Incontriamo Daniele Mencarelli: autore di “La casa degli sguardi” (Mondadori)
Daniele Mencarelli nasce a Roma, nel 1974. Vive ad Ariccia. Le sue principali raccolte di poesia sono I giorni condivisi, poeti di clanDestino, 2001, Bambino Gesù, Tipografie Vaticane, 2001, Guardia alta, Niebo-La vita felice, 2005. Con Nottetempo ha pubblicato Bambino Gesù, 2010, e Figlio, 2013. Sempre nel 2013 è uscito La Croce è una via, Edizioni della Meridiana, poesie sulla passione di Cristo. Il testo è stato rappresentato da Radio Vaticana per il Venerdì Santo del 2013. Nel 2015, per il festival PordenoneLegge con Lietocolle, è uscita Storia d’amore, la sua ultima raccolta. Si occupa di fiction a Rai Uno. Nel 2018, per Mondadori, è uscito “La casa degli sguardi”.
Abbiamo incontrato Daniele Mencarelli e gli abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa del suo nuovo libro…
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«Il libro racconta un anno della mia vita», spiega Daniele Mencarelli a Letteratitudine.
«È Il 1999. Ho venticinque anni, e la certezza di non avere un futuro.
Sono un giovane poeta apprezzato, ma questo non mi basta per vivere.
Una smania, una disperata vitalità mi sta velocemente distruggendo, trovo riparo solo nelle sostanze, sino all’alcol, con cui mi anniento tutte le sere. La teoria di medici, specialisti, non fa altro che assegnarmi malattie, ma nessuno riesce a lenire il male che mi accompagna. Mi sto uccidendo, il motivo è semplice: se non posso salvare ciò che amo, allora meglio morire.
È per mia madre che provo a chiedere aiuto, devo riuscire a sopravvivere, per lei, la mia famiglia, ho bisogno di qualcosa che mi faccia uscire di casa, che mi smuova dallo stato in cui sono precipitato.
Grazie a un amico trovo lavoro, farò l’operaio, l’uomo delle pulizie, dentro un ospedale. Un ospedale pediatrico. Il Bambino Gesù di Roma.
Dal primo giorno, sono investito dalla furia del dolore, quello vero, dai bambini stravolti dalla malattia. E poi ci sono gli altri operai, che non mi amano, perché mi considerano una specie di raccomandato, uno che è arrivato non si sa bene come.
Sono sul punto di mandare tutto al diavolo, non riesco a reggere le visioni dei piccoli malati, m’affogo ancora di più dentro i miei bicchieri di vino bianco.
Poi qualcosa scatta.
Il male di cui sono testimone, un minuto alla volta, mi resuscita, dentro l’ospedale torno a vivere.
Gli operai che mi odiavano diventano miei amici, fratelli, anche la poesia, lentamente, torna a visitarmi.
Perché non c’è male peggiore di quello che imponiamo a noi stessi».
* * *
Dal libro: “Si parli, semmai, di fragilità, di esseri nati con la pelle più sottile, un bassissimo numero di anticorpi a ogni bene e male del mondo, dal dolore alla tenerezza, malinconia e amore compresi. Persone che le inchiodi con poco, basta un fiore per bucargli la pelle.”
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