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ZOO A DUE, di Marino Magliani e Giacomo Sartori (due brani tratti dal libro)

settembre 24, 2013

In esclusiva per Letteratitudine pubblichiamo due stralci del volume ZOO A DUE, di Marino Magliani e Giacomo Sartori (Perdisa Pop)
Prefazione di Beppe Sebaste – Illustrazione di copertina di Andrea Pazienza

Finalista al Premio Letterario “Settembrini – Mestre”

Il libro
Sedici racconti popolati da animali che raziocinano e provano emozioni: uno zoo di sfide quotidiane, paure, speranze, sguardi diversi sul mondo. Due novelle di Marino Magliani raccontano la storia di due cani, padre e figlio. Il primo, “portato a perdere” dalla costa ligure sulle colline dell’entroterra, tenterà di tornare dal padrone, ma sarà attratto dal mare e imboccherà il molo. Il secondo, concepito proprio da quelle parti, risalirà alle stesse colline, come destinato a ripercorrere in altro modo il cammino del padre. In parallelo, quattordici racconti di Giacomo Sartori danno voce ad altrettanti monologhi improbabili: si va da un orso polare freddoloso a un enigmatico halobacterium; da un bruco che non vuol credere alla propria metamofosi a un canarino che in gabbia si sente al riparo; da una formica che detesta il socialismo a un unicorno che abita nelle pagine di un libro…

* * *

frammento da “Il cane e il mare”, di Marino Magliani

Quando dopo molte ore si svegliò, il sole riprendeva la città alle spalle.
Sentiva il ventre infilzato dagli aghi di pino, il manto indurito dal salso. L’ora che precedeva il tramonto allungava le ombre verso la ringhiera. Il giorno aveva lasciato sul mare un liquido viola come certi insetti che prima di scappare sputano una cosa che assomiglia al sangue.
Per molto tempo il traffico dell’Aurelia non cessò.
Si alzò, si scrollò di dosso gli aghi di pino e sbadigliò. Poi andò a infilare il muso tra le sbarre della ringhiera. Qua e là, dove la scogliera non cadeva a picco, un pugno di terra teneva in vita un’agave dalle foglie mezze secche. L’orizzonte non si distingueva dal cielo.
Un volo di gabbiani affondò e risalì in tempo prima della scogliera.
Un giorno era stato là. Cos’aveva cercato?
La voce gli rispose che l’aveva mosso la necessità di ritrovare il padrone, ma lui non voleva sentirne più parlare di queste cose. La voce insisteva. Era questo insistere che lo indisponeva. Le cose andavano dette una volta sola. E poi forse un padrone non l’aveva neanche mai avuto.
E per cos’altro uno si convinceva a prendere il largo? La famosa costa dopo questa costa? Per questo si annegava laggiù?
Un uomo camminava sulle acque e l’aveva preso per mano…
Essere la macchina appena passata alle sue spalle che si lasciava guidare lungo l’Aurelia. C’erano dei giorni che si odiava. Se solo avesse potuto separarsi dalla bestia che interrogava di continuo l’aria e buttarla giù dallo strapiombo, sentirla gemere al fondo, infilzata sugli scogli appuntiti dal mare. Ma liberata la bestia, restava la stalla vuota.
Un tempo aveva avuto anch’egli l’opportunità di inseguire le macchine sul ciglio di una strada. I rimpianti, distribuiti lungo la linea dell’orizzonte, come la riga dei pini sull’Aurelia, ecco, verso sera, cosa distingueva il mare dall’aerea sostanza, i rimpianti.
C’era un bambino, l’aveva incontrato sul bordo di una terrazza che guardava il paese, poi l’aveva rivisto dalle parti del portico. Smise di tormentarsi e sospirò.
Seguì i voli dei gabbiani: ricevevano sui colpi d’ala l’ultima luce. Era quella che restava più a lungo, ma sempre invisibile come gli insetti nella fronda e le voci.

* * *

l’incipit di “Pipì”, di Giacomo Sartori

Il mio padrone non è come molti altri padroni che si vedono al guinzaglio per la strada. Cammina tutto curvo in avanti, e inclinato da una parte come se trasportasse una gran valigia. Non è che sia vecchio, intendiamoci, è che fa una vita poco sana. Io cerco sempre di fargli fare delle corsette, di trascinarlo ai giardini pubblici. Niente, quello che piace a lui è starsene lì stravaccato per terra con i suoi amici. Bevono passandosi la bottiglia da uno all’altro, fumano, ridono, aprono un’altra bottiglia, se la raccontano, ruttano, berciano, tracannano ancora. Rampe di garage, sottopassaggi pedonali, scale di cemento, arcate di ponti sul lungofiume, hanno una strana predilezione per i posti che puzzano di pipì umana. Quando arriva pomeriggio hanno la testa ciondoloni, e le poche cose che dicono le sbraitano manco fossero tutti sordi. Qualche volta scoppia un litigio, e sembra che debbano farsi fuori. Poi invece tutto ritorna come prima, perché sono troppo intontiti per azzuffarsi davvero. A me non stanno particolarmente simpatici, ma per far piacere a lui faccio la carina.
Per ritornarcene al parco dove dormiamo impieghiamo come minimo mezz’ora. Il fatto è che per via del piede storto cammina appunto come se avesse una valigia. E come se non bastasse si ferma sempre a tossire e a far pipì contro gli alberi o i camion parcheggiati. O anche addirittura si sdraia su una panchina, e sostenendosi la testa con un gomito propina frasi ai passanti. Commenti poco carini, ho il sospetto, perché quelli lo guardano risentiti, o anche scappano via terrorizzati. In quei momenti vorrei tanto avere un padrone con la testa un po’ più sulle spalle. Anche perché il nostro guinzaglio non è di quelli allungabili, che tu puoi andare dove vuoi senza strozzarti ogni volta. Anzi, è un pezzo di corda e basta: l’ha ripescata in un bidone delle immondizie quando ero ancora piccola. La mattina è sempre lì che fruga con un braccio nei cestini delle spazzature, e che rimira i vari oggetti che trova.

* * *

Marino Magliani è nato in Liguria e vive in Olanda. Traduttore e narratore, ha scritto romanzi, racconti, libri di viaggi, curato antologie. Tra le numerose opere ricordiamo: Quattro giorni per non morire (Sironi, 2006), Il collezionista di tempo (Sironi 2007) Quella notte a Dolcedo (Longanesi, 2008), La tana degli Alberibelli (Longanesi, 2009, Premio Frontiere – Biamonti). L’ultimo suo libro è La ricerca del legname (Duepunti, 2012). I suoi romanzi e racconti hanno ispirato graphic novel e cortometraggi. Le sue opere sono tradotte in olandese e tedesco.

Giacomo Sartori è agronomo e vive tra Parigi e Trento. Ha pubblicato le raccolte di racconti Di solito mi telefona il giorno prima (il Saggiatore, 1996) e Avventure (Senzapatria, 2010), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod 2008, Italic 2013) e Cielo nero (Gaffi, 2011).

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