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GIULIA CAMINITO racconta LA GRANDE A

gennaio 13, 2017

GIULIA CAMINITO racconta il suo romanzo LA GRANDE A (Giunti)

di Giulia Caminito

A Legnano le bombe fanno rifugiare i bambini insieme ai circensi. Gli scolari seguono in fila la maestra, mentre i pesci rossi vengono abbandonati nelle loro bocce di vetro. La guerra non risparmia neanche le noccioline caramellate e le scarpe gialle dei clown.
Giadina è una bambina vestita di nero, linda e pinta, come ogni brava scolara del fascio. Da sempre minuta, vocetta gracchiante, gambe a stecco e portamento da giunco, Giada vive la Seconda guerra mondiale tra corse nei campi, casaletti bombardati, chili di patate e riso e le angherie della Zia e della Cugina, con cui vive da quando sua madre, Adele, è partita per andare a cercare fortuna in Eritrea, lasciando figli e marito sul suolo italico.
Giada ha le croste intorno alla bocca e dorme all’addiaccio, da quando i vetri della casa sono scoppiati, ma fantastica di poter raggiungere la madre in quella che lei chiama la Grande A, l’Africa delle (quasi) ex colonie italiane, terra per lei di elefanti e tigri, di sole e palme, di scoperte e conquiste, ruggente e al sapore di cioccolata. Giada infatti pensa che la madre lì sia impegnata in incredibili avventure tra le dune del deserto e che rida con le scimmie mentre sorseggia tè e fuma sigarette francesi.
Dopo la guerra finalmente Adele torna, strappa la figlia alle grinfie della Zia e la fa imbarcare per la Grande A. Anche l’avventura della piccola milanese può dunque avere inizio.
Il viaggio è lungo e noioso, Giada sente già la mancanza di casa, e quando arriva al porto di Massaua si rende conto di essere vestita scioccamente, ha calzette al ginocchio e maniche a trequarti, mentre il sole assassino cuoce le uova sulla banchina.
Inizia così, nell’inadeguatezza e sotto il solleone, la scoperta della Grande A, e poi della piccola Assab, dove dopo qualche giorno Giada arriva e raggiunge Adele. Ad aspettarla, purtroppo, non ci sono case bianchissime, ballerine bellissime, feste lunghissime e mobili pregiatissimi, ma un bar al limite del deserto, un paesino torrido e spoglio, dove non piove da nove lunghi anni, un turno di lavoro fino alle due di notte tra stoviglie e caffè ristretti, per controllare gli avventori del bar della madre che si fermano a giocare a biliardo, e una madre bisbetica che nessuno ha mai avuto la capacità di domare.
Giada pensa di aver perduto ogni sogno, il sale dell’acqua le fa venire l’orticaria alla gola, è costretta a dormire sotto le stelle sopra a un lettuccio povero e mal messo, riesce a crescere una gazzella in casa ma le muore in breve tempo gettandola nello sconforto.
La madre è una donna sopra ogni riga, ha modi da maschio, se ne infischia del ben pensiero e porta avanti fieramente la propria attività. Donna-non-donna, sola in terra lontana, si barcamena tra gli schiaffoni al prete, la vendita di alcolici di contrabbando e le lunghe mattinate a cacciare nel deserto.
Giada capisce presto che starle accanto non sarà semplice e che i suoi desideri di piccola taglia altro non erano che illusioni e fantasie, difficili da realizzare.
La sua vita prende una nuova piega quando al bar della madre comincia a presentarsi sempre più spesso un giovane italiano, asmarino di nascita, gran affabulatore e chiacchierone, di ottimo aspetto e piglio navigato, che presto la seduce fino a portarla all’altare, in quattro e quattr’otto.
La nostra protagonista si rende conto ben presto delle difficoltà di un matrimonio giovane; i silenzi tra sconosciuti, l’impossibilità di appaiare i calzini, i pasti caldi alla sera sempre troppo sciapi e troppo conditi; rimane presto incinta e non sa come rigirarselo tra le mani quel grumo di carne che lei stessa ha messo al mondo; il marito cambia spesso lavoro, viaggia nel deserto con gli americani, lei deve imparare a convivere con le sue assenze e con questa nuova terra che ancora non sa quanto possa appartenerle.
Le jeep nel deserto, la caccia del sabato, le passeggiate al mercato, la conoscenza di sua suocera e sua cognata, due tipette molto legate alla vecchia tempra coloniale, tipica di chi si crede padrone dell’Africa e degli africani, la mettono alla prova.
Adele e il suo caratterino da una parte, Giacomo e i suoi abbandoni dall’altra, Giada fa fatica a integrarsi nella comunità italiana, anche una volta raggiunta l’Etiopia e la sua mite capitale Addis Abeba.
Lì conosce il dolore del tradimento e dell’assenza, quando Giacomo la lascia per un’altra donna, ma è anche in grado di convivere con una stramba esistenzialista francese, che ama solo Sartre e Camus, far amicizia con un bislacco greco “arieggiatore” di case senza inquilini, trovare lavoro in una ditta di import e export, per far viaggiare scarpe da tennis color cachi in lungo e in largo, e prendersi cura di suo figlio, aiutata dalla madre, fedele scudiera.
Ma La Grande A le riserva ancora molte sorprese, e quando Giacomo decide di tornare e viene rimesso in riga, Giada può finalmente entrare a testa alta al nuovo Circolo Juventus, luogo ricreativo per tutti gli italiani di Addis, in cui viene coinvolta da giocate a poker, balli scatenati e gare di eleganza.
I tuffi notturni alle piscine di Ambo, le grida delle iene fuori da Harar, i viaggi sulle strade di zucchero, il cinematografo della domenica, le corse dalla sartina per farsi modellare addosso l’ultimo capo da copiare alla Lollo: Giada si fa avventuriera e combattiva.
Purtroppo il tempo della Grande A sta per finire anche per lei: il primo colpo di stato in Etiopia fa tornare in patria molti italiani, tra cui Adele e Giada. Cosa la aspetterà al suo ritorno nella provincia italiana dei dialetti stretti, del gelo invernale e delle tavole calde vicino alle chiese?
Questa è la trama del mio romanzo che è nato cinque anni fa ormai, quando ho deciso di far sedere mia nonna su una sedia in cucina e intervistarla sulla sua vita in Eritrea ed Etiopia.
Sono cresciuta tra statuette d’ebano e candelabri d’avorio, in una famiglia dove lo zighinì è considerato al pari della lasagna e dove gli aneddoti sull’Africa e le sue avventure hanno sempre tenuto banco anche alle feste comandate.
Dalle fotografie di donne nel deserto in pantaloncini e fucile, ai numeri del «Mai Taclì», giornale degli ex coloni e post-coloni, stipati nella libreria sotto le enciclopedie di mio nonno, tutto ha alimentato la mia curiosità per quella loro vita e quel loro tempo africano.
Lungi dall’essere un esempio letterario perfetto o esauriente, spero che il mio libro possa riaprire o anche solo contribuire a riconsiderare le implicazioni sociali, politiche e civili che i nostri anni di occupazione in Africa si portano dietro. Spero che Giada, Adele e Giacomo, con i loro difetti e le loro ingenuità, i loro strilli e le loro imprecazioni, quei loro battibecchi e quelle occhiate furbe, siano un terzetto di degni compagni di viaggio per tornare indietro nel tempo, a quando io di certo non c’ero, ma l’Italia già scalciava e ruggiva per liberarsi dal Fascismo e da se stessa.

(Riproduzione riservata)

© Giulia Caminito

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Il libro

Giada è una bambina considerata da tutti perennemente manchevole, troppo minuta, ”una raganella”, che vive malvolentieri a casa degli zii in provincia di Milano. Da che sua madre se n’è andata per trafficare con camion, alcolici e bar nelle colonie italiane in terra d’Africa, Giada non pensa ad altro che a raggiungerla in quella che lei chiama ”La Grande A”, una terra che immagina piena di meraviglie e di promesse.

Ma una volta giunta ad Assab, una cittadina avvolta nell’arsura e nell’aria salmastra, la vita sembra ruotare solo intorno al piccolo bar che Adi gestisce fino a notte fonda, dove Giada fa molte nuove conoscenze: da Hamed, il garzone che non sa scrivere, a Orlando, il compagno della madre animato dalla retorica fascista vecchio stampo; dalla gazzella Checco, che vive in casa come un animale domestico, a Giacomo Colgada, un giovane italiano farfallone che sembra la copia di un attore del cinema. Ed è proprio con lui che inizia la vera storia di Giada: il matrimonio imposto da Adi, le insidie di suocera e nuora, la fortuna economica, il boom del Circolo Juventus di Addis Abeba, gli incredibili viaggi con la jeep nel deserto, i dolorosi chiaroscuri di Giacomo che obbligano Giada al continuo raffronto con una donna dura e intraprendente come sua madre.

Liberamente ispirato alla biografia di famiglia, ”La Grande A” è il primo romanzo di Giulia Caminito che racconta un pezzo dimenticato di storia italiana con una scrittura inventiva e spiazzante.

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GIULIA CAMINITO è nata a Roma nel 1988 e si è laureata in Filosofia politica. Suo padre è originario di Asmara, sua nonna e suo nonno si sono conosciuti ad Assab, la sua bisnonna fu guidatrice di camion, contrabbandiera di alcolici e personalità vivace della comunità italiana d’Etiopia ed Eritrea. Giulia oggi vive a Testaccio e lavora per una casa editrice romana. La Grande A è il suo primo romanzo.

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© Letteratitudine

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