzona

Archiviata la brillante rimonta valsa la quinta permanenza di fila in A, è già l’ora dei saluti a Siniša Mihajlović. Il tecnico rinuncia al secondo anno di contratto preteso al momento dell’ingaggio e decolla per Firenze. Va lì a coltivare le sue ambizioni il serbo e intanto la società apre la caccia al successore: Marco Giampaolo. Il nuovo stratega è un sostenitore convinto del 4-4-2. Particolarmente preparato sotto il profilo tattico, ama il gioco corale. Ha 43 anni, è nato in Svizzera e promette scintille: «Il Catania è il mio salto di qualità. Sono impaziente di iniziare la nuova avventura e ai tifosi dico soltanto che non li deluderò». Ma gli ultras per ora hanno altri pensieri, ché è arrivato il momento della tessera del tifoso, un documento inventato dal Governo per facilitare il controllo dell’ordine pubblico negli stadi. Si sentono schedati i ragazzi che la domenica cantano e colorano le curve del “Massimino” e ribadiscono un secco “NO” a questa iniziativa che sembra loro «un ulteriore passo avanti verso un calcio contaminato dal business, l’ultimo tassello di un progetto di assurda repressione mirata ad eliminare il nostro movimento fatto di pura passione e sentimenti veri».

Parte così con un handicap la nuova armata rossazzurra, che nel DNA ha la necessità del calore del pubblico. Non di meno, in fase di campagna acquisti c’è da esser soddisfatti. Resta appiccicato alle falde dell’Etna Maxi López, che pure si è guadagnato una folla di estimatori in Italia e all’estero. Epperò si rinuncia a un giocatore chiave; si tratta di Jorge Martínez, che passa alla Juve in cambio di 12 milioni. Ma radio mercato non smette di gracchiare su ulteriori partenze eccellenti. Il tormentone riguarda Marco Biagianti, entrato nelle mire del Palermo. Ma come spiegare ai propri fan un salto ad occidente, dopo i derby da sogno giocati con lo stemma dell’Elefante sul petto? Perfino il patron rosanero Zamparini frena: «Non vorremmo fare lo stesso errore commesso prendendo Caserta». Non chiarisce i termini della questione Lo Monaco che si limita ad annunciare: «Il ragazzo è pronto ad adeguarsi alle scelte della società». Alla fine non se ne fa nulla e son tutti contenti. Ai nastri di partenza, ordunque, l’organico si presenta pieno di volti noti: i guardiapali Andújar e Campagnolo con il resto della difesa, da Capuano e Marchese ad Álvarez e Potenza, passando per Silvestre e Spolli, con Terlizzi, Bellusci e Augustyn come alternative credibili. A metà campo, con Biagianti c’è il baluardo Carboni, l’inossidabile Izco, il sempre atteso Ledesma, oltre a Sciacca, Delvecchio e Pesce. E c’è pure Llama, in procinto di recuperare dall’infortunio al crociato. Al gruppo si unisce Raphael Martinho Alves De Lima, laterale sinistro brasiliano classe 1988 pescato nella B carioca. Per il reparto avanzato si punta sul talento di Barrientos, senza dimenticare Ricchiuti, che con la grinta di un ragazzino lotta per guadagnare spazio. E soprattutto su Maxi López che può contare sull’inventiva del capitano Mascara e dal funambolico Alejandro Dario Gómez, detto El Papu, proveniente dal San Lorenzo. Completano la prima linea l’eterna promessa Morimoto e Antenucci, tornato alla base dopo le 24 reti realizzate nell’Ascoli.

 

Bene ma non troppo

È ancora agosto quando il treno rossazzurro parte a caccia di una tranquilla salvezza per fermarsi subito alla stazione di Verona. Nella gara d’esordio si inciampa infatti al “Bentegodi” regalando con due errori difensivi tre punti alla formazione clivense. Dopo la sosta si riparte di slancio battendo il Parma di Pasquale Marino grazie a due rigori trasformati da Mascara e Antenucci. Scongiurato il pericolo di precoci preoccupazioni, l’anticipo serale del 18 settembre con il Milan regala le prime certezze. Alla mezzora Capuano tira fuori dal cilindro un poderoso colpo al volo che buca Abbiati da oltre 30 metri. Ci vuol una zampata del guizzante Inzaghi per riequilibrare il punteggio allo scader del primo tempo. Nella ripresa gli etnei più volte falliscono la rete del nuovo vantaggio; a ogni buon conto la difesa regge e si porta a casa un punto che fa morale e classifica. Non c’è però tempo per godersi l’impresa, il turno infrasettimanale propone l’impegno casalingo con il neopromosso Cesena che sbarca da capolista e torna a casa con due reti al passivo. Sono Silvestre e Maxi López a certificare il primo stop stagionale dei romagnoli. La classifica ora dice quarto posto e il nuovo match casalingo con il Bologna è l’occasione buona per decollare. Il pallino del gioco è costantemente fra i piedi di Mascara e compagni, eppure prima del riposo i felsinei passano sugli sviluppi di un rigore respinto corto da Andújar e ribadito in rete da Di Vaio. Già un minuto dopo i rossazzurri vorrebbero a loro volta il penalty, ma un incredulo Maxi López deve accontentarsi di un’inspiegabile punizione dal limite. Nella ripresa continua la sagra dello spreco con la Gallina de oro e Mascara che fanno a gara a chi sbaglia di più. A metà del secondo tempo, quando ci si chiede se la beffa sia figlia più della sfortuna o di colpevole autolesionismo, uno sciagurato intervento di Britos devia in rete un cross di Marchese: 1-1. Una traversa di Mascara e qualche mischia non servono a portare a casa il successo e, sebbene si allunghi a quattro la serie utile, fa rabbia il mancato aggancio al primo posto di Inter e Lazio.

In ossequio al lunch match, l’ultima stravagante trovata delle pay-tv, i buoni risultati si perdono sotto il sole del “Via del Mare” salentino. La gara è senza grossi sussulti e per lunghi tratti noiosa: uno a zero per i giallorossi. López non punge e nemmeno i suoi compagni di reparto paion fecondi, mentre la difesa è attenta ma non abbastanza da evitare il gol di Corvia. Al “Massimino” contro il Napoli gli attacchi s’infrangono sul portiere De Sanctis, autore di interventi prodigiosi. Manca un briciolo di cinismo e i campani ne approfittano passando in vantaggio fin al pareggio di Gómez. La nota positiva, oltre alla prestazione di carattere, è il ritorno di Llama che entra nel finale, sette mesi dopo il grave infortunio al ginocchio. L’uno a uno finale lascia tuttavia l’amaro in bocca. La sconfitta di Marassi contro i rossoblù genoani (1-0) ricalca un copione già visto, con i liguri abili a far centro in una delle poche occasioni concesse da una squadra molto accorta e poco convinta in fase offensiva. Fa proprio fatica il drappello a concretizzare, con Maxi Lopez prigioniero del 4-5-1 di Giampaolo e lasciato da solo in balia dell’intera difesa avversaria.

La Coppa Italia non è uno scacciapensieri. Per battere il Varese, matricola rivelazione in Serie B, servono però i supplementari e quattro reti. In vantaggio prima per 2-0 (gol di Pesce e Antenucci), poi per 3-1 (sigillo di Morimoto), ci si fa agguantare allo scadere e la si spunta grazie a Spolli a tre minuti dai rigori.

Con la Fiorentina per la prima volta in stagione si vede un plotone rinunciatario anche in casa e lo zero a zero delude i tifosi che sottolineano a suon di fischi l’uscita dal campo delle contendenti. Ha tutt’altro valore, ma non accende l’entusiasmo, il pari a reti bianche conquistato sulla sponda doriana di Genova. Per tornar alla vittoria dopo cinque giornate che fruttano solo tre punti e un gol all’attivo ci vuole una prodezza di Maxi López. Suo il prepotente colpo di testa che castiga la pimpante Udinese di Guidolin. Il successo consente di tracciare un solco di tre punti dalla zona a rischio e di assestarsi al nono posto, in compagnia della stessa Udinese, del Genoa e del Palermo, agguantato proprio alla vigilia del derby.
Preoccupante involuzione

Dopo tre anni si tenta il ritorno alla normalità: al “Barbera” ecco mille posti riservati ai catanesi muniti di tessera del tifoso. Sugli spalti ci son perfino le “Liotrine”: mamme, studentesse, segretarie e impiegate, tutte supertifose del Catania. Per gli ultras invece le porte restano chiuse, ma la simbolica riapertura dopo la morte dell’ispettore di Polizia Filippo Raciti è un grande passo in avanti. Mandano un messaggio di distensione facendo un giro di campo a braccetto nel prepartita i due presidenti, poi i rosanero centrano il tanto atteso successo. Sugli scudi va il talento argentino Javier Pastore che, in dubbio fino all’ultimo per un infortunio, decide l’incontro realizzando di testa, di destro e di sinistro per una tripletta da sogno. Presentatisi con una difesa per tre quarti inedita, con Potenza e Marchese sulle fasce e Terlizzi a sostituire Spolli accanto a Silvestre, i rossazzurri hanno la colpa di non sfruttare le occasioni costruite. Gómez, López, Martinho, Ricchiuti e Izco recitano il mea culpa per la scarsa freddezza dimostrata. L’unico a centrare il bersaglio è l’ex Terlizzi, che un minuto dopo l’inizio del secondo tempo scaraventa in rete il pallone del momentaneo pareggio. Un derby godibile pur se tatticamente strampalato finisce così 3-1, ma all’appuntamento con la riscossa si arriva puntuali. Quando l’espulsione di Maxi López per proteste par sigillare un nulla di fatto, una rete di Terlizzi nel finale piega il Bari in casa. A Roma con la Lazio, sette giorni dopo, con un altro raid di un difensore, stavolta il tonico Silvestre, si sfiora il colpo grosso. Il sogno sfuma per colpa del brasiliano Hernanes che sigla il pari prima del riposo e di Potenza che, a tu per tu con Muslera, spreca la vittoria allo scadere. Nel frattempo in Coppa Italia si supera al “Massimino” l’ostacolo Brescia con Davide Baiocco salutato calorosamente dal suo ex pubblico, prima che un diluvio di reti si abbatta in scioltezza sulle rondinelle. Martinho, Maxi López (due volte), Antenucci e Pesce firmano il 5-1 che vale la qualificazione agli ottavi.

Sebbene si proceda a discreta velocità, restano fermi nel loro proposito di non seguire più il campionato i club organizzati. La roccaforte di Piazza Spedini si presenta ad ogni appuntamento spoglia e silenziosa come non accade da anni. Comunque, nonostante il clima asettico sia un avversario in meno, gli ospiti cedono regolarmente le armi. Fuori casa, però, la regola è uscire dal campo a mani vuote. Con questo trend un giro a vuoto fra le mura amiche, come l’1-3 beccato dalla Juve, suona come un presagio sinistro.

A Cagliari squillano fragorosi altri tre campanelli d’allarme, poiché al “Sant’Elia” si presentano undici fantasmi incapaci di qualsivoglia resistenza. Stavolta il mattatore è il brasiliano Nenê che fa tripletta mentre le ingenue espulsioni di Martinho e Morimoto aggravano l’imbarazzante bilancio del viaggio in terra sarda. «Prima giocavamo più accorti e vincevamo le partite, – in sala stampa c’è Terlizzi – da Palermo in poi, per accontentare qualcuno che si lamenta di giocar troppo solo lì davanti, abbiamo cambiato atteggiamento e questi sono i risultati». L’intempestiva uscita con tanto di esplicito riferimento a Maxi López, che non fa mistero di sentirsi troppo avulso dalla manovra, costa al difensore romano l’ennesimo provvedimento disciplinare. Un problema in più per Giampaolo, già a corto di alternative per gli infortuni che stanno falcidiando la squadra. Inoltre il tecnico di Bellinzona è sotto attacco di stampa e tifosi che lo rimproverano di curare in modo eccessivo la fase difensiva mortificando quella propositiva, oltre che di non trasmetter carattere a una squadra che va a segno esclusivamente su palla inattiva. In breve, il finale del girone d’andata somiglia a una lenta discesa agli inferi: anche se la classifica non preoccupa, c’è maretta. Quando Maxi López festeggia con il gol che stende il Brescia la nascita del secondogenito Costantino, si raggiunge quota 21 e ci si spinge a sei lunghezze sul margine infuocato della zona retrocessione. Intano è già quasi Natale e Nino Pulvirenti lancia un appello: «Ci mancano i nostri ultras, i ragazzi delle curve che accendono lo stadio, che trascinano il pubblico. Senza di loro è tutta un’altra storia: non bella, non esaltante».

Passata la sosta natalizia si torna in campo il giorno della Befana all’Olimpico contro la Roma. Dopo pochi minuti, i giallorossi vanno in vantaggio con Borriello ma si fanno sorprendere dalla pronta risposta degli etnei. Prima Silvestre segna il pari, poi Maxi López, magistralmente innescato da Gómez, si libera pure del portiere e sigla il sorpasso. Dopo l’intervallo Riise mette in mezzo un pallone abbondantemente uscito dal campo e Borriello è lesto a deviarlo in rete. Già incerti sulla pur nitida azione del gol di Silvestre, i giudici di gara non si avvedono dell’irregolarità. Quando Vucinic realizza in fuorigioco a pochi minuti dal termine, si capisce che la gara è compromessa. Con i rossazzurri riversati in avanti con la forza della disperazione, è facile per i capitolini mettere al sicuro il risultato in contropiede ancora con Vucinic. Uscendo dal campo, Pulvirenti si rivolge ironico all’arbitro Christian Brighi: «Complimenti, hai fatto doppietta!» e tanto basta per guadagnarsi una squalifica, che fa meno male del bugiardo 4-2 finale.

Nemmeno tre giorni per smaltire la rabbia che il confronto con l’Inter chiude degnamente la settimana delle beffe. I meneghini sono latitanti per tre quarti di gara, finché Gómez capitalizza la superiorità territoriale portando in vantaggio i suoi, e facendo pregustare il bis dell’impresa dell’anno prima. Ma nel giro di quattro minuti il biscione si sveglia e con un uno-due ribalta il risultato. Svanisce il successo di prestigio ma restano applausi ed attestati di stima, un pugno di mosche insomma. Il bilancio di metà anno è buono ma non eccelso: 21 punti in carniere significano sedicesimo posto e vantaggio di tre lunghezze sulla terzultima.
Cambio a sorpresa

Il secco 2-0 rimediato a Torino dalla Juve sancisce l’addio alla Coppa Italia e contro il Chievo si gioca per scostarsi dallo spettro della bassa classifica. Per l’occasione tornano allo stadio i gruppi organizzati, sia pure ancor in polemica con tutti. Nel primo tempo un rigore trasformato da Maxi López apre la strada, che però si fa in salita nella ripresa. Dal 46’ gli scaligeri prendono in mano il pallino del gioco, pervengono al pari con una zampata del sempreverde Pellissier e mettono paura continuando ad attaccare fino al 90′. Superata appena la metà del viaggio, l’equipaggio non sembra più in sintonia con il comandante e la pianificata crociera fino al porto della salvezza rischia di naufragare. Lo dimostrano i toni in sala stampa. A chi gli chiede il perché del suo impiego part-time il capitano, recuperato a tempo record dopo un’ernia inguinale, fa spallucce: «Non lo so, io sono al 100%». «Mascara in questo momento sta peggio di Llama – lo smentisce a stretto giro di posta il mister – e comunque quello che decide sono io».

Qualche ora dopo l’acceso confronto, inaspettata arriva la svolta: Marco Giampaolo non è più l’allenatore del Catania. «È successo un po’ quello che capita fra innamorati. – spiega il tecnico mesi dopo il suo addio – ci siamo conosciuti, fidanzati, sposati, ma poi abbiamo cominciato a conoscere l’uno i difetti dell’altro e abbiamo preferito separarci». La panca passa a Diego Pablo Simeone, vecchia gloria albiceleste di Pisa, Inter e Lazio, e uno dei trainer più europei del Sudamerica. Il nuovo condottiero ha in bacheca due titoli argentini, uno con l’Estudiantes, l’altro con il River Plate. Appena il tempo di smaltire il fuso orario che El Cholo deve affrontare tre scontri salvezza in trasferta e la sfida al Milan capolista in casa, tutto nel giro di due settimane. Alla fine del battesimo di fuoco il bilancio è magro: tre sconfitte (0-2 con Parma e Milan, 0-1 con il Bologna in un altro indigesto lunch match) e un pareggio (1-1 a Cesena), un solo punto e un misero gol realizzato a fronte di sei subìti. Le conseguenze sulla classifica suonano come una sentenza: addio sogni di tranquillità. Rimane infatti solo un punto di margine sul Brescia a quota 22, che precede il Cesena a 21 e il Bari a 14.

Prima di rimettersi l’elmetto e tornar in trincea c’è l’occasione di puntellare la truppa sfruttando il mercato di riparazione. E c’è il botto. Dopo sette indimenticabili stagioni, Mascarinho lascia i galloni di capitano e parte per Napoli. Sempre più insofferente e meno decisivo, Beppe coglie al volo l’occasione di passare dall’Etna al Vesuvio, dalla lotta per la salvezza a quella per lo scudetto. L’operazione lascia interdetti i più, ma alla fine ci guadagnano tutti, compresa la società che incassa poco più di un milione. Sullo Jonio in compenso ormeggia il regista; si chiama Francesco Lodi, ha 27 anni, proviene dal Frosinone ma è di proprietà dell’Empoli. Anche la prima linea si rafforza con Gonzalo Rubén Bergessio, punta argentina classe 1984 presa in prestito con diritto di riscatto dai francesi del Saint-Étienne. C’è pure il colpo a sorpresa piazzato allo scadere del mercato, è il talentuoso 23enne italo argentino Ezequiel Schelotto, che arriva in prestito secco dall’Atalanta via Cesena. Concesso per sei mesi all’Estudiantes, infine, Barrientos torna in patria.

 

La sindrome di Penelope

Chiarito che bisogna concentrarsi solo sull’obbiettivo di allontanarsi dalle sabbie mobili della bassa classifica, ogni partita interna diventa uno spareggio. Il primo è contro il Lecce, ma i tifosi si lagnano ad alta voce. «Per quale oscuro motivo – Andrea Lodato su “La Sicilia” prova a compattar l’ambiente – a molti piaccia scatenare la baraonda e la tempesta sul Catania quando le cose non vanno per il verso giusto resta sempre da chiarire. Nei momenti tranquilli, e ce ne sono stati tanti, soffia una leggerissima bonaccia, un venticello denso di distrazione e sufficienze che degrada, presto presto, in un generale disinteresse. Quando le cose vanno bene. Quando, invece, scatta l’emergenza riecco compatto l’esercito che odia, detesta, maledice, colpisce, offende, avvilisce. Sport diffusissimo, pericoloso per Catania, per il Catania, per i tifosi veri, per i critici seri che hanno argomenti seri sempre e che, se ci tengono al tesoro che il Catania ha in questo momento in cassaforte e che si chiama serie A, possono restare argomenti di dibattito, ma trattati con lo spirito di chi costruisce, non devasta. Siamo nella settimana che ci porta ad una partita decisiva, più di quanto non si riesca a pensare e credere, davvero decisiva. Dovrebbe essere la settimana in cui livori, antipatie, pregiudizi dovrebbero lasciare spazio al senso di appartenenza ad una squadra, all’amore per una maglia, per due colori, per un patrimonio. Invece…».

«Vorremmo tanto vedere i rossazzurri comportarsi come i corsari della Filibusta, – ribatte Salvo Marinelli su “Nuovo Sportivissimo” – quando, agganciato con i grappini d’arrembaggio un galeone spagnolo con le stive traboccanti lingotti d’oro e d’argento insieme con gioielli preziosi, si catapultavano sul ponte con le sartie come Tarzan, con le liane, da un albero all’altro, nella giungla, roteando pesanti sciaboloni. Ai calciatori etnei toccherà abbordare soltanto un brigantino leccese che conserva gelosamente nella cabina del capitano uno scrigno contenenti tre punti d’oro massiccio che servono a cambiare rotta e a scalare la classifica».

Domenica 13 febbraio è il solito Silvestre che, sul finale di primo tempo, devia in rete un servizio di Llama su punizione e scardina il bunker pugliese. Un po’ di serenità dopo tante nubi? Solo per il tempo dell’intervallo perché al rientro in campo i salentini mettono i puntini sulle i. Prima pareggia Jeda, che anche stavolta non manca di far male ai suoi ex tifosi, poi Munari ribatte in rete un pallone respinto dal palo. Solo un altro legno impedisce a Vives di chiudere il conto a metà ripresa. Pesante si fa l’aria sugli spalti, ma «il Catania non muore mai e rinasce più forte dalle sue stesse ceneri» ricorda il responsabile dell’area editoriale Angelo Scaltriti in radiocronaca. Al 33’ Gómez si invola, entra in area e viene falciato. È rigore, ma la giacchetta nera opta per una punizione dal limite. Con una pennellata Francesco Lodi aggira la barriera e piazza il pallone alle spalle del portiere Rosati: è il pari. Passano cinque minuti e López sacrifica le ultime forze in un pressing disperato; si guadagna così un’altra punizione dal limite vista solo dall’arbitro. Il sinistro di Lodi è ancora fatato e con naturalezza spedisce il pallone in rete regalando tre punti di vitale importanza.

A Napoli Simeone si gioca la carta Bergessio, finora rimasta nel mazzo per un imprecisato problema burocratico che ne ritarda l’arrivo del transfer. Non basta però l’innesto dell’argentino, né l’errore dal dischetto di Cavani dopo pochi minuti: decide una rete di Zúñiga poco prima della mezzora. Costretti a vincere per non precipitare, con il Genoa si torna dunque punto e a capo. Quando Floro Flores realizza in fuorigioco la rete del vantaggio ospite, i brividi scorrono copiosi lungo la schiena dei supporter etnei. Grazie al Cielo, nei primi quattro minuti della ripresa la coppia delle meraviglie Maxi López-Bergessio rimette a posto le cose. Scaraventando nel sacco un pallone vagante e proveniente da calcio d’angolo, il biondo cannoniere sigla il pari; l’ex del Saint-Étienne fulmina il portiere ospite Edoardo con un tiro secco deviato da Criscito, che poi si fa espellere. Pratica chiusa? Nemmeno per idea. Alla mezzora Augustyn, gettato nella mischia in totale assenza di alternative, commette un ingenuo fallo su Paloschi che gli costa espulsione e rigore. Andújar risponde presente e neutralizza il tentativo di trasformazione di Veloso mettendo fine alle emozioni. La squadra Dr. Jekyll del “Massimino”, capace di reagire con la ferocia di un leone alle avversità, lascia però subito spazio a quella in formato Mr. Hyde delle trasferte. Contro la Fiorentina di Mihajlović che annaspa a metà classifica, undici agnellini impauriti cadono vittime della doppietta di Mutu in appena 20’. Il sigillo di Gilardino chiude una partita mai in discussione. Siamo alle solite: con la Sampdoria non si può sbagliare. Su un campo pesante per la pioggia non è facile costruire gioco, ma i rossazzurri tessono la tela con pazienza. Le barricate doriane resistono fino al 70’, quando da uno schema su calcio d’angolo di Lodi, il neo entrato Llama conclude con un tiro al volo. La gemma balistica fa esplodere lo stadio e mister Simeone che si lascia andare a una corsa sfrenata sotto la Curva nord. Sul campo dell’Udinese che viaggia come un treno verso la qualificazione al massimo torneo continentale, il coraggio ritrovato non basta. Si cede 2-0 rispettando con avvilente puntualità la marcia a singhiozzo. Con 32 punti i ragazzi di Simeone sono quattordicesimi insieme al Parma, ma il vantaggio di quattro lunghezze sul Lecce terzultimo non può rassicurare.

Llama, intanto, torna sotto i ferri per una messa a punto al ginocchio mentre Potenza e Bellusci passano più tempo in infermeria che sul campo, spesso accompagnati da Capuano e Álvarez. Dal momento che di Sciacca, Biagianti ed Izco si son perse le tracce a cavallo dei due gironi, la corsa resta ad handicap. A ben pensarci, è un miracolo che con un equipaggio così cagionevole la barca stia ancora in rotta-salvezza.

Frattanto il Catania dei “giovanissimi” allenato da Paolo Riela si aggiudica la fase eliminatoria per l’accesso alla Manchester United Premier Cup ed entra di diritto tra le 20 migliori formazioni Under 15 del pianeta terra.

 

La regola del 4

Arriva il giorno del derby di Sicilia di ritorno; nel fortino di Piazza Spedini approda un Palermo reduce dall’ennesimo terremoto tecnico da Delio Rossi a Serse Cosmi. Alla vigilia dell’incontro con i rosanero -a cui brucia forte il recente 0-7 casalingo subìto dall’Udinese – Pietro Lo Monaco suona la carica. «Faremo valere le nostre maggiori motivazioni», avverte. La tifoseria etnea si mobilita come l’evento merita. Il primo tempo scorre via in equilibrio con l’undici di Simeone che preme, rischiando in un paio di occasioni di cader vittima del contropiede. In apertura di ripresa ecco la svolta: Maxi López si invola sulla fascia sinistra e scaraventa in area un pallone che pare facile preda di Balzaretti. Il biondo terzino della nazionale, però, risente di un infortunio patito nel primo tempo e sbaglia l’appoggio di petto al proprio portiere che, ingannato dal vano tentativo di intercetto di Lodi, vede il pallone scivolare in fondo al sacco: Catania 1, Palermo 0. La squadra del capoluogo è troppo leziosa in avanti e disastrosa nelle retrovie: è quasi un gioco da ragazzi contenere e ripartire. Lanciando Bergessio ad occhi chiusi, Ricchiuti ribalta il fronte rosanero; Gonzalo fredda Sirigu ed è il raddoppio. Poi fanno festa i subentrati Ledesma e Pesce che completano il poker. A distanza di due anni dall’impresa del “Barbera” è di nuovo 4-0! E ora il problema principale diventa gestire l’euforia. I cinque punti di margine sul Cesena terzultimo fanno sbilanciare persino il sempre prudente Pulvirenti: «Se non ci addormentiamo, la salvezza può considerarsi acquisita».

 

…e siamo ancora quA!

Il calendario propone però ancora sette gare con scontri salvezza alternati a sfide impari. L’auspicio è mettersi a riparo da ogni sorpresa sbancando il campo del Bari, in questa stagione terra di conquista per tutti. I galletti non vincono davanti i propri tifosi dall’ottobre 2010, ma vogliono ritardare il più possibile la ratifica di un verdetto inevitabile. Sorpresi dall’ardore dei padroni di casa gli uomini del Cholo vanno presto sotto ma raddrizzano il risultato prima dell’intervallo grazie a un’azione personale di Maxi López. Non basta un secondo tempo più aggressivo per far bottino pieno, anzi allo scadere l’arbitro annulla una rete a Ghezzal ed evita un finale più amaro. Il punto serve ad interrompere la serie di quattro sconfitte esterne consecutive, ma non è certo l’allungo risolutivo. Quando la Lazio che insegue il quarto posto viola con un perentorio 4-1 il “Massimino”, il presidente sbotta: «Una prestazione ai limiti del ridicolo che vanifica quanto di buono fatto finora. Non ha senso nemmeno recriminare sul fuorigioco che vizia il secondo gol laziale. Ora mi aspetto una reazione». Sebbene si resti in pole position nel grappolo delle pericolanti, i tifosi si lasciano andare a pronostici nefasti. «Se non si riesce a vincere nemmeno sul campo del fanalino di coda – è il loro sillogismo – e non si sa più opporre resistenza alle grandi sul nostro campo, come potremo smuovere la classifica nelle prossime sei gare?».

A Torino, nel turno pre-pasquale e in posticipo serale, c’è una “Vecchia Signora” che si gioca le ultime possibilità di agguantare il quarto posto. Grazie a un generoso rigore e a un rimpallo che permettono a Del Piero di capitalizzare al massimo una pressione non certo asfissiante, il parziale del primo tempo è di 2-0 per i bianconeri. Nei salotti televisivi collegati con l’Olimpico, decine di opinionisti articolano locuzioni sul Catania e il lemma retrocessione lo pronunciano senza remore. Nella ripresa il vento però cambia e la gara si trasforma in un monologo rossazzurro. Dopo una serie di occasioni mancate, all’ottantesimo Gómez fa centro su perfetto invito di Bergessio. I padroni di casa sprecano il colpo del K.O. in contropiede per due volte e nel lungo recupero Lodi si guadagna il soprannome di “MiracoLodi”. Con un sinistro perfetto, ancora su punizione, Francesco infilza Buffon e chiude l’incontro, regalando un punto e una corroborante iniezione di fiducia.

Per raggiungere la soglia psicologica dei 40 punti, ora c’è da battere un ormai salvo Cagliari. I sardi non sembrano volere lasciar strada e il risultato è inchiodato sullo 0-0. Al 75′ Cossu, lanciato a rete, è steso da Álvarez che viene espulso e la prospettiva di demolire ancora una volta quanto costruito si fa concreta. Incapaci di sfruttare la superiorità numerica, gli ospiti si fanno però bucare da capitan Silvestre, quasi un bomber aggiunto, e da Bergessio, che scaccia i fantasmi residui. Ma per far festa è presto. Le ultime della classe non mollano un centimetro e sono in programma pericolosi scontri diretti. Sui giornali, sulla rete e nei bar è un fermento per valutare tutte le ipotesi incrociando i possibili risultati dei restanti quattro turni, con un occhio spalancato sulla classifica avulsa. La conclusione è che solo continuando a far punti ci si potrà tirar fuori senza sperare nelle disgrazie altrui. Detto fatto: contro il Brescia che per restare in A deve vincere da qui alla fine del campionato, gli uomini decisivi sono i soliti Silvestre e Bergessio. Con un gol per tempo, i due chiudono la gara e interrompono un digiuno lungo oltre 15 mesi. I lombardi sono condannanti matematicamente all’immediato ritorno in cadetteria, per il Catania a quota 43 è impossibile non cedere all’ottimismo. Sono in aereo sulla via del ritorno i rossazzurri quando, all’ultimo secondo, il Genoa batte i rivali storici, spalancando alla Samp le porte della retrocessione e ratificando la salvezza dell’Elefante. Ergo, si può improvvisare una festa ad alta quota e brindare a un traguardo storico.

«Il diritto di partecipare alla Serie A per il sesto anno di fila, – riverisce il sito-web Diario Rossazzurro – è cosa avvenuta in passato solo in un’altra occasione negli 80 anni di vita del Catania. Non c’è proprio di che lamentarsi, anche se il desiderio di non tribolare cresce, così come quello di alzare l’asticella degli obiettivi entro pochi anni. D’altra parte, la realizzazione di un centro sportivo da 60 milioni (un’altra promessa mantenuta dalla coppia delle meraviglie Pulvirenti-Lo Monaco) fa pensare a progetti europei. Però, caro Catania, parliamoci! Nessuno può negare l’evidenza e non riconoscere all’attuale società di aver conseguito risultati impensabili fino a pochi anni fa. So bene che è difficile esser dirigenti di una squadra di calcio, perché tutti pretendono di giudicare in maniera semplicistica. Ma il tifoso è così per indole, è un concentrato di contraddizioni che lo fanno oscillare tra umori opposti spesso in dipendenza dei risultati del campo o dei propri pregiudizi alimentati magari da qualche antipatia o leggenda metropolitana innalzata al livello di verità. Queste cose bisogna prenderle per quello che sono: chiacchiere da bar, diritto inalienabile dell’homo sportivus che sputa sentenze. Essendo il calcio per definizione sport popolare, il popolo deve poter esprimere la propria opinione senza che nessuno si risenta».

«Frequento da sei anni un bel ristorante cittadino, – parola al ‘professore’ su http://www.catania46.net – il cui proprietario, prelevandolo da un certo ”Don Luciano il Perugino“ ha dato in gestione a un uomo del quale si fida ciecamente. Il gestore è un professionista scaltro, molto preparato nel suo settore, insomma un tipo in gamba, anche se non ama adulare i clienti e a volte sembra scostante. Si avvale di validi cuochi che seleziona personalmente con cura e questi propongono buone pietanze servite a ritmo di tango. Certo negli ultimi anni ha chiamato a dirigere la cucina chef inesperti o modesti, ma poi li ha prontamente sostituiti con personale straniero altamente qualificato. Insomma, il ristorante è l’orgoglio della città. Eppure, con frequenza sconcertante e nauseante ci sono avventori che non sono contenti perché non lo reputano all’altezza del ristorante El Bulli di Barcellona e addirittura qualcuno rimpiange la ’Taverna dello zio Angelo’, appartenuta a un uomo straordinario, un locale al quale ero amorevolmente legato, ma in circa trent’anni citato solo due fugaci volte dalle guide turistiche come posto di prima categoria».

«Maggio rosso ed azzurro, – taglia corto il sito ufficiale http://www.calciocatania.it – ancora una volta con una data profumata di storia e d’orgoglio: domenica 8, anno 2011, il Catania conquista matematicamente la quinta salvezza di fila in A, eguagliando il record di presenze consecutive nell’Olimpo del calcio italiano stabilito negli anni ’60. Così, con il massimo rispetto per la nostra storia e nella speranza di poter fare sempre meglio, siamo felici di annunciare che la storia siamo (anche) noi. E il noi comprende tutti quelli che amano sinceramente la maglia, il club, la città. Il Catania esalta la compattezza, il Catania alimenta il progetto di grandi imprese con il lavoro, il Catania unisce, il Catania coltiva sogni ma non sottovaluta la realtà».

In attesa dell’ultimo impegno casalingo contro una Roma che si illude di insidiar Lazio e Udinese nella corsa al quarto posto, la voglia di festa prosegue per sette giorni e sette notti. Prezzi popolari in un “Massimino” finalmente colmo per celebrare la salvezza, ma i bellicosi propositi sembrano sciogliersi al primo caldo estivo. Al quarto d’ora Loria realizza di testa il vantaggio dei giallorossi, fino a quel momento spettatori non paganti delle scorribande di Maxi López e compagni. Poi è un soliloquio dei rossazzurri che timbrano la traversa con Ledesma, si vedono negare un rigore e sprecano un paio di ghiotte occasioni. Superata la mezzora della ripresa, il risultato diventa meno bugiardo grazie all’incornata di Bergessio che inanella il quinto sigillo stagionale. Non è finita: nel recupero un’incursione del portiere romanista Doni, spintosi in avanti nel disperato tentativo di regalare ai suoi l’unico risultato che possa alimentare il sogno del quarto posto, mette a dura prova il collega Andújar, che non si fa sorprendere. Poco dopo è il furetto Gómez (che, con i suoi 166 centimetri di statura, è il secondo giocatore più basso della A) a piazzare la zampata giusta e chiudere l’incontro con un diagonale che fa esplodere lo stadio. Questa bella marcatura permette di raggiungere la significativa quota di 46 punti, uno in più della stagione precedente, il miglior bottino in A da quando la vittoria è premiata con i tre punti.

La sconfitta contro l’Inter (3-1) nell’ultima uscita interpretata alla stregua di un allenamento non fa male. In classifica si giunge al tredicesimo posto con gli stessi punti di Parma e Chievo, premiate dalla classifica avulsa. Poco male, ancora una volta il traguardo della salvezza è stato raggiunto, centrando pure il primato di 11 vittorie.

Alleluja!

 

Benvenuti nel futuro

I grandi e piccoli record che chiudono una stagione difficile non sono l’unico motivo di soddisfazione per il sodalizio dell’elefante. Nella bacheca virtuale del palmarès rossazzurro trova spazio “Torre del Grifo Village”. È così che la società battezza il centro sportivo, completato nel giro di due anni e costato 60 milioni di euro, fiore all’occhiello della gestione Pulvirenti-Lo Monaco. «Con questa struttura –afferma il primo all’inaugurazione del 19 maggio – poniamo le basi per garantire al Catania di rimanere stabilmente ai massimi livelli, poiché sopravvivrà all’attuale proprietà e resterà un valore aggiunto. I risultati non dipendono solo da una persona ma da un gruppo con cui divido tutte le soddisfazioni di questo momento. Noi non vogliamo insegnare nulla a nessuno; non ci sentiamo maestri ma semmai un esempio positivo per la città. Siamo la dimostrazione che si possono realizzare opere di valore anche a Catania, anche al sud, purché ci si creda, purché ci si impegni allo spasimo e si viva di obiettivi e di programmazione. Nel giorno più importante della storia del nostro club, voglio ringraziare Pietro Lo Monaco: senza il suo apporto tutto questo non si sarebbe potuto realizzare. E se, come dice mister Marcello Lippi, un centro come questo vale almeno 4 punti in più in classifica, nella prossima stagione da 46 vorremmo arrivare a 50 punti».

«Diciamolo! – strilla Ignazio La Russa, paternese, interista doc e ministro della Difesa – questa è la prova tangibile che Catania può essere ancora chiamata la Milano del sud». La nuova cittadella dello sport è un vero gioiello architettonico, esempio unico in Italia e con pochi eguali in Europa. La sua realizzazione segna la soluzione dell’atavico problema delle strutture sportive con cui da sempre si convive e apre orizzonti rosei per prima squadra e vivaio, sancendo un solido legame con il territorio. Oltre alla foresteria e agli alloggi per i giocatori, l’impianto comprende un centro di medicina per lo sport e un’ampia zona accessibile al pubblico. E a “Torre del Grifo Village” trasloca anche la nuova sede sociale. Nella lunga storia del club, è la prima volta che si trova fuori dalle mura cittadine.

Con Simeone, intanto, si rompe l’accordo siglato appena quattro mesi prima e il timone passa all’aeroplanino Vincenzo Montella, 37 anni, una splendida carriera di attaccante con le maglie di Empoli, Genoa, Sampdoria, Fulham e Roma. Il suo curriculum di cannoniere è da capogiro: 235 gol in carriera, 131 dei quali in Serie A. «Il mio primo obiettivo – si presenta così il mister – è trasmettere idee ed entusiasmo. Voglio un Catania sprint, una squadra che acquisisca subito consapevolezza nei propri mezzi, sappia mettersi in mostra in casa e fuori e sia in grado di volare».

Il futuro comincia, il viaggio continua e strizzano l’occhio a William Shakespeare i dirigenti rossazzurri: «Le nostre sfide sono cambiate ma i nostri valori restano gli stessi». L’immagine scelta per la campagna abbonamenti 2011-‘12 richiama la suggestione di una foto datata 1945 e firmata dal fotoreporter statunitense Joe Rosenthal. È lo scatto da Premio Pulitzer Raising the Flag on Iwo Jima e immortala la storica battaglia nell’isola del Pacifico, con i militari intenti a piantare la bandiera in cima al monte Suribachi. Il patrimonio visivo dell’immagine rilancia il senso della necessaria compattezza e dell’inevitabile fatica per raggiunger la cima e ottener il successo.

«L’idea di Fabio De Luca, abile e creativo grafico del Calcio Catania, – chiarisce Pietro Lo Monaco – esprime al meglio ciò che vogliamo dire con forza ai nostri tifosi: ancora una volta siamo pronti a faticare per scalare la nostra montagna e tenere alto il nostro vessillo; contiamo di riuscire a percorrere la strada in salita e di arrivare in vetta, magari provati dalla sofferenza ed incerottati ma abbastanza forti da riuscire a piantare la bandiera in Serie A, ancora una volta. L’esperienza fin qui accumulata insegna che la compattezza è un valore aggiunto, in questo senso. Lo slancio degli abbonati e dei tifosi può dare una spinta decisiva alla squadra, ogni catanese gioca con noi».

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2011-’12: Serie A

Un elefante sull’Aeroplanino

 

 

Sceneggiata salernitana

Arrivata l’estate, per abbonarsi è indispensabile riscuotere il benestare dalle autorità competenti e acceder alle procedure di rilascio di questa benedetta tessera del tifoso Cuore Rossazzurro. Per ottenerla, vanno compilati un sacco di moduli e comunicati gli estremi del documento d’identità. Epperò, prima di correre ai botteghini, ogni sostenitore del Catania vuol saper piuttosto nome e cognome di chi sta per vestire i colori della sua squadra del cuore.

«Siamo interessati a José Sosa – urla Lo Monaco – ma cartellino e ingaggio sono alti per il nostro piccolo club». Urge far cassa e di rinforzi non si vede l’ombra. Il cambio di rotta fa subito pensare a imprevisti finanziari. Chissà…

Scansata la pioggia di cenere dell’Etna, ma non la torrida temperatura, l’11 di luglio dell’anno 2011 comincia la preparazione a Torre del Grifo: una novità assoluta. «Nessun problema, – glissa l’Aeroplanino – qui fa caldo ma di sera si riposa bene». L’organico conta ventiquattro elementi: non ci sono Andújar, (in America con la Selección), il partente Delvecchio e Morimoto, passato al Novara. «È il mio 22° ritiro – sorride Montella anche se oggi con un altro ruolo. Se Maxi va via, la società agirà al meglio».

Sfilati che sono una dozzina di giorni, sulla bocca di tutti transitano i dissensi tra presidente e a.d. La coppia diverge su strategie gestionali: il susseguente movimento tellurico rende note vicende ad arte taciute. Gelido è Pulvirenti: «Qualche giorno fa il direttore mi avvisa di un fax inviato per acquisire la Salernitana. Il calcio è appartenenza al territorio, Lo Monaco scelga noi o la Salernitana». «Il presidente esige una posizione? – a muso duro insorge l’altro – Ma lui era al corrente di tutto: insomma, io mi dimetto». Codesti nervi a fior di pelle non lasciano intravedere nulla di buono in chiave calciomercato; poi, di botto, qualcosa si muove. Il primo innesto ha vent’anni ed è un attaccante. Si tratta di Sergio Gontán Gallardo detto Keko, che sbarca alle falde del Mongibello a parametro zero e firma fino al 2014. Nel frattempo, insistenti voci danno per sicuro l’addio di López. «Il sostituto – precisa la società – è Gonzalo Bergessio che non vede l’ora di ritornare dal Saint-Etienne». Ma il reparto che allarma è la difesa, in affanno nelle amichevoli e che s’arrangia dando fiducia a Potenza e togliendola a Bellusci. Con due reti e tre pali, il 21 agosto, si supera in casa il Brescia e si stacca il pass per i sedicesimi di Coppa. Qualche giorno più in là, alzano l’età media del reggimento gli acquisti del bomber Suazo e di Nick Legrottaglie. Il primo è la Pantera nera, 54 volte nazionale honduregno. L’altro è un difensore dalle movenze eleganti, bravo a tener alti i compagni: nel curriculum ha 16 gettoni azzurri. Dopo che Silvestre s’accasa al Palermo, fa discutere il mancato arruolamento d’un altro centrale di difesa. In compenso si scorgono i volti nuovi dell’ala Lanzafame e del mediano Paglialunga. Il 27 agosto è ufficiale l’ingaggio di Sergio Almirón, classe ’80. È un centromediano dai piedi buoni, proviene dalla Juve e firma per tre stagioni. Conta 151 presenze e 17 gol in A. Il giorno dopo, conclusa una telenovela sul prezzo del riscatto con il club francese, ritorna sulla riva del mar Ionio Bergessio.

 

Si parte, anzi no

«A seguito dello sciopero dei calciatori per la mancata sottoscrizione dell’accordo collettivo LNP Serie A-AIC, la prima giornata della Serie A 2011-2012 è rinviata». Il sintetico bollettino non chiarisce il reale motivo per cui incrociano braccia e gambe centinaia di giocatori. A milioni di italiani, la mancata intesa sul contratto collettivo e la faccenda degli atleti fuori rosa non paiono elementi sufficienti perché un torneo di pallone non principi per tempo. Non s’inizia da Parma, ordunque, ma contro il Siena l’11 settembre: in casa, alle tre del pomeriggio. Giacchetta nera è Banti di Livorno e dogma dei toscani è ”primo non prenderle”: invero basta loro poco per contener misere offensive. In tredicimila vanno via delusi ma la squadriglia che pareggia zero a zero ha due scusanti: il caldo e le condizioni precarie del signor Almirón. «Izco era infortunato –parla il presidente –, ma uno come Ledesma non giocherà fin quando non firmerà il prolungamento del contratto».

Sette giorni dopo, al “Massimino” contro il Cesena, i consueti tredicimila scoprono una trasformazione. In porta c’è Andújar e in difesa Potenza con Bellusci, Spolli e Álvarez. L’asse portante è Lodi, non più interno sinistro bensì play-maker basso. Lo affiancano Biagianti e Sciacca, mentre Gómez, Barrientos e López si piazzano davanti. Per buona parte del primo tempo, nullo è lo spettacolo giacché fan difetto sembianze d’iniziative d’attacco d‘ambo le parti. Ma poi si fa male Sciacca che lascia spazio a Delvecchio e questi si procura un rigore. Maxi non si lascia sfuggire l’occasione: 1-0. Vanno in archivio tre punti e confortanti progressi. Ciò nondimeno tre giorni dopo al Marassi le buscano per 3-0 gli etnei e il giro tridimensionale dell’orbita dei risultati così compiono. Felice più degli altri è Suazo che s’imbacucca di rossazzurro e s’emoziona. «La rabbia per la lunga indisponibilità è svanita. Ho sensazioni positive». «Son contento del debutto, –prosegue Ledesma – non del risultato che premia il Genoa. Del contratto si occupa il procuratore, io devo allenarmi sodo».

 

Grande con le grandi…

Quando il 25 settembre poggia in città i piedi la Juve, gli spettatori son ventunomila. Accade che accanto agli abituali tredicimila che danno il consueto appoggio siedano, in tribuna e curva, ottomila catanesi con il cuore e la testa colorati di bianconero. In campo la truppa è determinata e mostra indole spavalda. A metà primo tempo, Delvecchio porta palla e Gómez dalla destra inventa un cross per Bergessio che, con un guizzo in scivolata, deposita alle spalle di Buffon. Dopo il riposo, Krasić si fa spazio e prova un tiro senza pretese; Andújar è in ritardo, s’impappina e con una cappellata salva la Vecchia Signora da un sicuro e meritato tonfo.

Sul sintetico verde di Novara s’inizia alle 12,30 con Legrottaglie in distinta. Mostra personalità Nicola: segna subito e, da buon “atleta di Cristo”, ringrazia Domineddio. David Suazo si stira dopo dieci minuti, ne vien via un punto ma Pulvirenti non ci sta: «Dovevamo vincere, Maxi faccia l’esame di coscienza e si ricordi del calciatore che tutti abbiamo apprezzato».

Soddisfacente è il cammino d’un trenino saldo su binari diretti verso la sesta salvezza consecutiva. La sorpresa è Giuseppe Bellusci che intasca rispetto e limita le distrazioni. La palma del protagonista va però a Gennaro Delvecchio, capace di riguadagnar stima di tutti e posto in squadra. Sabato 15 ottobre atterra l’Inter e il modulo scelto è il 3-5-2. Sotto un nubifragio battente, la rete di Cambiasso apre le danze. Inizia la ripresa e con un tiro preciso a rientrare pareggia Almirón; quattro minuti più tardi innescato da Lodi, bravo è Bergessio ad anticipar Castellazzi che lo butta giù. Il penalty lo trasforma Lodi e nel finale sprecano il tris Delvecchio e Catellani. Da veri puledri di razza, annullano ogni velleità nerazzurra Giovannino Marchese e Nicola Legrottaglie Il primo lo fa con caparbietà, il secondo con classe. Da quelle parti non cicca un colpo il lungagnone Spolli. In mezzo, Almirón interdice e Lodi dirige l’orchestra. Tutti fan festa sotto la pioggia e ridestano l’autostima. «Gustiamoci il momento. –se la ride sotto i baffi Vincenzino Montella– Il gruppo è splendido e l’ambiente ideale».

All’udienza del 18 ottobre, il giudice Antonino Fallone, del tribunale di Catania, condanna in primo grado Pietro Lo Monaco a otto mesi (pena sospesa) per violenza privata nei confronti di Alessio D’Urso, cronista della Gazzetta dello Sport. I fatti sono del 2007 e del 2008, tra articoli sgraditi e intralci all’ingresso dello stadio. Oltre alle spese legali e alla pubblicazione della sentenza su Gazzetta e La Sicilia, ottiene il giornalista ottomila euro di risarcimento. Quando la cosmonave vola a Firenze, due volte va sotto, poi impatta con Delvecchio e Maxi e aggancia quota 10. «Ricordate –domanda Michele Tosto– le avanguardie artistiche del ‘900? Movimenti che rivoluzionarono la vita italiana per la rabbia di base per cambiare tutto e il contrario di tutto. Questo Catania somiglia a uno di questi periodi storici che ha vissuto l’Italia intera».

All’Olimpico Klose porta avanti la Lazio ma l’indomabile combriccola trova il pari con Bergessio. è la quarta rimonta di fila. Ha consapevolezza dei propri mezzi e non s’abbatte mai la brigata. Tre giorni dopo il Napoli a trenta secondi dal fischio d’inizio passa con Cavani. Al 25‘ Marchese sfrutta un’incursione di Gómez e pareggia. Al 44‘ Almirón sbaglia un gol facile e Bellusci salva su Lavezzi. Poi Bergessio realizza di testa ma strepitoso è Almirón che mostra eccellenti capacità di palleggio. Ricchiuti torna devastante, Marchese molla invece un sonoro ceffone a chi lo reputa inadatto alla categoria. Catania-Napoli finisce 2-1. Dopo questa squisita performance, ottima è la classifica: 14 punti. Di fronte a un gruppo a sua immagine e somiglianza, Montella è tranquillo. A ogni buon conto, il sogno di chiuder il ciclo terribile senza sconfitte termina a San Siro: Milan-Catania 4-0.

 

…piccolo con le piccole

Il 20 novembre in casa i rossazzurri non sanno mettere in difficoltà i clivensi. Gómez non è in giornata e Bergessio si defila; dopo un po’ sbaglia Spolli che prima si fa rubar palla da Pellissier e poi lo stende in area. Il Chievo va in vantaggio, poi Sorrentino para una massima punizione di Lodi, (deconcentrato da Maxi che la vuol tirare lui), un buco difensivo vale il raddoppio di Sammarco e inutile rimane il gol di Almirón. «Un rigore contro – scrive Gino Astorina – e uno a favore parato da quel gran figlio di Sorrentino, portierone mai dimenticato». «Certe volte –sbuffa Legrottaglie – uno schiaffone fa bene». Grazie al Cielo, il tonfo interno lo si riscatta a Lecce con un eurogol del rinato Barrientos a un minuto dalla fine. È la cinquecentesima gara in A e la prima vittoria esterna stagionale per l’undici di Montella che, ai sedicesimi di Coppa, si fa superare dal Novara per 3-2. Svagato e impreciso è parimenti contro il Cagliari; il colombiano Ibarbo mette a nudo le lacune del reparto arretrato e di un fortilizio domestico non più inespugnabile. Álvarez palesa un calo di condizione, Lodi, Almirón e Marchese non garantiscono spinta propulsiva mentre Gómez e Bergessio stanno lontani dal cuore dell’area nemica.

A Bergamo la banda domina e si porta avanti con la prepotente inzuccata di Legrottaglie. Poi pesa come un macigno l’espulsione sancita da Giannoccaro a Spolli quando un tiro sporco permette a Tiribocchi di freddare Andújar: 1-1.

Il 18 dicembre giunge il Palermo e Barrientos è funambolico e geniale. Un suo spunto è fermato con le cattive e su punizione Lodi dipinge una parabola perfetta. La palla spiove sotto l’incrocio dei pali e il primo tempo e si chiude in vantaggio. Nella ripresa le aquile rosanero non angustiano Andújar, messo in difficoltà invero da un appoggio di petto di Legrottaglie. Infine un rigore causato dal fischiato ex Silvestre consente a López di metter il sigillo, mandar baci a tutti in tribuna e uscir in lacrime. Ai giornalisti che gli chiedono il motivo del piagnisteo della Gallina de oro, il mister risponde: «Non lo so, magari piange perché sa di rimaner!» Nella ducale Parma, tre giorni più in là c’è il recupero della prima giornata e al 22° si va in svantaggio. Almirón acciuffa il pari ma poi vanno a segno due volte gli emiliani. Quando Montella getta in mischia Gómez, sale questi in cattedra e si procura il penalty trasformato da Lodi che riapre la contesa. È il momento del piccolo Catellani che porta in grembo un bel tiro al volo con cui celebra il suo primo gol e mette il cappello sull’ennesima prova cazzuta. Nei camerini del “Tardini” sventurati e incresciosi fatti capitano. Lo Monaco sgrida tutti, Andújar ribatte e si va alle vie di fatto. Il guardiapali non rientra in sede e la società annuncia con fierezza che Mariano è in attesa di nuova sistemazione. Ad inizio 2012 una compagine arrendevole vola a Bologna e le prende per 2-0. Il 15 gennaio nell’impianto di piazza Spedini la Roma si ritrova sotto un temporale e un diluvio di azioni. Sblocca un colpo di testa di Legrottaglie poi in malo modo sciupano Gómez e Barrientos fin quando un’amnesia su corner propizia l’1-1. Nella ripresa la pioggia aumenta e la partita è sospesa al 65‘.«Stavamo dominando, -si sente vittima Pulvirenti- ci vuole lo stadio nuovo». A Udine, nell’ultima di andata, si vien castigati ma in cassaforte ci son 22 punti; le sabbie mobili distano sette lunghezze e ci sono da giocare i 25 minuti residui con i capitolini.

Ha la solita voce squillante domenica 29 gennaio, la speaker del Catania mentre ripete le formazioni. Poi, avvolta da una patina di malinconia, Stefania Sberna cambia tono. «Dirigenti, tecnici e atleti piangono Ignazio Marcoccio, guida del club nella dorata epoca degli anni sessanta e dal 2004 presidente onorario». Bergessio trova il gol in off-side ma si sente l’assenza di Almirón e Legrottaglie. La difesa balla, una stilettata fa secco Campagnolo e la sfida col Parma finisce 1-1.

Si congeda intanto e s’incammina verso Lecce Delvecchio. Ma vanno via anche Sciacca, Keko, Álvarez e Andújar. Di contro, quattro sono i prestiti in ingresso: il portiere Carrizo, il terzino Motta, il centrocampista Seymour e l’attaccante Ebagua. A titolo definitivo approda il jolly Wellington, giovane brasiliano scovato nelle serie dilettantistiche dei campionati d’oltreoceano. Rescinde il contratto Pablo Ledesma e, in ultimo, con indosso un pigiama rossonero, López fugge a Milano. Lesto a rinchiudersi in un hotel di piazza della Repubblica vive giorni surreali col cuore in gola ogni volta che trilla il suo cellulare. Colà sta segregato con l’immancabile Playstation tra le mani. Infine, passa in prestito al Milan. Sull’ex Belpaese il cattivo tempo imperversa e l’agenda del pallone stravolge; invero, ai piedi dell’Etna, più del meteo allarma la crisi di Wind Jet, che si dice coinvolta in una sinergia con Alitalia. «Questa cosa qui – ci si chiede in città – significa ridimensionamento dei nostri obiettivi?».

Un Barcellona piccino

Alla ripresa, di tutto succede nel pezzettino restante contro la Roma, ma il punteggio rimane 1-1, poi i guerrieri ritrovano in casa concretezza e fanno un sol boccone del Genoa. Due li segna Barrientos, uno Bergessio e uno (dagli undici metri) Lodi. Mette il pallone nella maglietta Ciccio e mima il pancione: «Il gol lo dedico a mia moglie, aspettiamo un altro bambino». Per 45 minuti, sul campo della Juve, gioca alla pari la compagnia: passa in vantaggio e sfiora il raddoppio. Nel secondo tempo non è rinunciataria ma manco reattiva. Rimane in dieci uomini e, incapace di creare una linea Maginot, ne becca tre. Mercoledì 22 febbraio, a Siena l’eroe è Carrizo che tira fuori gli attributi e fa guadagnar tre punti vitali. Quattro giorni più tardi c’è il Novara in casa. Apre le danze il Toro Bergessio su assist di Barrientos, poi tocca a Marchese che sfodera un gran sinistro al volo su calcio d’angolo. Infine al sigillo d’uno straripante Gómez segue la marcatura della bandiera dei piemontesi. La spensierata carovana produce calcio champagne, attacca la profondità e fa girare palla. Difficilissimo districarsi nella melassa di passaggi, scambi e incroci che anima il suo gioco. Vive un momento d’oro, per tutti è il piccolo Barcellona e a Milano contro l’Inter esibisce una schiacciante superiorità tattica. Alla Scala assoluto padrone della mediana è Sergio Almirón che strappa palloni in quantità industriale e si propone in pressing con la naturalezza di un ventenne. La cricca va in gol con Gómez e Izco, anche se la seconda segnatura è viziata da un fuorigioco; nella ripresa diventa eccessivamente leziosa e una papera di Carrizo facilita la rimonta nerazzurra. Dopo lo zero a zero raccolto a casa di un disperato Cesena, il vantaggio sulla zona calda sale a dieci punti. Quando conquista l’en plein su Fiorentina e Lazio, accarezza zone nobili e mai esplorate della graduatoria il veliero guidato da Montella. Queste vittorie lasciano intravedere scenari imprevedibili ma il più grande record è societario con il quinto bilancio utile di fila per un ammontare di 25 milioni. Grazie al nuovo centro sportivo le immobilizzazioni immateriali salgono a 55 milioni tondi tondi. Al “San Paolo” l’elefante par alle corde contro il ciuccio, poi mostra i muscoli e con il passo del pugile sornione strappa il 2-2. «Sesto, ottavo o settimo posto? – scherza Montella – Lo vedremo cammin facendo».

Appena giunge il Milan, lo stadio è gremito; la gara, un capolavoro di possesso palla e verticalizzazioni, termina 1-1. A otto turni dalla fine c’è la possibilità di raggiunger la qualificazione per l’Europa League. Seguitano tuttavia a pizzicarsi presidente e a.d. «Lo Monaco –apre l’uno – ha firmato per altri due anni ma se va via verrà uno più bravo». «I contratti – replica l’altro – possono esser stracciati ma non anticipo le mosse future». Si avvicinano gli scampoli di fine stagione: la barchetta è sazia e in riserva di carburante. A corto di stimoli ed energie raccoglie tre kappao di fila, poi reperisce la vittoria casalinga sull’Atalanta.

 

Bye-bye zio Pietro, arriva Gasparin

È di 9 milioni di euro l’aumento del capitale sociale deliberato dall’assemblea straordinaria dei soci e interamente versato da Finaria e Meridi (le società che detengono il pacchetto azionario del club). «L’operazione – sottolinea Pulvirenti – determina un consolidamento patrimoniale per affrontare i progetti in programma il prossimo futuro». Lunedì 23 aprile, accipicchia, son palesi i rancori di zio Pietro: «Pulvirenti è l’unico presidente che guadagna senza far niente. Quando l’ho preso, il Catania era pieno di debiti; in otto anni è andato in A e c’è rimasto superando la fase debitoria. La patrimonialità è di 350 milioni di euro, con un centro sportivo che ne vale 150, 65 milioni di utili, di cui 45 di plusvalenze. Tre mesi fa mi ero dimesso per gravi motivi, ora la società è in piena salute e solo un demente potrebbe farla fallire. Oggi provo un oceano d’amarezza».

Con due pari esterni con cugini rosanero e giallorossi romani e le sconfitte interne contro Bologna e Udinese si chiudono i battenti. La sesta salvezza consecutiva in A, i 48 punti raccolti, il gioco gustosamente offensivo, lo scettro di Trinacria strappato al Palermo dopo oltre un ventennio e la licenza UEFA per il 2012-‘13 – seppur con uno stadio fuori sede – descrivono record esaltanti. «Le nove reti, – parla il bomber Ciccio Lodi – i tifosi, lo spogliatoio e la dirigenza mi hanno ricaricato. Niente Nazionale ma non mi sono mai illuso». Anche Legrottaglie incornicia il suo torneo. «L’avevo detto – è felice Nick – che non venivo a svernare: qui sono resuscitato».

Dopo febbrili trattative, frattanto il totem di Lo Monaco sguscia al Genoa e qualche giorno dopo sgattaiola l’Aeroplanino alla Fiorentina. E si becca, perdinci, una denuncia un cittadino catanese di 54 anni di cui si conoscono solo le iniziali. La Digos infatti, scopre che è P.B. l’autore di una missiva di minacce a Pulvirenti in merito al rafforzamento dell’organico con tanto di calciatori da acquistare e atleti da non cedere per nessun motivo. Nondimeno la Wind Jet mette in mobilità oltre 500 dipendenti, ma la barra diritta sul pallone mantiene il presidente. «Il Catania – parla Italo Cucci – andava e veniva dalla Serie A, ora è nella storia. Per il futuro prenderei un dirigente che assicuri stabilità e fair play finanziario». «Vorrei capire – si spreme le meningi Pulvirenti – a chi mai corrisponda quest’identikit».

Giugno è alle porte e a cavallo del Liotru un nuovo membro del consiglio d’amministrazione s’accomoda. Si tratta di Sergio Gasparin che nella tasca destra dei pantaloni ha la nomina fresca di a.d. del Catania Calcio.

 

 


2012-’13: Serie A

Un anno ricoperto d’oro

 

I messaggi di Gasparin e le scalate di Maran

Con modi aggraziati ma autorevoli penetra in città il nuovo a.d.: vuol egli far filar ogni cosa e recapitar dispacci è la prima mossa. «Chi pensa d’andar via, sappia che servono le condizioni giuste. Quello che riporta ”Il Sole 24 Ore” è in linea con una struttura forte di un capitale sociale di 25 milioni di euro».

Affinché non perda colpi il settore dirigenziale, promosso a responsabile dell’area tecnica è Bonanno. «Rendo grazie a Lo Monaco – attacca questi – che si sobbarcava notevoli responsabilità. Ora faremo tesoro dei suggerimenti del presidente». Gli fa eco il d.s. Nicola Salerno: «Dieci anni dopo l’esperienza coi Gaucci, accetto con orgoglio questa grande possibilità». Sbalzato qui il mister designato non ci son stelle filanti ma un’irritante nebbia di scetticismo. Lui è Rolando Maran da Trento: schivo, pragmatico e con l’hobby delle arrampicate. Intenditor di vino e amante degli U2, è pronto a esordir nell’Olimpo del pallone «Pratico la roccia e so che non bisogna voltarsi indietro. Ai giocatori dirò di aver il coraggio di sbagliare, non la paura».

In ritiro l’8 luglio si rivedono le facce di Sciacca, Andújar, Keko, Antenucci, Álvarez, Moretti e Morimoto. Con loro trotterellano anche i nuovi innesti: la punta Doukara, il portiere Frison e il centrocampista Salifu. Dieci giorni in là atterra il giovane Lucas Castro, argentino in odor di Selección. Lo attende a Fontanarossa il procuratore Cosentino, lì con Gasparin e Salerno. Lucas calza il 44 e per questo lo chiamano El Pata, vale a dire il piedone. «Non sono Barrientos, ma vorrei anch’io far innamorare i tifosi. Sono un laterale offensivo ma mi adatto al centro».

Poco lusinghiero è il bilancio del protocollo estivo: più passaggi a vuoto che onori. Invero, i tifosi stanno col fiato sospeso e temono catastrofismi a proposito della spinosa vicenda del crack di WindJet. «Nessun pericolo, – parola di Nino Pulvirenti – la compagnia aerea e il Catania sono Spa autonome».

Seppur dopo molto sudore, all’esordio in città in Tim Cup Gómez risolve la pratica Sassuolo. Tra ricordi di trionfi in tribuna l’ex Pantanelli abbraccia il presidente. Poco oltre sbarca giù un difensore di 23 anni proveniente dal lontano Uruguay: Alexis Rolín. Dopo un po’ di mercanteggiamento, è fumata bianca per il rinnovo di Barrientos. Per firmar l’accordo fin al 2015 galoppan qui gli agenti Jiménez e Cosentino. Anche il Papu è felice: «A Catania mi sento importante e a questo club sono grato». «In passato –ammette Andújar- ho commesso errori, ora rivoglio la nazionale».

 

Una lupa che trema

È uguale identico all’anno precedente l’arrembante plotoncino di scena contro una Roma impaurita il 26 agosto. Son tutti bravi nella Capitale ma un plauso va al multiforme Giovannino Marchese che chiude, corre, crossa e allo scoccar della mezzora va in rete in off-side non rilevato. Sfiora poi Gómez il 2-0 ma allorquando perviene il pari c’è un guardiapali non esattamente reattivo. Quindi il Papu, imbeccato da Lodi (in fuorigioco), concretizza in contropiede; allo scadere Andújar si fa infilzar daccapo e nemmeno questa volta è incolpevole. Nel recupero la trasversa nega al subentrato Castro il gol vittoria al suo esordio italiano. Tra le mura amiche, sette giorni dopo, l’avvio è un monologo spregiudicato di Barrientos e Gómez, però segna il Genoa. Nella ripresa esce Almirón ed entra Castro che porge a Bergessio il pallone dell’1-1; su un corner poi il Toro bissa di testa. All’82‘, sotto l’acquazzone, i ritmi si alzano e i liguri pareggiano. La falange non perde la voglia di lottare e guadagna una punizione dal limite. Il numero 10 Lodi poggia la palla di cuoio sulla zolla d’erba e la scruta accuratamente; quindi socchiude gli occhi e poi calcia come solo lui sa: 3-2. Sul fil di lana bravo è Andújar su un tiro ravvicinato e su un colpo di testa. In pole-position però spicca Lodi, motore pensante e mattatore con 110 tocchi. Disturba Ciccio come una zanzara: induce all’errore e riparte.

Al cospetto dei gigliati di Montella giunge uno stop, poi sette giorni oltre Álvarez si fa subito espellere da Bergonzi; la cooperativa di Maran si trasforma in corazzata e blocca il Napoli al “Massimino”. A capo chino, critico con la stampa è Pulvirenti: « Non è col disfattismo che si migliorano le cose». Il 26 settembre una cappellata di Andújar da cineteca degli orrori dà la sveglia. Rimette ordine Nicolás Spolli con una capocciata, poi Barrientos su dolce invito di Gómez firma l’entusiasmante 2-1 sull’Atalanta. Otto punti in cascina sono un bel gruzzolo ma partoriscono un’anomala allegria che significa tonfo a Bologna per 4-0. Appena scende giù il Parma alla combriccola bastano 60 secondi per ritrovar l’equilibrio tattico-psichico e il vantaggio. La parola fine la scrive Bergessio che raddoppia e porta i suoi al quinto posto. Tornato a seguir da vicino la congrega, a tutti sorride lo storico capo della tifoseria Ciccio Famoso. Ma poi a San Siro un buon inizio non basta per uscire indenni contro un Inter non trascendentale la legione cede per 2-0.

 

 

«Vergognoso al Cibali»

Per il lunch-match del 28 ottobre giunge in piazza Spedini Sua Maestà, la zebra nerobianca campione in carica, capolista e imbattuta in campionato da quarantasette turni. In città il tempo è bello, non ci son nuvole e la temperatura è ideale per giocar a pallone. La contesa si sgroviglia per lo più a centrocampo fin quando l’elefante prende coraggio. Al 25’ Marchese crossa da sinistra e il pallone lo sfiorano prima Spolli e poi Lodi; dopo la carambola sul palo, Bergessio brucia tutti e insacca. Il signor Gervasoni convalida e insieme ai guardalinee marcia spedito verso il centrocampo: Catania 1, Juve 0. Ordunque, capitanati da uno scatenato Simone Pepe, ecco scaraventarsi in campo i componenti della panchetta torinese, pronti a stringer d’assedio un assistente del direttore di gara, bloccandone la corsa. Il placcaggio messo in scena nei confronti del segnalinee Luca Maggiani è solo un fotogramma della furibonda protesta juventina. Ebbene, un minuto dopo aver assegnata la marcatura, capovolge la sua decisione la giacchetta nera: decreta egli un inesistente fuorigioco e annulla il gol. Nondimeno sfoggia i muscoli ai rossazzurri e divide loro cartellini gialli come confetti durante un battesimo: espulso è Marchese dal rettangolo verde e financo Pulvirenti dalla panchina. Quando però va in gol la Madama con un’azione viziata da un chiaro off-side, per un intero pacchetto arbitrale senza dubbi è tutto regolare. Catania-Juventus termina 0-1 ma la partita è viziosamente falsata. Al 90‘ gli applausi di scherno e il coro «Ladri, ladri» salutano uno per uno quei campioni di sport, ancora una volta, imbattuti.

«La terna mastica amaro Pulvirenti- aveva dato il gol, poi i giocatori della Juve l’hanno annullato. Abbiamo assistito alla fine del calcio, però qualcuno mi spieghi come può una panchina far annullare un gol. Cosa si può fare per far sentire la nostra voce? Una minchia». «Inutile rammaricarsi -scrive Gino Astorina-, in settimana la Signora oltre ai calci piazzati si allena a “panchina blocca segnalinee”». «La mente torna, – prosegue Gasparin – a domenica scorsa quando perfino l’Inter ha ammesso il rigore non fischiato su Gómez».

«Il Catania – si legge sul sito ufficiale – sostiene l’accettazione dell’errore arbitrale. Ciò che un direttore di gara non può fare è lasciare che i calciatori di una squadra, partendo dalla panchina, giungano a circondare un assistente di gara, reclamando attenzioni senza incorrere in sanzioni disciplinari». «Neppure lo sceneggiatore più creativo – seguita il giornalista Oliviero Beha – avrebbe potuto immaginare un copione come questo. Quando la Juve era in disgrazia post Calciopoli, erano mazzate, adesso è tornato tutto come prima. È guasto il Paese, guasto il calcio e il tifoso che vuol vincere comunque».

 

The show must go on

Un manipolo rabbioso strappa un punto a Udine e arrota la Lazio impallinandola quattro volte; fa quindi 0-0 a Cagliari e supera in casa i mussi volanti” del Chievo. Il 24 novembre poi fa visita al Palermo, la nuova patria calcistica del deus ex-machina Lo Monaco da poco congedatosi dal Genoa. «A Catania –borbotta Pietro- l’apporto di Pulvirenti per accrescere il club è stato pari a quello dell’autista». «Violenza verbale, volgarità e insulti –replicano da Torre del Grifo- non fanno più parte della nostra società». Pessimo è però l’approccio alla disfida; anche per soggezione all’ex mentore un piroscafo senza vis pugnandi vien preso a pallate e affondato. «Siamo stati bruttissimi -spiega un accigliato Gasparin – e il 3-1 lo testimonia. Nel primo gol eravamo in possesso del pallone ed è finito ai nostri avversari. Non ci sto». L’ultimo dì novembrino ci son sedicimila esseri umani a ribollire al “Massimino” per la gara contro i milanisti. Dopo un primo tempo in vantaggio, il “Pitu” si fa buttar fuori. In sette minuti i rossoneri fanno pari in fuorigioco e ribaltano. «Che v’avevo detto? –sbotta in tribuna vip il sindaco Stancanelli- Barrientos ha rovinato la partita».

Giunto è dicembre quando Bergessio e Lodi regalano gli ottavi in Coppa superando col fiatone il Cittadella. L’indomani dell’Immacolata a Siena un incidente di percorso di Legrottaglie con annessa scivolata è il manifesto del primo tempo, quindi Bergessio si trasforma in assist-man e smarca Castro nel cuore della difesa: 1-1. Poi Lodi apre per Gonzalo che segna con un morbido tocco; infine Bergessio fa doppietta raccogliendo una palla vagante sugli sviluppi di un angolo.

Dopo la maratona di rigori, il 12 dicembre si espugna il ”Tardini” di Parma e si guadagnano i quarti di Coppa. Quattro giorni in là Paglialunga, Bergessio e Castro stendono la Samp.

Il bastimento gioca a memoria e tira continuamente in porta. Quando becca uno schiaffo non porge l’altra guancia, piuttosto s’arrabbia di brutto. Se poi sale in cattedra il “Pitu”, questi esprime raffinatezza, aperture magistrali e tocchi di classe cristallina. Il lavoro del mister è sotto gli occhi di grandi e piccini. Con cambi adeguati e calma olimpica, mastro Maran trova la chiave vincente. Il pacchetto arretrato lo comanda un Legrottaglie che somiglia a un principe illuminato dalla luce di Gesù. In campo Nicola è capace di ripetere eccellenti performance; Andújar affronta le cose con serenità e Álvarez non tira indietro la gamba, anzi randella e corre su e giù per la fascia. Accanto agli indomiti Almirón e Biagianti, Lodi fa da calamita-lampadina e tiene banco. Izco è l’uomo ovunque e somiglia all’Hiroshi dei cartoni: capitan Mariano ha l’accelerazione di Jeeg Robot d’Acciaio. Sulla corsia mancina, il Papu è veloce e straripante più di un tornado. I dribbling di Lucas Castro tagliano a fette le difese nemiche in senso diagonale, mentre il marchio di Bergessio è il suo sguardo buono. È una forza della natura Gonzalo, corre col pallone e senza fin al limite della propria area e fa a sportellate col nemico. Frison, Salifu, Paglialuga con Rolín, Keko e Doukara prendono confidenza e il solo Morimoto rimane improduttivo.

 

 

La fine del mondo

Venerdì 21 dicembre 2012 è la data nella quale la profezia Maya annuncia tempeste magnetiche planetarie, eruzioni vulcaniche e scenari apocalittici. Nella città di D’Annunzio, sotto i colpi d’un devastante uragano pomeridiano, è pesante il terreno dello stadio di pallone. Con un tiro al volo dalla lunetta Pablo Barrientos risponde al vantaggio avversario; convinta di far un solo boccone degli adriatici, l’ammiraglia etnea è padrona del campo. Spreca quattro occasioni limpide, colpisce un palo e infine segna; a ogni buon conto la marcatura, seppur regolare, le viene invalidata dall’arbitro Romeo e da chi lo collabora. All’ultimo minuto di recupero una punizione da fuori area somiglia a una gomitata nell’addome e dà ragione all’oracolo di malasorte e disgrazia: Pescara-Catania 2-1.

Con la sfida interna col Toro principia il 2013. Prima dell’inizio a Sky Pulvirenti parla di Lodi: «Non so nulla dell’Inter e da qui non si muove nessuno». Al 15‘ Ciccio da Frattamaggiore centra un avversario con uno scappellotto e Bergonzi gli sventola il cartellino rosso sotto il naso. Poi Bergessio manda sulla traversa un rigore e il match s’inchioda sul nulla di fatto. «Certe cavolate – parla chiaro Legrottaglie – non si dovrebbero fare». Alla piroetta di boa di fine andata, l’aquilone vira a quota 26, un bottino encomiabile. All’Olimpico l’8 gennaio sono timidi e beccano un indigesto 3-0 dalla Lazio in Coppa. Nelle susseguenti sette domeniche nel miglior modo sopperiscono a squalifiche e infortuni. Invero, con la bellezza di sedici punti, si vola diritti diritti in Paradiso.

Cose da fine del mondo !

Con addosso l’etichetta di oggetto misterioso nonostante sei anni di A, trova un ingaggio a Dubai Morimoto. Con lui va via anche Paglialunga e intanto giunge l’attaccante albanese Edgar Çani, 23 anni. Ma soprattutto zio Nino è eletto consigliere federale. «Da otto anni – recita l’annuncio sociale – il presidente è l’indiscusso timoniere d’una navigazione che lascia alle spalle un mare di progressi. Il presidente conquista simpatie e consensi grazie a un perfetto equilibrio di silenzi e dichiarazioni mai banali».

La classifica è intrigante e strizza l’occhio a traguardi memorabili: inseguire l’Europa League è un dovere. In campo, il rendimento del “Pitu” è la ciliegina d’un gruppo che getta la maschera e compila il passaporto. Pablo è l’architrave dello scacchiere rossazzurro: si sacrifica senza risparmio e si rende utile perfino addomesticando il pallone in difesa. Ha gli occhi scintillanti come monete d’oro don Rolando quando afferma: «Che goduria veder inventare Barrientos». Si rivede Adrian Ricchiuti, nondimeno c’è una grana: il caso Marchese. Spesso e volentieri escluso è Giovanni dai convocati. È in scadenza e si vocifera di un accordo con il Genoa per la prossima stagione. «Io so come finirà – si sbilancia Pulvirenti -, però fino al 30 giugno resta un nostro giocatore».

 

 

Cavalcando alle porte d’Europa

Nella corsa al treno continentale, domenica 3     marzo ventimila spettatori son seduti per assistere allo scontro cruciale. «Tentare si può, vincere anche. Avanti Catania regalaci un sogno» recita uno striscione in curva Nord. Il primo tempo è una favola fatta di pressing, verticalizzazioni e scorribande. Al 7‘ Bergessio vince un contrasto sulla linea di fondo e martella in rete. Al 19‘ Lodi batte una punizione per Marchese che stacca di testa e con un pallonetto raddoppia. A inizio ripresa Gonzalo manca il 3-0, poi subentrano paura di vincere e calo fisico e ci si fa trafiggere tre volte in quaranta minuti. Catania-Inter 2-3: così voglion gli dei del pallone. «La squadra di Maran –si sgola Riccardo Cucchi a ‘Tutto il calcio minuto per minuto’è la sorpresa più bella del campionato e non esce ridimensionata da questa gara». Sette giorni più in là allo ‘Juventus Stadium’, allo scadere il gol bianconero vanifica un’ottima gara di contenimento. «Che ingiustizia, – è deluso Castro- una gamba tesa su di me l’hanno vista tutti tranne l’arbitro». Dopo i due schiaffoni rimediati giunge un’Udinese che sgomita in graduatoria. Due splendide giocate del trio delle meraviglie Pitu-Pata-Papu regalano al piccolo ma gigantesco Gómez la gioia della doppietta. Poi Lodi realizza una punizione con l’aiuto della barriera e rimette tutti quanti sulla rotta maestra. Intanto il transatlantico rossazzurro solennizza il sesto bilancio di fila in attivo e studia per assicurarsi la patente europea. Ricavi e diritti tv sfiorano i 30 milioni. Sotto controllo costi e stipendi, la gestione di svariate plusvalenze rende autosufficiente il club. Con un oculato management si può pagare il centro sportivo: tra ammortamenti e interessi sono 3 milioni l’anno. In tutta tranquillità, il presidente aumenta di due milioni il capitale e si stacca un dividendo di novecentomila euro. La nota stonata è la citazione depositata al Tribunale da parte dell’ex dirigente Lo Monaco con la richiesta di arretrati per 6 milioni e 650 mila euro, quale riconoscimento del suo stipendio da amministratore delegato.

Sabato 23 marzo fan festa tre generazioni di appassionati rossazzurri. In cinquemila siedono a contemplar il ritorno per beneficenza di eroi come Oliveira, Ciceri, Picone, Benincasa e Cantarutti. Sette dì oltre, la pattuglia va in vantaggio nella tana della Lazio con un fortunoso gol di Izco, ma poi si fa notte fonda e le busca di brutto. Arriva il caldo, compaiono gli sbadigli e svanisce la strategia d’aggredir gli avversari; non è esaltante lo show d’aprile e si racimolano tre miseri punticini.

Sulla scia del ‘Progetto scuola’ parte l’iniziativa denominata tribuna verde. Giù il cappello! È un concreto segnale d’attenzione agli studenti delle scuole medie inferiori che la domenica hanno 200 posti riservati. «Da qualche anno – spiega Pulvirenti – i ragazzini non indossano le maglie dei grandi club ma la nostra. Per me è la più bella vittoria in questi 9 anni». Dissolta l’occasione di entrare nella storia dalla porta principale, i sogni diventano miraggi; ma in cassaforte c’è da tempo la salvezza e ci si limita a scrollar le spalle. Il 5 maggio nessun guerriero fa gli sconti al Siena. I due leoni sono il Pitu, protagonista di una prestazione sontuosa, e Bergessio che realizza tre reti e si porta a casa la sfera di cuoio.

In casa doriana il mister fa fronte all’assenza di Álvarez, schiera Izco terzino e preferisce Rolín a Legrottaglie. Però ritrova Almirón e pure il tridente titolare. Si soffre e s’acciuffa il pari con Spolli imbeccato da Bergessio partito in fuorigioco. L’11 maggio c’è la festa per l’ultimo impegno casalingo contro la cenerentola Pescara. Pablo Barrientos è in spolvero e fa l’artista, poi Alejandro Gómez regala i tre punti. La scena finale è da immortalare: i carusi a centrocampo trascinano un bandierone rossazzurro e lo sventolano piroettando. Il sipario si chiude a Torino domenica 19 maggio con l’esordio di Bruno Petković. Ha diciott’anni il gioiellino della Primavera e di lui si dice un gran bene. Il pari conquistato in scioltezza significa punto numero 56 e l’ingresso nel G8 d’Italia.

Rullano i tamburi, mentre i numeri ribadiscono la miglior graduatoria di sempre in A e il più alto totale dei punti. Il condottiero Maran, con Almirón, Izco, Andújar e Legrottaglie prolungano il contratto e mette piede in città un pezzo di futuro. È l’attaccante Sebastián Leto, ex Liverpool e Panathinaikos, argentino e classe ’86. Assistito dal procuratore Pablo Cosentino e reduce da un brutto infortunio al ginocchio destro, firma per quattro stagioni. Infine, «per aver dato lustro alla città grazie ad eccellenti risultati sportivi» in pompa magna il sindaco Raffaele Stancanelli consegna le chiavi della città ad Antonino Pulvirenti.

Non ci sono aggettivi per definire un’annata condita dai fuochi d’artificio e ricoperta d’oro. Il sodalizio consegna agli almanacchi un campionato mirabolante, destinato a passar indelebilmente alla storia. L’ottavo piazzamento eguaglia la classifica delle stagioni 1960-’61, 1963-’64 e 1964-’65. Scocca altresì l’ora di un nuovo traguardo: la vittoria sul Bologna datata 17 febbraio 2013 è la 150° nella massima divisione (a fine stagione diventano 154). Per chi ancora sazio non è, c’è una sfavillante differenza reti, la migliore mai fatta registrare.

Con tutto ciò, 24 ore dopo il triplice fischio di Torino, Sergio Gasparin prepara i bagagli. Senza ampollosità, Nino Pulvirenti gli porge i saluti: «Sergio è una persona per bene. Di più, un signore: a Catania ha lavorato con assoluta serità».

Mercoledì 22 maggio 2013 a Torre del Grifo è programmata la conferenza di commiato dell’a.d. Ma poi, all’ultimo momento la stessa si tiene altrove. Con voce sobria il motivo lo spiega Gasparin: «Siamo in una terra in cui gli sguardi sono più importanti delle parole. Mi sento la maglia rossazzurra ancora addosso e a Pulvirenti dico comunque grazie. Il presidente aveva detto che c’era un problema? Ed è legato a una riservatezza e a una lealtà nei suoi confronti. Che io mantengo».

 

 

 

 

 

 

2013-′14: Serie A

Il patatrac

 

«Oh quanto siamo belli e bravi»

Calato un pirotecnico sipario sulle visioni d’Europa, il bilancio in attivo e un basso profilo profumano di calcio virtuoso d’alta caratura. Dopo le lusinghe incassate in ogni dove, a passi lenti ma convinti, si avvicina l’ottava volta di fila nel grande circo del pallone. Ma bisogna cancellar tutto perché il nuovo campionato non ha il vantaggio accumulato nel torneo 2012-‘13. «Il vecchio gruppo di lavoro -spiega Pulvirenti– si stava specchiando sui risultati: oh quanto siamo belli, oh quanto siamo bravi. Il ruolo del tuttologo è fuori dai tempi e abbiamo allestito l’area tecnica, amministrativa e strategica: i risultati li vedremo l’estate prossima. Illusioni zero e zero promesse: il nostro motto resta la salvezza. Il vanto per me sono i conti in ordine». «Lucas Castro -va avanti Bonanno- è ben inserito nei nostri meccanismi, in più è arrivato Sebastian Leto che ha numeri da primadonna: dribbling stretto e tiro potente».

C’è una novità: il vicepresidente del consiglio d’amministrazione. Pablo Cosentino: argentino, 45 anni, agente Fifa. Ha un’enorme croce dipinta sulla schiena, vasti tatuaggi e proprietà immobiliari a Miami, Punta del Este e Buenos Aires. Nel paese della pampa si occupa di mercato immobiliare e gastronomico. «Cosentino –ribadisce Pulvirenti- è un esperto di calciomercato che rinuncia alla tessera di agente ed è responsabile di ogni movimento ma programmazione e bilancio restano le prerogative che ci hanno distinto come modello d’eccellenza in Europa. Non possiamo però restare in un impianto non coperto e privo di porte nei bagni. Entrare al Cibali tra recinzioni e grate è una sfida impossibile. Il tifoso va accolto come si deve e coccolato».

Vanno via Paglialunga, Sciacca, Morimoto, Gòmez, Lodi, Marchese, Salifu, Doukara e Çani. Pervengono Gyömbér, Monzón, Freire, Tachtsidis, Peruzzi e il giovane Boateng. Dopo una stagione alla Samp, torna alla base pure il biondo Maxi. «López riparte il boss- è un nostro patrimonio e vorrei raccontasse cosa accadde tre anni fa. Il tecnico è lo stesso, abbiamo migliorato la squadra. Monzón era in Nazionale e potrebbe tornarci, Freire era un’operazione già conclusa».

Grazie a forti sconti per i nuovi abbonati, una girandola di compiacimenti raggiunge i piani alti di Torre del Grifo. Allorquando colà sta per principiare il ritiro, le tessere vendute sono 5500. Il calendario appeso al muro segna la data di giovedì 11 luglio.

Lo scoop-frottola di Sportitalia

Durante ‘Aspettando il Calciomercato’ la stessa sera un certo Michele Criscitiello svela in diretta tv la presunta cessione del club. In città la notizia dell’addio di Pulvirenti dà vita al panico. Secca è, il dì seguente, la smentita del Catania che comunica di aver conferito mandato ai propri legali per «agire nei confronti degli autori delle suddette deliranti illazioni». Ordunque il patron non molla e quasi tutti i tifosi etnei tirano un sospiro grande come un elefante.

«Che finimondo! –ricomincia Criscitiello su Tuttomercatoweb– Comunicati ufficiali, mancate risposte in diretta, interviste a giornali e radio. Chiediamo solo di rispondere a queste domande giornalistiche.

  1. Il Calcio Catania è ancora facente parte della Finaria?
  2. Il Calcio Catania prevede in futuro l’ingresso di Cosentino come socio di minoranza o maggioranza?
    3. La WindJet ha a che fare con la Finaria? Se sì, cosa?
  3. Che ne sarà delle 540 famiglie di lavoratori WindJet?
    5. I 330.000 biglietti venduti, e mai rimborsati agli utenti, hanno portato nelle casse circa 10 milioni di euro. A cosa sono serviti e dove sono finiti?
  4. Come mai ha minacciato di deferire Maxi López, quando invece Cosentino aveva dato l’ok per un arrivo fissato per la giornata di ieri perché con qualche chiletto di troppo?

Dopo queste domande, bisogna fare i complimenti a una società del valore patrimoniale di circa 300 milioni di euro. Solo la serie A ne vale 50-60, Torre del Grifo altri 120 milioni ed il restante è rappresentato dalle plusvalenze dei singoli calciatori. Pubblico fantastico e gente eccezionale. Presidente, La saluto. Quel signore…».

«Il Catania più forte di sempre»

Ospiti del patron Pulvirenti, profumano del sole di Sicania le vacanze dell’a.d rossonero Galliani e del numero uno della Lazio, Lotito. Tra l’Isolabella di Taormina e l’Etna, si sollazzano tre big del calcio nazionale. Con loro in piscina, in barca e nei pranzi di gala ci sono Pablo Cosentino e Nelio Lucas, ideatore del fondo inglese Doyen Sports. «Tutti uniti faremo grandi cose, –batte la grancassa Bellusci su Twitteril Catania di oggi è il più forte di sempre». Contento è, dopo il 10-0 sul Ragusa, anche Maran: «Una bella risposta, malgrado il caldo». Il vernissage è in programma il 3 agosto al ‘Piola’ di Novara in una partitella vinta per 3-2. Tre giorni più in là a Varese la gara è amichevole per modo di dire. Davanti all’’Ossola’, tra i tafferugli, un paio di ultras rossazzurri rimangono feriti.

Il vero fischio d’inizio è fissato per il 26 agosto in quel di Firenze. Laddove il convoglio torna a casa a mani vuote, sconfitto per 2-1. Il dì seguente se ne vanno Doukara e Biagianti e arriva il biondo centrocampista Tiberio Guarente. Il primo settembre a calpestar la sacra erba del “Massimino” c’è l’Inter ma non Barrientos, dato per partente verso il Qatar. Di fronte a ventimila spettatori però c’è Leto che sciupa una grossa occasione. Poi la difesa si apre come il mar Rosso e la disfida finisce 0-3 per gli ospiti per la gioia di tanti catanesi nerazzurri imboscati sugli spalti. Intanto Nicolás Spolli diventa “senatore” e firma il prolungamento fin al 2016. Al Picchi di Livorno debuttano Cristiano Biraghi e Jaroslav Plašil (86 presenze e 6 reti in nazionale ceca) ma c’è il terzo k.o. Il portiere balbetta, i terzini fanno i ballerini, i centrocampisti son latitanti e l’attacco vince l’Oscar della sterilità. Senza nessun punto, un velivolo lento come una lumaca staziona a terra sul fondo della graduatoria. «Prima di tutto –suona la carica Pulvirenti- dobbiamo salvare la Serie A. Ma che dobbiamo dar conto a chi ci dimostra invidia?».

Ventiquattr’ore dopo priva di idee è la timida rappresentativa; sotto gli occhi di tredicimila testimoni, il confronto casalingo col Parma termina mestamente 0-0. Il mister resta fiducioso: «C’è lo spirito giusto». Invero i numeri sono impietosi: in quattro partite una sola è la rete messa a segno, contro le sette subite. Un cronico ritardo di condizione è il tallone d’Achille di una compagine a capo chino alla ricerca d’identità. Tachtsidis è un armadio ambulante senza fosforo e fa rimpiangere Lodi, Almirón paga un po’ di guai fisici. Orfana di Marchese e Gòmez, la catena di sinistra non la supportano, infine, le sporadiche discese di Monzón, Leto e Castro. Ma soprattutto non c’è in rosa un calciatore capace di dribblare l’avversario e nemmanco uno in grado di mordere le caviglie al faro del centrocampo avversario.

All’Olimpico la papera di Andújar, lo svarione di Guarente e il cartellino rosso per Bellusci spiegano il nuovo tonfo per 3-1. «Semu marca Liotru, -schiamazzano i tifosi– memoria lunga ma non pazienza infinita.» «Faremo più punti dell’anno scorso», getta acqua sul fuoco il sommo leader dirigenziale. Il 29 settembre in città ormeggia il Chievo e Plašil accende la luce illuminando la parte centrale del rettangolo verde. Grazie a cuore e grinta un successo per 2-0 giunge. Sette giorni dopo, opposta al Genoa, la ghenga fa un passo indietro. Ai suoi dodicimila tifosi palesa i propri impacci, i ritmi li dettano i grifoni e il match termina 1-1. Il 19 ottobre al Sant’Elia una gagliarda inzuccata di Bergessio apre le danze. Poi il Cagliari pareggia con un tiro che sembra un fulmine e al 40° Legrottaglie compie un gesto poco zen e viene espulso. Non bastano i miracoli di Frison che para rigore e successivo tap-in. Nella ripresa, poi, sopraggiunge puntuale il 2-1 dei sardi.

 

Via Maran, ecco De Canio

La Sardegna è indigesta per l’allenatore etneo. Pochi cinque punti e una vittoria in otto partite, troppe quattro sconfitte in altrettante trasferte. La scelta del successore cade su Luigi De Canio, 56 anni e una lunga carriera senza allori, tutt’al più da mestierante. Varia il manico, ma non la sostanza: la temperatura è frizzante ma la gara col Sassuolo è senza bollicine. Privo di otto pedine, il drappello non sente alcuna scossa e conquista un misero pari. Ora la classifica fa paura e l’unica nota lieta la regala un eloquente striscione: «La Sud rispetta i veri uomini. Un saluto a Maran». «In cinque -chiarisce De Canio- erano in emergenza. Ci mancano corsa e aggressività».

Sull’altare dello Juventus Stadium, il manipolo si cala al ruolo di vittima sacrificale e rimane in partita mezzora. Poi, sotto la valanga dei campioni d’Italia, crolla. Keko è il migliore ma si smarrisce Guarente, fuori giri, fuori posizione e financo espulso. Poi un’entrata da codice penale di Chiellini costa la frattura del perone a Bergessio. «Un intervento d’una violenza inauditasgrana gli occhi Pulvirenti- spocchioso e vigliacco, commesso sul 4-0 da chi sa di godere d’impunità».

L’ennesima tegola aggrava il morale di un gruppo già zeppo di problemi. Che, quattro giorni dopo, al San Paolo perde di misura contro un Napoli superstar. Gyömbér è la conferma più bella ma tutti paiono tonici e mai domi. Per la prima volta sono intraprendenti tosto che appannati. Quando sul tappeto verde di piazza Spedini piomba l’Udinese, ha un buon approccio il Catania. Spinge sull’acceleratore e dà l’impressione di stringere i tempi; si distende in avanti in modo elegante ma non tira in porta. Poi Legrottaglie si procaccia un penalty che, con freddezza, López trasforma. Nella ripresa spazio ad Izco per i soliti problemi muscolari di Almirón. In un finale teso, tra il supplizio d’un recupero eterno e un rigore solenne non dato ai friulani, brinda ai tre punti la combriccola: Deo gratias. Nel turno successivo – sigh! – è slegata e senza riferimenti. Legrottaglie rovina a terra con la palla e regala un gol, Tachtsidis offre la sua versione peggiore e Guarente fa da assist-man granata. «Catania dove sei? Questa squadra travolta non vede la luce in fondo al tunnel», la voce del cronista Alberto Cigalini ben tratteggia un gruppo molle e in costante affanno: Torino-Catania 4-1.

Lunedi 2 dicembre 2013, dopo la débâcle casalinga con il Milan (1-3), su Telecolor va in onda la trasmissione sportiva Corner. In studio, il presidente entra a gamba tesa sul giornalista Vagliasindi e su Maran: «Chi scrive le pagelle offende senza aver titolo. L’unico rammarico è non aver cambiato prima l’allenatore: la squadra è preparata male atleticamente».

Tre giorni dopo a Torre del Grifo piovono petardi e fumogeni e viene rovesciato un bidone colmo di rifiuti. Cori ingiuriosi insultano tecnico, dirigenti e calciatori: nel mirino ci sono innanzitutto Andújar e Tachtsidis. L’8 dicembre a Marassi una banda rabberciata e ferma sulle gambe replica il consueto capitombolo. «Importante è -riappare Criscitiello quando arrivi all’allenamento, a che ora torni a casa, se tua moglie sta bene in città. Se chi comanda lo spogliatoio è un agente, ne vien fuori l’ultimo posto in classifica». «È singolare –incalza su La Repubblica il penalista Giorgio Terranova- che un procuratore lasci gli assistiti per lavorare con una sola società». «Nelle mie attività –replica il patron– non ho mai avuto soci. Cosentino è il vicepresidente operativo e per questo viene pagato».

Sabato 14 dicembre contro l’Hellas l’undici etneo non trova la zampata vincente e deve contentarsi di un punticino. Tre giorni prima del Santo Natale vola nella capitale, dove comincia male e finisce peggio. Poco votato al sacrificio, si sente impotente e prende gol a mitragliate: la Roma lo randella per 4-0. Immerso tra paturnie mentali e opache contraddizioni, ogni domenica è in apnea e fa cilecca. Compresso tra lacune tattiche e tecniche, non sa giocar al calcio e langue nella graduatoria. Ora La Sicilia dà spazio ai supporter. «Chi glielo spiega attacca Gianluca Reale a De Canio che è meglio se si leva di mezzo?» «La squadra –rimbecca Michele Tosto- è fragile di carattere, non sa reagire alle difficoltà».

 

Il sedere di De Canio sul braciere acceso

Twitta l’ex Christian Llama gli auguri natalizi agli amici catanesi e aggiunge «Se volete salvarvi, dovete mandar via Cosentino». «Con un po’ di fortuna –puntualizza Gigi De Canio- speriamo di trovare il gol, ripartire e centrare la salvezza. Il tecnico del Bologna ha il sedere poggiato sul braciere? Noi di più». A cavallo della scopa della Befana, il 6 gennaio spunta Ciccio Lodi che atterra in campo e striglia tutti. La difesa è sicura, Barrientos delizia, Bergessio è ovunque: Catania-Bologna 2-0. «Dedico la vittoria –è felice il figliol prodigo- ai miei figli, alla mia compagna Lea che è di Catania e a tutta la mia famiglia». Quella di Bergamo, per il buon Izco è la gara numero 200 in rossazzurro. Epperò i suoi compari durano poco, si smarriscono nella nebbia e perdono 2-1. È la decima volta in dieci gare esterne. Il 15 gennaio c’è il rendez-vous per gli ottavi di Tim Cup con il debutto del nuovo acquisto Fabián Gringo Rinaudo, argentino coi bisnonni etnei e amante della motocicletta. I novanta minuti sono sconcertanti, i calciatori di casa paiono zombie e dalle tribune parte la protesta dei tremila presenti: «Cosentino chi è? De Canio torna a casa». Scrosciano gli applausi invero per il Siena che passeggia e vince 4-1. La navicella somiglia a un polpo incapace di venir fuori dalla propria tana, a una barca senza guida in preda ai flutti. A notte fonda la svolta: il potere tecnico ritorna al vecchio mister. «Prima di cominciare gli allenamenti, –implora l’ex Baronchelli- Maran riporti calma nello spogliatoio».

Venerdì 17 gennaio La Gazzetta dello Sport così tratteggia l’operato presidenziale: «Voleva dare una rinfrescatina al locale, ma ha toccato i muri portanti ed è venuto giù tutto. Tolto il perno del gioco e l’anima dell’attacco è crollata l’allegra macchina da calcio che un anno fa virò con il doppio dei punti e che sfiorò l’Europa. L’ha trasformata nel peggior attacco e nella seconda peggior difesa. Affannosa l’opera di ricostruzione: cacciato e richiamato Maran, ripreso Lodi. Pulvirenti è condannato a scalare l’Etna in eterno con Tachtsidis sulle spalle». Due dì più in là, nondimeno, è l’ex-Montella a dar una lezione magistrale di gioco al pallone. In tribuna Pulvirenti con parole volgari vien offeso. «Al Massimino –butta giù Salvatore Scalia- i rossazzurri, bastonati e irrisi dalla Fiorentina, sono stati accusati dai tifosi di essere senza onore e dignità. Hanno perso aureola e attributi cavallereschi. Incapaci di reagire, apparivano i relitti di un naufragio sportivo, economico ed esistenziale. Sembrava il crollo di un regime: prima sul campo di battaglia sbandano le truppe poi vien messo in discussione il potere centrale che in preda al panico cerca di tappar falle cacciando e richiamando soldati e generali».

Nel trittico di tappe successive giungono tre pari, di cui due fuori casa; la compagnia torna a sentirsi viva e rosicchia punti alle concorrenti. «Sta tornando a galla –strepita Rolin- la nostra vera forza». «Negli occhi del Catania –aggiunge Maran- leggo la salvezza». La Sicilia frattanto spara strampalati articoli a raffica improntati a uno sfrenato ottimismo; a più d’un lettore torna in mente Oscar Wilde: ”Siamo nella fogna, ma alcuni fissano le stelle”. Approda intanto Francesco Fedato ma vanno via López, Tachtsidis e Guarente. In piena crisi coniugale è la Gallina de oro, impalpabili come amebe son gli altri due. Scappa via anche l’oggetto indecifrabile Federico Freire e suo papà perde il controllo: «È un bene che sia finita questa farsa. Una mancanza di rispetto, una vergogna».

Alle 12,30 del 16 febbraio, Catania è baciata da un sole primaverile e i suoi picciotti appaiono spumeggianti. In campo Izco, Spolli e Peruzzi son sugli scudi e abbattono l’aquila laziale. In panchina Pulvirenti piange, ride, prega, snocciola un rosario e abbraccia forte Maran. È sicuro il giornalista Franco Lauro di 90° Minuto: «È cambiato il vento: il Catania se la gioca eccome». Buone nuove per Peruzzi che è nervoso ma bravo e si ripresenta in Nazionale argentina con Andújar. A ruota li seguono Gyömbér che esordisce con la giubba bianca della Slovacchia contro Israele e Biraghi chiamato nientemeno che per uno stage azzurro da Prandelli.

 

Caduta libera

Viceversa, l’anemico battaglione dalla pachidermica lentezza sospende la ministriscia positiva ed entra in prognosi riservata. Scarseggiando di grinta, giammai gli scombiccherati alfieri riportano il bandolo della matassa in salvo. Di contro gli ormeggi psichici mollano, i remi in barca tirano e sganassoni a destra e manca pigliano. Asfaltati dagli undici caterpillar nemici, tornano a casa ogni volta a bocca asciutta. Una milizia già rassegnata al peggio fiaccamente insegue una palla che scotta. Sente addosso la pressione ma non mostra sussulti di vitalità e in conseguenza in coma rimane: è un corpo agonizzante che attende soltanto di tirar le cuoia.

Fa i conti alla Serie A intanto La Gazzetta e si occupa pure del Catania e del suo presidente. «La sua Wind Jet -scrive Marco Iaria- ha evitato il fallimento e ora deve pagare i creditori: nel 2012 la perdita è stata di 35 milioni. Per fortuna che c’è il Catania per Antonino Pulvirenti: anche l’anno scorso, dopo i 900 mila euro nell’11-12, si è staccato un dividendo, pari a 2 milioni».

«Disperante –urla intanto il sindaco Enzo Bianco- non aver nessuno che somiglia ad un attaccante.» «In questa città –grida il tifoso Paolo Chiarenza- Cosentino ha fatto più danni di Hitler». «Cosentino –risponde il presidente- ha fatto un ottimo mercato. Al completo possiamo vincere con Juve e Napoli. Abbiamo opzionato il terreno dove costruire uno stadio da 25.000 posti coperti e pronta entro il 2017. La società è controllata dalla Covisoc, dal collegio sindacale e da una società esterna di revisori che verifica la correttezza contabile».

Poi di colpo Antonino Pulvirenti si zittisce e scrive a Sudpress: «In relazione all’articolo da Voi pubblicato in data 16 marzo 2014, ore 19.59, si precisa che il sig. Lo Monaco non firmò il bilancio al 30 giugno 2012 perchè si dimise il 21 maggio 2012, dunque in epoca precedente alla chiusura d’esercizio; il bilancio al 30 giugno 2012 venne approvato il 26 ottobre 2012, quando a.d. era il dott. Gasparin. Che analogamente non firmò il bilancio al 30 giugno 2013, approvato nel successivo mese di ottobre, in quanto il rapporto venne risolto consensualmente a far data dal 30 giugno 2013».

Intanto una disarmante locomotiva non ha il sangue agli occhi e fa tanta fatica nella lotta. Va in bambola e non sa come tirarsi fuori dagli impicci. Con un ruzzolone dopo l’altro precipita a testa in giù in un vicolo cieco e buio. È sovente fuori uso Barrientos e pure Castro è spesso azzoppato; Keko invece c’è ma lotta senza incidere. Lo stato fisico di Leto appare impresentabile, palese è l’involuzione del signor Petković. Perse son le tracce di Álvarez e Almirón, mentre Legrottaglie una non l’azzecca, si fa superar in tromba e va ripetendo di creder nei miracoli. Per tacer di Bellusci, buono solo a ricorrer a fallacci. In quanto a personalità, deludente è Fedato e l’unico che corre fino al 90° e sradica palloni agli avversari si chiama Rinaudo. Don Rolando che in panchina siede scruta l’imbarazzante armata di pappemolli e non sa più cosa inventarsi.

Nel fortilizio di casa, domenica 6 aprile, i giocatori non reggono palesemente i novanta minuti: va in scena la 20° sconfitta contro il Torino. «Puvvirenti -strillano dagli spalti- pottatilli tutti a zappari po’ stadio novu». Passate cinque ore dal triplice fischio, saluta anche mister Maran ricacciato via in malo modo e umiliato. «Mi domando una cosa, -alza il tiro l’ex- bomber Gionatha Spinesi a Radio Antenna 1- ma è Cosentino che comanda al Catania?» Intanto Maurizio Pellegrino, 48 anni, abbandonato l’orticello delle giovanili, è promosso tecnico del reggimento maggiore. «Ci vuole responsabilità –spiega questi – per affrontar nel miglior modo possibile le gare restanti».

Agli ordini del nuovo nocchiero la torma appare decisamente più compatta. Perde a San Siro dal Milan, regola la Samp ma ne becca quattro a Verona. Il mese di maggio registra sferzate mostruose e prestazioni al limite dell’eccelso: 4-1 casalingo alla Roma, vittoria a Bologna e successo interno sull’Atalanta. Nella buona sostanza cambia poco ed è ineccepibile il verdetto finale. Si chiude in terz’ultima posizione e mestamente si va in B. Sotto un funereo cielo astrale, l’elefantino si sfila la casacca rossazzurra, indossa la maglia nera e si posiziona dietro la lavagna in silenzio, zanne al muro.

 

Parole, parole, soltanto parole

Orbene, una volta data in dono la retrocessione, cosa disporre in bella copia per i posteri ?

La palma di re dei cannonieri etnei del massimo campionato, che è ora di Gonzalo Bergessio. Il debutto in A di tre piccoli moschettieri, Simone Caruso, Fabio Aveni e Agatino Parisi, che riporta in prima squadra i giovani siciliani. La promozione di Pablo Cosentino ad amministratore delegato che matura a fine stagione. Intanto il vaporetto con a bordo il Liotru s’inabissa in un pantano gravido di squittii petulanti. È il de profundis: un tappeto sonoro di geremiadi e angoscianti borbottii.

«Peccato, -inizia Riccardo Maugeri bastava fare schifo anziché pena».«Tacciano ora i servi –insiste Luca Allegra- finendola di silenziare critiche e riflessioni di tifosi e operatori indipendenti dell’informazione. In mezzo ad appelli e contrappelli, dal ponte di comando si leva una voce. «Dopo 8 anni rilancia il capo supremo- siamo retrocessi ma siamo convinti di riguadagnare subito la Serie A. Lavoreremo sul progetto stadio e allestiremo una squadra forte. Abbiamo i conti in ordine e anche quest’anno avremo il bilancio in positivo».

«Il presidente –s’intestardisce Ruggero Albanese- ne combinò di tutti i colori e ora potenzia i compiti del fine stratega. La stampa asservita ha fatto danni alla sua immagine e alla società che pretende di difendere». «I tifosi -la palla passa a Ignazio Fonzo, supporter di Inter e Catania– devono acquisire cultura sportiva. I giocatori vanno incoraggiati, applauditi e sostenuti sempre. Se si perde bisogna saper perdere, la società ha saputo perdere e merita la giusta rivincita. Parte della tifoseria, ahimè, deve migliorare sotto questo aspetto».

«Siamo nella merda –sbraita Michele Spampinato– ma la città è distaccata, gli ultras sono distaccati. Questa è la peggiore delle colpe di questa società, far allontanare la tifoseria e l’amore della gente….»

 

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