Pubblichiamo la recensione alla silloge di poesie “L’indice delle distanze” di Loretto Rafanelli (Jaca Book, 2013)
Rafanelli, le distanze-istanze degli ultimi
di Alfia Milazzo
Il tema della distanza è un topos poetico-filosofico assai recente. Solo qualche anno fa, nel 2007, il filosofo Rovatti sosteneva che “Abitare la distanza è la nostra condizione, caratterizzata dal paradosso: siamo dentro e fuori, vicini e lontani, abbiamo bisogno di un luogo, di una casa dove “stare”, ma poi, quando cerchiamo questo luogo, scopriamo il fuori, la distanza, l’alterità”.
Nella sua ultima fatica, L’indice delle distanze, edito da Jaka Book, il poeta Loretto Rafanelli declina al plurale il paradosso della distanza compiendo un passo oltre, per raggiungere, senza dichiararlo, il centro della parola poetica, ovvero il senso del rapporto uomo-mondo. La poesia infatti è proprio questo: la “musa” che indica le distanze. Si pensi all’ultimo canto del Paradiso di Dante, in cui il sommo poeta riesce a descrivere il volto di Dio, compiendo un miracolo (come ha scritto Franco Cardini) che nessuna arte, se non la poesia, riesce a realizzare: mantenere nella distanza uomo-Dio, il senso di una intimità tra l’Onnipotente e la creatura.
Un compito che è stato assunto anche da una certa filosofia ermeneutica (Figal, Deridda) in cui la distanza è definita come la possibilità di dischiudere, delicatamente, il mondo al soggetto.
Distanza o meglio distanze per Rafanelli sono anche i legami tra i luoghi e le persone. Uno scarto che origina la libertà per l’uomo di non appartenere ai luoghi mantenendo vivo il sè, ma anche di poter essere diverso da sè per avvicinarsi ai luoghi, nonchè alla storia dei luoghi (come nei versi de Il paese, Sul molo di Rimini, Il lumino fioco della cattedrale di Notre-Dame).
Poeta civile, come è stato definito da numerosi critici e studiosi di letteratura contemporanea, Rafanelli raccoglie il “grumo di umanità” di ungarettiana memoria, attorno ai fatti di cronaca e della storia, per indicare appunto la distanza dalla persona e dall’io, responsabilmente ed eticamente presente, vigile, consapevole.
La distanza è uno spazio contemplativo. Distanza, differenza, libertà e contemplazione sono concetti che indicano come non vi sia mai un possesso delle cose, ma sempre una nuova possibilità di comprenderle.
Secondo Deridda, la differance è l’operazione del differenziare e del differire che insieme fonda e ritarda la presenza, sottomettendola in un colpo alla separazione originaria e al ritorno originario. ecco perchè Rafanelli si propone di nominare le persone, i luoghi, ma anche le stesse distanze, prima che essi anneghino nel vortice del nulla, della dimenticanza o del non senso. Prima che il consorzio delle relazioni umane, il gorgo delle vicende storiche sospeso in immagini ed emozioni vitali, venga inghiottito, fagocitato nella “notte più buia”.
La Storia con la “S” maiuscola poi è in contrapposizione con la missione che il poeta si prefigge. Essa, come riteneva anche Elsa Morante, è semplicemente la storia degli eventi che oltrepassano i fatti, le quotidiane sofferenze umane, sofferenze incise negli sguardi e nei pensieri degli immigrati, dei pescatori di Acitrezza o di San Petroburgo, nella morte delle bambine vittime degli attentati kamikaze, o nella memoria di certi compagni di infanzia.
Proprio per tale humus civile, l’opera si presta molto ad una lettura corale, e ad un dialogo con le nuove generazioni. Un rapporto felice, quello tra poesia e ricerca di “vicinanze intergenerazionali”, mai esplorato del tutto. Una vicinanza che emerge fortemente ne I poeti e ne La mano che incontri, due delle poesie più belle che Rafanelli abbia mai scritto.
Per tutto questo, L’indice delle distanze, è trama della distanze o più propriamente, trama delle istanze, delle quali la voce di Rafanelli è espressione naturale, non artefatta. Una generosa apertura alle diverse sensibili invocazioni d’aiuto provenienti dal mondo e dalla storia degli ultimi. Per questo valore di cui è intriso il verso di Rafanelli, per la sua capacità di dare voce senza soffocarle, alle istanze dei molti senza voce, non si può non considerare quest’opera un autentico capolavoro della poesia italiana.
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