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Io non sono il mio cancro. Diario di un malato

aprile 22, 2015

Pubblichiamo un estratto del volume “Io non sono il mio cancro. Diario di un malato” di Lorenzo Marotta (Vertigo).

Il ricavato derivante dalla vendita del libro andrà alla LILT (Lega Italiana Lotta Tumori )

“Un racconto – testimonianza in presa diretta: dalla spensierata e attiva percezione della buona forma fisica, all’incredulità che potesse trattarsi veramente di tumore, allo stordimento nel leggere di metastasi già formatesi ai linfonodi del collo, alla duplicazione dell'”io” tra colui che soffre e spera nel corso delle terapie e l’altro curioso di assistere e registrare i riflessi fisici e psicologici via via vissuti, con lo sguardo e con il cuore aperti al mondo dei malati. Uno scorrere in progress di pensieri, sensazioni, sofferenze, riflessioni, riguardanti la vita e la morte, la bellezza e il dolore, la preghiera e Dio, l’amicizia e l’amore. Un mettere a nudo le proprie fragilità di malato di cancro, ma anche di fiducia e di speranza nella guarigione”.

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METASTASI TUMORALI

22 febbraio 2014

Di primo mattino percorro la strada panoramica che da Acireale porta all’ospedale Cannizzaro di Catania. Indugio con lo sguardo ad ammirare la sequenza di case, di villette che dalla collina degradano al mare. Poi, i paesi rivieraschi che hanno fatto la letteratura e la storia. Aci Trezza con la casa del nespolo di Padron ‘Ntoni de I malavoglia di Giovanni Verga. Aci Castello con l’imponente fortezza a picco sul mare, abitato di volta in volta da Ruggero di Lauria, dall’aragonese Giovanni di Sicilia e infine residenza della famiglia baronale degli Alagona.

Lungo i muri boungavilles dai mille colori si mescolano, nella magnificenza della natura mediterranea, a macchie di fichidindia, ad ulivi secolari, ad arbusti colorati frammischiati al nero lucente dei massi in pietra lavica.

È una giornata piena di sole e il mare brilla come un firmamento capovolto di giorno. Nell’aria si sente il risveglio timido della primavera che fa riprendere la vita ad ogni cosa. Mi soffermo a cogliere il respiro e la bellezza della natura, sentendo la vita pulsare di nuovo. Dura poco, il tempo della strada.

Una volta dentro l’ospedale, trovo la stessa sofferenza che avevo lasciato. Il sole rimane fuori e il risveglio della natura non riesce ad arrivare e a farsi sentire dentro le corsie dove stanno gli ammalati. Per loro rimane la fredda luce bianca dei neon sempre accesi.

Il medico che mi ha operato mi toglie i punti e medica la ferita. Sento un po’ di dolore, ma è niente.

«Dopo andiamo giù a prendere il referto della biopsia», dice.

Con me ci sono mio figlio e mia moglie. Sono sereno, lontano da ogni possibile notizia negativa. Nessun dubbio sulla mia buona salute.

Invece no! L’esito della biopsia non è quello che mi aspettavo.

«Metastasi in due linfonodi del collo sui quattro tolti». È quello che legge il dottore Pricoco, visibilmente amareggiato.

Capisco, se pure confusamente, che ho il cancro. Non so bene ancora che cosa sia. Di solito il nome si accompagna nell’immaginario all’idea della morte. Non avrei mai pensato che avesse preso possesso di me e che avesse iniziato con le metastasi la sua opera di distruzione.

Una sberla! Faccio fatica a crederci. Guardo il referto in alto per verificare che ci sia scritto il mio nome e cognome. Che non sia un errore!

Invece nome, cognome e data di nascita stanno ben visibili in alto a destra. Vedo il viso di mio figlio sbiancare e contrarsi in una brutta smorfia. Anche mia moglie impallidisce. All’improvviso ci sentiamo tutti e tre investiti da un improvviso tsunami, con la mente sommersa da una tempesta di pensieri che vorticano senza senso. Continuo a non crederci. Mi sento sdoppiato.

Nei volti increduli di mio figlio e di mia moglie vedo riflesso lo stesso mio sgomento.

«Dobbiamo fare subito la Tac e la Pet», dice il medico. «Ci diranno dove si trova localizzato il tumore primario». Lo vedo preoccupato. Mi rassicura che presto mi telefonerà per comunicarmi il giorno e l’ora dei nuovi esami.

«Non dobbiamo perdere tempo» ci dice, salutandoci. Ritorno a casa. Mi guardo attorno, ma non vedo niente. Mi sento come un condannato con la pistola puntata alla tempia. Incomincio a elaborare la brutta notizia. Mio figlio mi spiega, lungo la strada di ritorno, la differenza tra tumore primario e metastasi. Parla di cellule che impazziscono, di colonie che si vanno formando nel corpo, dove è più facile il loro insediamento.

Tento di capire, ma non ci riesco o non voglio. L’idea della morte fa capolino.

Il pensiero va a mia moglie, ai miei figli, ai miei nipoti. Vorrei poterli ancora garantire, proteggere, aiutarli. Vedrò di fare qualcosa.

Intanto debbo sostenere mia figlia e mia moglie. «Nessun cedimento», mi dico.

«Curerò questo cancro, senza accanimenti inutili», raccomando ai miei.

La morte non mi fa paura, il soffrire sì! Ho anche l’età per andarmene. Lascio dei libri che conservano comunque una parte di me. Mi consolo così!

Mi dispiace solo di non potere terminare quello che ho iniziato e rivedere poi alcune pagine scritte negli anni sul filo del tempo. Dovrebbero essere pubblicate con il titolo La voce del cuore.

Nel marasma dei pensieri che attraversa la mia mente ci sono anche questi.

Intanto si è fatta sera. Mi metto a letto e cerco di leggere per distrarmi. Ho la sensazione che la notizia del mio tumore non mi appartenga, o forse, sì!.

Dopo mi addormento. La mia prima notte è agitata. Sembra che una diga abbia ceduto e la piena abbia invaso e travolto ogni cosa.

* * *

LA REAZIONE DEL GIORNO DOPO

23 febbraio 2014

È domenica. Il sole batte dietro le imposte. Il mare è calmo e il colore di un azzurro intenso. Sento attraversarmi da una inspiegabile forza d’animo, da una irrazionale voglia di vivere. Un istinto forte a godere di quel giorno luminoso, senza preoccuparmi di quello che ho saputo il giorno prima.

Propongo a mia moglie di uscire e di andare a pranzare fuori. Desidero vivere al meglio quel giorno di sole. Mi vesto come se dovessi andare ad una festa.

«Perché non vivere il giorno?», mi dico.

Dopo qualche ora sono in macchina e penso alla possibilità di morire come di qualcosa che si guarda da lontano, con distacco. Mi sento investito da una calma serafica, da una razionalità fredda, distaccata. Nella mente scorrono le cose che ho fatto, la vita vissuta. Non sento vicina la fine, non mi spaventa il cancro.

In ogni caso mi consola il privilegio di avere scritto dei libri. Nella scrittura c’è sempre una parte dell’autore che non muore. È il miracolo della parola che rimane, dei pensieri e dei sentimenti consegnati ai personaggi che, in quanto tali, non muoiono. Quegli stessi pensieri e quelle emozioni che sono dell’Autore.

Parlo di questo con mia moglie. Poi, senza volerlo, dico di come sistemare alcune questioni pratiche: l’intestazione del conto in banca, la gestione dei fabbricati, le auto, la campagna.

Alle mie parole lei ha un improvviso cedimento. Mi dice, scoppiando a piangere, che non è così forte come sembra. La consolo e metto della musica.

Ad impossibilia nemo tenetur! Lei ha insegnato latino ed è una donna saggia.

Capisce! Parliamo d’altro.

Ci fermiamo, poco prima di arrivare in paese, nella nostra campagna che si trova all’interno del sito archeologico di Morgantina. Vogliamo controllare come sono stati rimondati gli alberi di ulivi.

La giornata è tranquilla. In quel luogo antico si respira il silenzio sovrano della natura ed anche della pace interiore. Qui sembra che il tempo sovrasti ogni cosa, anche noi poveri mortali.

Si fa mezzogiorno. È ora di pranzare. Decidiamo di andare al ristorante Sorsi d’Autore. Un piccolo e raffinato locale in via Domenico Minolfi, la strada più antica di Aidone.

Chiediamo di assaggiare dei primi e poi per secondo degli antipasti tipici del posto. Il tutto accompagnato da un calice di vino rosso.

Quasi subito il palato viene deliziato da buoni stuzzichini del posto. Subito dopo arrivano i primi piatti. Una meraviglia di alta cucina!

L’umore è buono e serve ad esorcizzare la presenza del tumore.

Reazione incosciente? Inconsapevolezza? Lucido realismo? Non so!

La giornata riprende con una visita in casa di amici per un caffè. Dopo facciamo ritorno ad Acireale. Parliamo di tante cose lungo la strada. Il tumore sembra dimenticato o forse, no!

La notte mi aspetta con il sonno per dimenticarmi e dimenticare.

* * *

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