CUPO TEMPO GENTILE, di Umberto Piersanti
Marcos y Marcos, 2012 – € 18,00 – 222 p.
Tra storia e memoria
di Anna Vasta
Nell’ossimorico, evocativo, poetico titolo del quarto romanzo Cupo tempo gentile ( Marcos y Marcos Editore–2012) di Umberto Piersanti, il poeta urbinate, autore di romanzi tra storia, realtà e visione- come è della sua poesia e della sua poetica- si racchiude il senso di un momento storico, il ’68’ in Italia e a Urbino, e la cifra di una narrazione che per essere legata a un luogo- i luoghi persi della poesia di Piersanti- non perde in ampiezza di sguardo e profondità di respiro. Tutt’altro: la carica visionaria di una città in verticale, Urbino dalle torri svettanti verso un cielo profondo come una cupola raffaellesca, delle sue Cesane, l’altopiano che le fa da sfondo, della campagna luminosa e scura dove sconfina lo spazio urbano, in un travaso di storia, d’arte e di natura, conferisce alle sequenze narrative un ritmo atemporale di eventi, di storie, di vissuti esistenziali, soggettivi e corali, quasi epico.
Come epico è il flusso della poesia dell’autore. L’andamento narrativo del romanzo procede di pari passo con l’avvicendarsi degli stati d’animo, delle riflessioni, degli accadimenti esterni e gli svolgimenti interiori di un processo giovanile di maturazione, una sorta di viaggio sentimentale alla Sterne. Quello del protagonista, Andrea Benci, venticinquenne laureando, che ama la poesia, Leopardi e Montale, persino D’Annunzio; che non riesce a restare indifferente alla bellezza di un tramonto, di quelli che esplodono da dietro le colline e accendono di rosso e viola le spalle del monte Carpegna, e, malgrado la rivoluzione e l’impegno, si lascia andare a emozioni “decadenti”, intimiste- riprovevoli per i compagni della Contestazione- come il metafisico sgomento dinnanzi a quell’immenso cosmo nero che si spalanca simile a un abisso dietro l’Appennino al calare delle prime tenebre. Di qualche anno più vecchio dei ragazzi del Movimento; quanto bastava a guardare da prospettive di distacco e disincanto agli animosi entusiasmi, agli astratti furori, all’acceso idealismo a rischio di derive estremiste e di forzature ideologiche irreali e inattuali – la rivoluzione culturale di Mao, Cuba e Fidel Castro, la guerriglia permanente del Che- della “meglio gioventù”. Ma non tanto da non lasciarsi prendere da quegli empiti generazionali di libertà e di cambiamento, di rottura con un passato recentissimo, ancora presente, ingabbiato in schemi, convenzioni, tabù e falsi perbenismi che si bollavano come borghesi, ma che esprimevano un bisogno non proletario, ma altrettanto borghese di affermazione di sé. Tanto è vero che bersaglio delle battaglie e rivolte studentesche erano oltre ai fascisti, e i “reazionari” di destra, “i revisionisti”del PCI, partito strutturato in una centralità che i sessantottini sentivano in contrasto, in antitesi con l’esigenza di espandersi al di fuori di dictat e ragion di stato. Salvo poi cadere nelle trappole e nei richiami di realtà politiche aliene e altrettanto repressive come la Cina di Mao o il Comunismo di Castro. Allo stesso modo in cui Andrea alterna momenti di immersione, mai full, in una quotidianità fatta di assemblee, collettivi, occupazioni, duri scontri, infiammati dibattiti, m anche di canti libertari, di libero amore, di giovanile comunanza, ad altri di bucoliche evasioni nei campi, di gioiose scorribande per le marine, di amori liberamente vissuti tra anfratti e pianori fuori porta, di sperdimenti e ritrovamenti nell’universo favolistico dell’infanzia- qui ritornano, i topoi del poeta delle Cesane, lo stradino, la casa in fondo al fosso, il demonio dispettoso, lo sprovinglo, che saltava sui birrocci(e i buoi non andavano avanti), le fiabe attorno al fuoco; tutto il magico di un mondo contadino in via d’estinzione-, la narrazione oscilla tra due registri di contenuti e forme, da un’ attualità concreta e transeunte a una atemporalità visionaria, per ritornare al tema di fondo: Urbino, la città ideale, vista nella luce assorta e trasognata di Piero della Francesca, suo pittore e cantore, e la campagna urbinate di greppi, forre e terreni coltivati colta nel suo fiabesco sfumare in orizzonti di lontananza, come in un dipinto leonardesco. Alla cronaca, al racconto puntuale, vivo, reale di quegli anni roventi subentrano pause di meditazione, di introspezione che non di rado debordano nella rêverie. nel sogno, dove il tempo lontano delle inquietudini e delle fiammate giovanili, insieme con quello più remoto e vago della fanciullezza, perde ogni connotazione contingente di spicciola contemporaneità per trasformarsi in un luogo, in una vicenda di simbolica significanza. “ Nel fosso ogni rivoluzione vuol dire poco, anche le più grandi, quella d’ottobre, la francese…sì, Cavani, anche quella di Mao è poca roba…qui il tempo è solo quello delle piante e delle pietre…magari anche dell’aria e delle stelle…”Cupo tempo gentile rappresenta senza dubbio in un affresco a tinte sfumate-dove il cupo si smorza nella gentilezza dei gesti, degli affetti- una stagione della vita e della storia; ma non si limita a questo. Come in una composizione sinfonica in esso ritornano sotto altre spoglie i temi, i motivi, gli assolo del mondo poetico di Umberto Piersanti, in un fluire di ricordi che assumono sembianze di realtà e di realtà che si dissolve in rimembranze. Qui le due facce dell’ispirazione creativa dell’autore, quella poetica e l’altra narrativa, trascorrono l’una nell’altra senza stridori e disarmonie.
–
© Letteratitudine
LetteratitudineBlog
LetteratitudineNews
LetteratitudineRadio
LetteratitudineVideo
Mi piace:
Mi piace Caricamento...
Correlati