A proposito del rapporto tra letteratura e musica:
Claudio Morandini, Simone Sbarzella
Conversazione attorno alle Dodici variazioni sul sangue
di Claudio Morandini
…alle volte si danno questi sangui che s’incontrano.
(Carlo Goldoni, “La Locandiera”)
Le Dodici variazioni sul sangue nascono nel 2010, da un suggerimento di Marta Raviglia. All’epoca, conversando al telefono, poi per lettera, ne parlavamo come del nostro Pierrot lunaire: nel senso che ci si era formata un’idea di testi di natura variamente letteraria, ruotanti attorno a un unico tema – testi che una voce o due, accompagnate da un organico strumentale ridottissimo (o dal solo pianoforte, forse), avrebbero cantato o declamato su una scena. Era un’idea eccitante, per me, per la massima libertà che mi era concessa e per la destinazione che il lavoro prometteva di avere. Alla parte più strettamente musicale avrebbe messo mano Simone Sbarzella, che avrebbe modulato momenti “composti” e momenti “improvvisati”. Conoscevo bene i lavori nati dalla collaborazione tra Marta e Simone; sapevo che a entrambi stava ormai stretta la dimensione jazzistica e che stavano, in direzioni diverse, esplorando nuove strade espressive.
Cercavo un tema a cui ricondurre i testi, un tema che avesse una certa carica provocativa: e, rimuginando attorno al Pierrot lunaire di Giraud e Schönberg, mi è venuto in mente il sangue. Va bene, il sangue non è tema o colore inedito, soprattutto in anni di vampirismi per signorine e adolescenti – ma la sfida mi attirava proprio perché non lo è mai stato, inedito, perché siam fatti di sangue, perché i televisori a volte, soprattutto verso l’ora di cena, traboccano di sangue, perché il sangue ha un’aura metaforica fortissima, e perché appunto c’è, per così dire, un sangue banale, quotidiano, ci sono i cliché linguistici a base di sangue, e rimestare tra questo sangue di tutti i giorni (quello delle sbucciature, delle rinorragie, delle detartrasi, un sangue anche un po’ sciapo) e quello letterario, di tragica solennità, tutto echi semantici, e quello ancor più tragico che vediamo sparso nei reportage televisivi, sangue-sangue, che fa male vedere, sangue sporco impolverato urlante e per nostra fortuna sempre fuori fuoco – rimestare, dicevo, tra questi sangui (plurale azzardato, ma attestato) per cercare alcuni modi nuovi per raccontare il soggetto, o modi insoliti per svecchiarlo, questo mi interessava.
L’idea, dopo lievissima esitazione al telefono, è piaciuta anche a Marta e Simone. Da lì, la stesura è venuta facile, insolitamente facile. Mi davo come unici criteri quelli della brevità e della recitabilità. I testi dovevano prestarsi a essere messi in musica, o almeno a diventare voce narrante.
Il progetto, nel corso dei mesi, e poi degli anni, ha, com’è inevitabile e anche giusto, subito diverse trasformazioni. Man mano che procedevano il lavoro di adattamento di Simone Sbarzella (io, intanto, conclusa la mia parte, placidamente aspettavo, tornando ogni tanto a levare o aggiungere qualche virgola, qualche sillaba) e la registrazione, la componente più propriamente musicale si è ridotta, e si è ampliata quella recitativa. La voce di Marta Raviglia è rimasta in alcuni episodi, in altri il testo è stato letto da due attori; l’apporto strumentale è stato praticamente azzerato, mentre hanno preso piede suoni e elaborazioni elettroniche. Accanto alla destinazione concertistica (a teatro, sulla scena) si è fatta strada una destinazione più vaga ma più aperta, uno spettacolo multimediale, recitato-cantato-danzato con parti video, elettronica in scena, ecc. E, in luogo dell’idea originaria della registrazione su CD, si è cominciato a pensare a un DVD, visto che la componente visiva stava diventando determinante.
Com’era giusto e chiaro fin dall’inizio, i testi che ho prodotto per le “Dodici variazioni”, fogli d’album, brevissimi racconti o meglio spunti di racconto, monologhetti, parodie di liriche o di arie d’opera, sono stati, al momento della rielaborazione e della registrazione, smembrati, strapazzati, rigirati come calzini. Fa parte del gioco, e una delle cose più eccitanti (è la seconda volta che uso questo termine, vorrà pur dire qualcosa) è scoprire quanto e se il testo, nato pulito, in una certa forma, sopravviva, sia pure fatto a brandelli, in un’altra forma, quanto di nuovo, di nascosto il trattamento faccia emergere, e quanto lasci intatto nonostante tutto. Io stesso, in accordo con Simone, ho preso alcuni testi e ne ho scomposto le parti distribuendole tra due voci, senza seguire la sintassi, anzi procedendo nella suddivisione per netti enjambement contro la sintassi. Certo, alcuni testi hanno subito nella registrazione un trattamento che ne ha profondamente messo in discussione la natura originaria: che so, Salasso era nato come una cabaletta rossiniana (così dice ancora il sottotitolo, se non erro), lo immaginavo come un crescendo ossessivo sul tipo de Calunnia è un venticello, cantato su poche note ribattute, accompagnato magari (in modo un tantino incongruo) da un clavicembalo, da un fortepiano. Ma anche così, trasformato in una filastrocca di infantile ferocia, con strilli e urletti, è Salasso, anzi forse lo è di più, più limpidamente e anche più crudelmente, perché privato dell’ammiccamento colto. In generale, ogni testo è stato sminuzzato in un jeu de massacre, ma alla fine del brano, tirate le somme, risuona nella sua interezza, pienamente ricostruibile all’ascolto.
Per ripercorrere con maggiore esattezza le diverse fasi del lavoro ho posto alcune domande a Simone Sbarzella. Ecco le sue risposte.
C. M. – Come hai lavorato sui testi?
S. S. – Il lavoro sui testi è stato la parte più impegnativa, ma al tempo stesso la più stimolante. A una prima occhiata sono stato attratto dallo sviluppo delle storie e dei dialoghi, poi rileggendo più volte il testo ho trovato altre chiavi di lettura, che ho preso come spunto per iniziare un dialogo con la musica.
La musica interagisce in diversi modi e quasi sempre indirettamente, amplificando e mettendo in risalto diversi aspetti del testo: il significato o i fonemi delle singole parole, il senso o il ritmo di alcuni periodi o versi, l’incedere e la metrica dei vari paragrafi o strofe, lo scenario che le emozioni e i sentimenti evocano. Altre volte ho sottolineato l’intenzione ironica, tragica o fortemente polemica dell’autore.
Tutte e dodici le Variazioni sono state lette e registrate per intero da due bravi attori, Daniele Paoloni e Maria D’Arienzo.
Una volta registrati tutti i testi ho utilizzato le tracce di voce come elementi musicali veri e propri, ricorrendo a vari effetti e integrando ritmicamente le varie parti con la musica.
Inoltre, avendo a disposizione due voci, una maschile e una femminile, è sembrato naturale dividere il testo in forma di dialogo anche in quelle Variazioni che non avevano dialoghi.
Con l’aiuto di Daniele e Maria ho poi cercato di dare ai testi una lettura avulsa dal contesto per creare un senso di estraneità e separare le espressioni vocali dal significato delle parole.
Inoltre le loro ottime idee sull’interpretazione sono state essenziali e mi hanno dato nuovi spunti per elaborare ulteriori idee musicali e formali.
Molto importante è stato anche l’apporto della cantante Marta Raviglia, che ha improvvisato in modo efficace, interpretando i vari passaggi in perfetta interazione con la musica e le parti recitate.
C. M. – Quanto e in quale direzione è cambiato il progetto iniziale delle Variazioni?
S. S. – All’inizio la tua intenzione, che io ho condiviso, era quella di musicare le Variazioni e utilizzarle come veri e propri testi di canzoni, quindi ho iniziato a lavorare scrivendo una partitura per voce, pianoforte ed elettronica. In seguito invece la nostra rotta è totalmente cambiata, ho realizzato la musica elettroacustica con interventi della voce in alcuni brani e abbiamo deciso di registrare i testi, che tu hai opportunamente adattato.
In questo modo l’interazione tra le voci recitate e la musica diventa dinamica, i testi entrano a far parte della composizione musicale pur mantenendo la loro efficacia e integrità.
Contemporaneamente abbiamo pensato di integrare anche dei video, che sto elaborando insieme a Salvatore Mudanò, così siamo approdati ad un’opera audiovisiva, nella quale i tre elementi, video, musica e testi recitati, si combinano e danno vita ad un unico ambito espressivo.
I testi sono recitati alternando la voce maschile e quella femminile e a volte sono smembrati e rassembrati come vere e proprie parti musicali. Anche con il video stiamo lavorando su livelli diversi, in modo da evitare di sottolineare o amplificare ogni volta degli aspetti in particolare.
Il nostro obiettivo è quello di aggiungere stimoli ulteriori per gli spettatori, ai quali vorremmo riconoscere un ruolo attivo nella fruizione dell’opera, facendo in modo che possano effettuare collegamenti personali tra ciò che ascoltano, vedono e immaginano.
C. M. – A che punto siamo con la realizzazione? E quale sarà la forma finale?
S. S. – Stiamo terminando la parte video, quindi la forma finale sarà quella del videoclip che verrà diffuso sul web e su supporto DVD per la Monk Records (http://www.monkrecords.it).
Dal vivo invece l’elaborazione audio-video avverrà in tempo reale; inoltre abbiamo previsto l’integrazione di una voce e la danza.
C. M. – Che cosa hai scoperto di nuovo, dal punto di vista artistico e tecnico, nel lavorare alle Variazioni?
S. S. – È la prima volta che lavoro direttamente sul video, dal punto di vista tecnico è un lavoro molto complesso. Anche se le moderne tecnologie offrono mezzi che permettono a tutti con relativa facilità la realizzazione di video anche di ottima qualità, il bagaglio di conoscenze tecniche e la ricerca di un proprio linguaggio rimangono fondamentali; ho dovuto quindi approfondire le mie conoscenze sul video in generale, la videoarte, il cinema e tutto l’aspetto tecnico, che conoscevo poco – questo all’inizio è stato un bel trauma e ho ancora molte cose da imparare.
Allo stesso tempo ho intuito le enormi potenzialità del lavorare simultaneamente su più media e con più forme d’arte: il “gioco” diventa molto più divertente, ma anche molto più impegnativo, ed è più difficile controllare e prevedere la forma e l’efficacia dell’opera.
Un’altra interessante novità per me è l’integrazione con la danza, grazie alla collaborazione con la ballerina e coreografa Alessandra Mura che curerà l’aspetto coreutico dal vivo; mi sto documentando un po’, ma sono sicuro che imparerò molto di più guardando lavorare Alessandra.
C. M. – C’è qualcosa che avresti voluto fare e che per qualche motivo non hai potuto fare in questo progetto?
S. S. – Mi sarebbe piaciuto creare un laboratorio permanente sulle Variazioni sul Sangue, approfondire il tema integrando ancora di più la recitazione, la musica, il video e la danza. Per motivi organizzativi finora non è stato possibile, ma sono fiducioso per il futuro.
C. M. – Che cosa ha rappresentato per te “il sangue” (come tema, come suggestione)?
S. S. – Quasi sempre il sangue viene associato al male, alla disgrazia, alla violenza, alla discendenza, tutti aspetti della vita profondi e significativi. L’esplorazione attenta di questi aspetti, che hai intrapreso nelle tue Dodici Variazioni, fornisce l’opportunità a chi legge di riflettere su questi temi; guardando da tutte quelle differenti prospettive, non si può che ricavarne un’immagine insolita. Per quanto mi riguarda è accaduto esattamente questo, è cambiato il mio modo di pensare al sangue da quando ho a che fare con questo progetto.
Svincolare questa parola dal suo ambito consueto ha plasmato nella mia mente un’idea poetica e positiva del Sangue: un fluido caldo e vitale, unito intimamente al corpo in cui è contenuto.
Il corpo umano rappresenta l’unico posto dove il sangue può svolgere la propria funzione ed essere “se stesso”. Non riesco più a dargli lo stesso nome se lo immagino sulla lama di un coltello o raccolto in piccole pozze per strada, né provo più troppo disgusto.
Insomma mi sono affezionato al sangue, lo ritengo vittima di un’ingiustizia sociale, l’organo più importante, bello ed efficiente del nostro corpo è stato da sempre più associato alla morte che alla vita.
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