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DIAMOCI UN TONER – intervista a Vito Cioce

luglio 16, 2016

DIAMOCI UN TONER – Storia di un non libro (Alter Ego edizioni) – intervista a Vito Cioce

di Massimo Maugeri

Vito Cioce’s brother, autore di “Diamoci un toner” (Alter Ego edizioni), sostiene – appunto – di essere fratello di Vito Cioce (qui l’intervista incentrata sul programma Radio1 Plot Machine). Ecco cosa scrive riferendosi al fratello…

Lui fa il giornalista, nel senso che mi manda a pagare la tassa del tesserino dei Giornalisti. La paga da più di trent’anni, da quando entrò a “Il Tempo”, il giornale che sta a Roma, a piazza Colonna, all’angolo del Governo, per capirci. Lui è nato a casa, a Bari, nel 1961. Io dopo, quando quello era venuto a Roma già dall’82 per pigliarsi la laurea in Storia.
Sono 25 anni che sta alla Radio della Rai. Prima parlava al Babuino di piazza del Popolo. Dopo il 21,4% di un secolo passato dall’alba dentro a Saxa Rubra, ’st’imbecille c’aveva pure la scrivania da Vice Direttore del Giornale Radio e che ha fatto? L’ha mollata! Mo’ il lunedì sera guida un format (non lo sa, poveretto, ma si dice così) per le storie che fa scrivere agli altri. L’ha chiamato “Radio1 Plot Machine”, lui che non sa manco come si gioca alla slot machine. Ma c’ha la fissa dell’Inedito che non gliela toglie nessuno. ’Na volta, sempre sopra a Radio1, faceva “Tramate con noi” e poi pure “Storie di Piazza”. La meglio è stata “Facciamo Storie”. Mi ha fregato il titolo. Dovevo chiamarlo così ’sto non-libro. Ma poi sai com’è, io sono io. E allora “Diamoci un toner”.

– Caro Vito, la prima impressione che si prova a leggere il tuo libro è che tu abbia provato gusto nello sdoppiarti. Come ti trovi nel ruolo di alter ego di te stesso?
Caro Massimo, per me è stata una necessità. I miei amici Enrico Valenzi e Paolo Restuccia della Scuola Omero, che ho frequentato, sostengono che io renda meglio scrivendo in prima persona. Io non ero convinto perché detesto stare al centro dell’attenzione e mai avrei parlato di me dicendo “io….”.  Con il mio fratello immaginario ho trovato la soluzione a questo dilemma.
Come tu sai,  il gioco del “doppio” nella letteratura vera ha origini antiche e non ha mai avuto periodi di crisi. Tutto sta a trovare la chiave giusta per esprimere qualcosa di nuovo che interessi e catturi il lettore.

– Facciamo un passo indietro e partiamo dalle origini. Parlaci di questa “Storia di un non-libro” (è questo il sottotitolo). Come nasce “Diamoci un toner”?
Vito CioceTutta colpa… della Radio. Da più di quindici anni ho sperimentato programmi aperti alla creatività degli ascoltatori. Prima protagonisti i romanzi con “Tramate con noi” in compagnia di Claudio Gorlier. Poi le storie collettive e interattive con “Facciamo Storie” e “Storie di Piazza”. Dal 2014 i racconti brevi e i miniplot con “Radio1 Plot Machine”, ogni lunedì sera dalle 23 a mezzanotte, con tanti autorevoli scrittori, da Tea Ranno ad Antonio Manzini, da Simona Baldelli a Massimo Lugli. E poi ancora con Rossella Milone, Vins Gallico e Cristian Mannu. Senza dimenticare la prima ospite, Chiara Marchelli, e le giovani Ilaria Palomba e Valeria De Luca.
In tanti, soprattutto tra parenti, amici e ascoltatori, mi hanno ripetuto quasi come fosse una provocazione: ma tu che ti occupi degli inediti degli altri, perché non ha mai scritto un libro? E allora mi è venuta voglia di rispondere con un saggio sul perché non avessi mai messo mano a un libro. Mentre mi stavo andando a isolare in un posto sperduto della mia amata Umbria per abbozzare quest’opera, in macchina mi sono chiesto: a chi interessa un mio saggio su perché non ho mai scritto un libro? Forse è il caso di inventare una storia. Anzi un non-libro, visti i presupposti.

– Parlaci di Vito Cioce’s brother? Come lo descriveresti ai lettori?
Da coinquilino e venditore di abbigliamento maschile, butta giù una sorta di diario di tutte le disavventure in cui si trova coinvolto per colpa mia. Anche per questo è un non-libro. Dialoghi che lo fanno assomigliare più al trattamento di una sceneggiatura per il cinema. Vito Cioce’s brother non ha i mezzi letterari per parlare in un italiano elegante e corretto. Ignora l’esistenza del congiuntivo, solo per fare un esempio, anche se conosce le lingue straniere meglio del fratello maggiore. La convivenza con me lo costringe, suo malgrado, a cercare di risolvere i problemi che io genero con la mia pervicacia a non voler scrivere un libro. In seguito si vede costretto a combattere contro il mio imprevedibile timore, quasi terrore, di partecipare al provino al quale mi convocano per condurre un talent letterario in televisione. Che per lui sarebbe la quadratura del cerchio. Io a lavorare “dentro alla tivvù”, lui comodo sul divano a vedersi la tv, sempre monopolizzata dal padrone di casa. Io.
Vito Cioce’s brother riesce per questo simpatico e concreto. Io quasi intrattabile e con mille ipocondrie e idiosincrasie: affettive e professionali. Mi ha colpito il parere di Valeria Carro, un’ascoltatrice e docente di Diritto Commerciale Romano all’Università di Napoli: “Quanto peso c’è dietro la leggerezza di ‘Diamoci un toner’”. Lo ha postato su Facebook dopo aver letto il libro. Devo ammettere che il non-libro racconta il mio Desiderio più profondo.

– Chi sono, invece, Pidieffe e Er Pajata?
Sono due amici di “mio fratello”, due fra i tanti che lo aiutano nelle mission impossible da affrontare per raggiungere l’Obiettivo: “portarmi” in tv e liberarsi di me. Il doppio destino di Pidieffe è tutto nel nome. Un mago dell’elettronica e della tecnologia e un consumatore di flirt senza scrupoli. Er Pajata è un gigante buono che soffre una rara patologia invalidante: l’intolleranza alle verdure. Ma ha una saggezza popolana che conforta chi lo incontra. In questi giorni ho rivisto in lui le sembianze di Bud Spencer quando interpretò con il grande Giuliano Gemma “Anche gli angeli mangiano fagioli”.

– Qualche parola per il Commendator Zappazzolla e per sua figlia dovremmo pur spenderla. Ti andrebbe?
Ma sì , spendiamola volentieri. Sono gli antagonisti della famiglia Cioce, non Ciocie, come il Commendator Zappazzolla si ostina a ripetere. Due personaggi di potere che gestiscono editoria e produzione televisiva secondo le convenienze del momento. Sembrano paradossalmente buffi e patetici fino all’inverosimile, ma sicuramente nella realtà sarebbero superati da individui professionisti di cinismo e volgare eccentricità. Non solo in quei mondi che presumono di controllare almeno finchè non arriva qualcuno più potente di loro.

– Cito: “Nessuno può arrivare a capire che tipi strani sono quelli che stanno nella radio e nella tivvù”. La questione mi interessa. Che tipi sono questi che stanno nella radio e nella tivvù?
Hai citato parole di “mio fratello”. Non gli sembra vero di  imbattersi in personaggi che “si venderebbero la madre” pur di condurre un programma in tv. Come Giudantonio Taddeo Caccaterra, soprannominato il “Merdina” in redazione. Un arrivista pronto a scroccare di tutto, da una casa a qualche porzione di sushi. Ma non ti voglio deludere. Mi hanno consolato le testimonianze dei lettori dicendomi che esistono personaggi simili in ogni ambiente professionale. Purtroppo possono riuscire a fare anche carriera a scapito di altri, ma mi chiedo: che senso ha non avere la stima dei colleghi e di chi ti sta attorno, anche in famiglia?

– Al di là degli scherzi, questo libro ci mostra qualcosa di ciò che avviene “dietro le quinte” del mondo della radio e della televisione. Potresti svelarci qualcosa di questo qualcosa?
Posso parlare della radio con cui ho da poco celebrato felicemente le nozze d’argento. Tranne casi sporadici, non esiste quel clima di concorrenza interna, di lotte senza esclusioni di colpi per scavalcare i colleghi. A Radio1 adesso e nel passato più lontano, quando ho conosciuto autentici maestri del mestiere, si lavora con spirito di squadra. Non abbiamo tempo per “manovre di corridoio”. C’è un giornale ogni mezzora e programmi in diretta per 24 ore. Della televisione so quello che mi riferiscono i colleghi che prima lavoravano alla radio o sono tornati da noi. Il sogno è  che ci sia, non solo a parole, una sana valorizzazione delle professionalità interne per quanto riguarda il nostro servizio pubblico. Senza, per esempio, il ricorso dispendioso all’acquisto di format stranieri. E nel non-libro vengono anche lanciate idee di nuovi progetti in questa direzione.

– Domanda serissima: che ruolo ha l’ironia e l’autoironia nella tua vita?
Fondamentale. Sono vissuto in una famiglia che ha fatto dell’ironia e dell’autoironia una risorsa per affrontare anche situazioni drammatiche. Prendersi sul serio può provocare gravi effetti collaterali. Non solo sul lavoro. E poi, grazie ai consigli dei miei maestri e professori di scuola, mi sono fatto endovenose di ironia con scrittori da sballo per me. Come Guareschi, Flaiano e Giovanni Mosca. E non c’è Brexit letteraria che tenga per quelli inglesi, da Chesterton fino ad Alan Bennett che ho avuto la fortuna di intervistare alla radio.

– Progetti per il futuro?
Intanto a settembre riparte il lunedì sera Radio1 Plot Machine. Poi il mio sogno è scritto nel finale di “Diamoci un toner”…

Ai lettori il compito di “scoprire” questo finale. Grazie per questa intervista, caro Vito.

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Vito Cioce. Giornalista dal 1983, autore e conduttore su Radio1 di programmi tra cui “Tramate con noi”, “Facciamo storie”, “Storie di piazza”.
Conduttore delle principali edizioni del Giornale Radio Rai e di trasmissioni tra cui “Il baco del millennio”, Speciali e Fili diretti del Gr. Caporedattore dal 2006.
ViceDirettore del Giornale Radio e di Radio1 dal 2009 al 2012.
Ad aprile 2016 ha pubblicato “Diamoci un toner – Storia di un non libro” con Alter Ego Edizioni.

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