VARIAZIONI ENIGMATICHE: un’opera teatrale di Eric-Emmanuel Schmitt
di Eva Luna Mascolino
Trenta minuti circa. Sono quelli che servono per ascoltare le Variazioni enigmatiche per orchestra di Edward Elgar o le Variazioni enigmatiche per teatro di Eric-Emmanuel Schmitt, un dramma in due atti scritto nel 1996 e a più di vent’anni di distanza rappresentato ancora in tutto il mondo.
La vicenda si apre con un tòpos tanto comune quanto intrigante, ovvero quello dell’intervista a uno scrittore di successo che, come si intuisce, nasconde una qualche ferita personale fra gli strati di arroganza e di superficialità alternati alle battute volgari e scontrose indirizzate agli sconosciuti. Se ne accorge fin da subito Eric Larsen, il giornalista de La gazzetta di Novosibirsk che ha chiesto di incontrare personalmente il Premio Nobel per la letteratura Abel Znorko a Rosvannoy, «un’isola situata sul mare della Norvegia» dov’è notte per sei mesi l’anno.
I due faticano a entrare in sintonia, in particolare nel momento in cui Larsen insinua che l’ultimo romanzo di Znorko, L’amore inconfessato, sia la rielaborazione di un amore impossibile vissuto in prima persona dall’autore. Quest’ultimo nega con fervore, accusando il giornalista di riciclare domande prive di originalità ai soli fini di uno scoop sensazionalistico, che però poco rispecchia la sublimazione artistica dell’esistenza. Eppure, già durante il primo atto, è proprio lui ad ammettere a fatica che le iniziali H.M., cui è dedicato il volume, stanno per Helene Metternach, una giovane studentessa conosciuta in passato durante un congresso sulla letteratura nordica.
La rivelazione, in una certa misura prevedibile, è in verità solo il primo di numerosi colpi di scena che ribaltano pagina dopo pagina l’idea di lettori e spettatori sulla vicenda, così come la percezione che un personaggio ha dell’altro: da sconosciuti a confidenti, da nemici ad alleati, fino a diventare ben più intimi del previsto nell’arco di un unico pomeriggio, durante il quale peraltro il giorno boreale lascerà il posto a un prolungato e buio inverno. Un incontro casuale e al tempo stesso banale, partito da apparenti esigenze mediatiche, ha così il potere di stravolgere entrambe le loro esistenze, rivelando in un’atmosfera assurda e a tratti surreale le deviazioni dell’animo umano, la natura caleidoscopica delle emozioni e la vulnerabilità (nonché volubilità) che contraddistingue i legami interpersonali.
Lo stile asciutto e realistico delle battute le rende incredibilmente convincenti, autonome senza bisogno di alcuna indicazione sui toni di voce né sul linguaggio del corpo dei protagonisti, e la suspense creata già a partire dal secondo atto non accenna a scemare fino alla battuta conclusiva del dialogo, che non perde un colpo nel mantenersi stringente e conturbante. La dimensione casalinga, minimalista e scandinava farebbe forse pensare a un certo rifacimento ibseniano, sebbene i temi affrontati rimandino alla produzione di Zweig. Da un’idea costruita su uno scheletro narrativo simile, peraltro, sempre nel 1996 usciva il romanzo Ritorno a Pompei di Amélie Nothomb (anche lei belga, come Schmitt), poi pubblicato da Voland in Italia nel 1999.
E, a proposito di coincidenze, c’è dell’altro. In uno dei passaggi chiave del testo, infatti, Schmitt fa dire a Znorko: «In fondo ho sempre pensato che la vita non è altro che un grande imbroglio. Ci hanno gettato dentro senza chiederci il permesso, e poi ci sbattono fuori anche se non lo vogliamo. Appena ci illudiamo di aver afferrato qualcosa, la cosa svanisce. Non amiamo altro che fantasmi e tutto il resto rimane un enigma che non riusciremo mai a capire». Esattamente come accade per il tema dell’opera musicale numero 36 di Elgar, che secondo le parole del compositore era ispirato a una melodia preesistente, mai eseguita però per intero e rimasta a tutt’oggi irriconoscibile.
«L’enigma resterà un enigma», dunque, e qualunque risposta rimarrà precaria e solo parzialmente appagante, stando almeno a ciò che accomuna le due Variazioni enigmatiche in questione. Altrettanto vero, tuttavia, è il fatto che le domande suscitate dalle opere omonime siano a propria volta di un fascino straziante, provocatorio, ossessivo: resistere alla carica seduttiva delle loro note o parole sarebbe impossibile, almeno tanto quanto cedervi appare fin dai primi istanti delittuosamente piacevole.
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