SASSO, CARTA E FORBICI di Antonio Bux (Avagliano editore – collana Poesia)
* * *
Sasso, carta e forbici. L’anticorpo della resilienza.
di Carlo di Francescantonio
Antonio Bux, nato a Foggia nel 1982, è un Poeta con all’attivo una ricca serie di pubblicazioni, concentrate in poco meno di un decennio, sia in italiano che in spagnolo. Per chi desiderasse meglio apprezzare l’ultimo lavoro Sasso, carta e forbici sono piacevolmente “obbligato” a consigliare una serie di scritti che di qualche anno lo precedono: le opere in italiano Trilogia dello zero (Marco Saya Edizioni) finalista Premio Lorenzo Montano, Kevlar edito nella prestigiosa collana “Ungarettiana”, diretta da Paolo Valesio e Alessandro Polcri (Società Editrice Fiorentina) Premio Piero Alinari, e ancora Naturario impreziosito da una nota di Alfonso Guida (Di Felice Edizioni) finalista Premio Viareggio e Sativi (Marco Saya Edizioni, Milano) selezione Premio Città di Como. E alcune in lingua spagnola: 23 (fragmentos de alguien) (Ruinas Circulares Ediciones), El hombre comido (Añosluz Editora) e Saga familiar de un lobo estepario (Editorial Juglar). Infine anche la preziosa e unica incursione nel ‘dialetto’, davvero degna di nota, con la silloge in vernacolo foggiano Lattèssanghe (Edizioni Le Mezzelane) selezione Premio Città di Ischitella – Pietro Giannone. Attivo anche sul fronte delle antologie, è presente in opere collettive come InVerse: italian poets in translation a cura della John Cabot University.
Autore prolifico (e traduttore raffinato. Traduce dallo spagnolo vari autori, uno su tutti Leopoldo Marìa Panero), si respira nel suo lavoro una costante urgenza di espressione, che affonda le radici all’interno di un disagio esistenziale che sento corretto definire “contemporaneo”, concreto quindi, perfettamente e purtroppo centrato sull’andamento sbilenco di questo nostro Presente. Ogni nuovo libro di Bux è un tassello in più dentro la geografia delle mancanze che una Società ostile impone all’essere umano e che, inevitabilmente, si riflette sull’interiorità. Sasso, carta e forbici prosegue quindi un discorso lucido iniziato con i lavori precedenti e, ulteriormente migliorato, dall’esperienza umana che nel frattempo l’autore ha continuato a sperimentare sulla propria pelle. Nel caso di questo libro il discorso si fa anche spazio più aperto, dove Bux ci consegna con toni più intimi e malinconici i suoi affetti, il suo pensiero più sincero, la nostalgia e il ricordo e dove ogni barriera ermetica è stata temporaneamente abbassata, come un ulteriore desiderio di mostrare il fianco con il solo intento di risultare sensibile quindi umano. Non credo sia esagerato definire le difficoltà dell’autore a muoversi nel quotidiano come la forza primaria della sua poesia, e recensire un mondo interiore così vasto non è cosa facile, si puo’ essere inconsapevolmente dirottati nella ‘trappola’ dell’analisi psicanalitica o, peggio, nello sterile discorso tecnico sulla struttura e ancora sulle varie influenze ricevute dalla lettura di altri autori, ma sempre al costo di mettere sullo sfondo tutta una forma umana pulsante, un’emotività carica di energia, che da queste poesie, urla, si contorce, pretende una ‘vendetta’ alta, intesa anche come riscatto dal silenzio nel quale la poesia italiana sta sempre più velocemente precipitando e – di conseguenza – l’uomo lontano da schemi materiali precipita insieme ad essa. Se proprio si vuole trovare un accostamento con un Autore, che avverto particolarmente affine al modo in cui Antonio Bux si confronta con il Mondo, viene facile pensare ad Anna Maria Ortese e, in particolare ad un suo pensiero: Scrivere, se non è vanità o lusso è cercare un altro mondo. Cercarlo disperatamente. Ci troviamo, purtroppo, nella sterile era della forma a discapito del contenuto, della fretta che inevitabilmente sacrifica quiete e attenzione, inoltre pecchiamo di competizione fine a se stessa, quando invece dovremmo essere il più solidali possibili. Antonio Bux, poeta, di tutto questo deragliamento etico ne è grande anticorpo e dimostrazione di alta resilienza.
Nota 1: È inoltre in uscita un nuovo libro Terza persona interiore di prossima pubblicazione per Transeuropa Editrice, collana “Nuova poetica”, Massa.
Nota 2: Antonio Bux ha fondato e dirige il blog Disgrafie, oltre che alcune collane per le Marco Saya Edizioni e per l’editrice RPlibri.
Nota 3: A proposito di Sasso, carta e forbici Antonio Bux dice: “è sicuramente uno dei miei libri di poesia di maggior impegno. Pubblicato dall’editore Avagliano, dentro la storica collana fondata da Claudio Damiani e Andrea Di Consoli. Tra gli estimatori del libro, oltre ai prefatori Enrico Testa, Cristina Annino e Alfredo Rienzi, vi sono anche altri autori, quali Sonia Gentili, Milo De Angelis, Susanna Mati, Nanni Cagnone, Gualberto Alvino, Elio Pecora (che ha curato un’anteprima dell’opera sulla rivista Poeti e Poesia).
È un libro che attraversa l’infanzia, l’epoca presente, come anche il futuro; e lo fa procedendo con un andamento quasi narrativo, o comunque ritmico, proprio di una poesia che parte da uno svolgimento autobiografico per arrivare all’universalità della coscienza. Un viaggio per risalire alla fonte del proprio esistere, cercando di dipanare temi quali lo scorrere del tempo, il rapporto uomo/natura, le relazioni amorose e la vita oltre la morte tramite un gioco di rimandi, a volte meta-letterario, altre volte tramite una dimensione più puramente lirico-narrativa. Così come si intuisce dal titolo, questo libro in fondo è una scommessa, un destino; un gioco a specchio dove l’io è un labirinto, e lo specchio dove affacciarsi è lo sguardo altrui”.
Di seguito un estratto da Sasso, carta e forbici:
* * *
Il condor semantico
Ricordo la notte, il condor
semantico appollaiato sui rami
era il mio esistere (e quanto tempo
per fare la carne a brandelli,
quanto tempo per cuocere
il fegato, quanto a diminuire le cellule,
gli atomi del sentimento); le sue ali
ciò che più temevo, aprirsi
in uno spasmo e quegli artigli dire
la tua carcassa sarà il solo verbo.
Poi la notte cominciò a parlare,
la notte divenuta tappeto,
e le parole si stendevano, curve,
con le ali del condor fiancheggiare
(e io scrivevo che non volevo esistere
se io, servo del condor volavo,
ma soltanto tra parole); così la notte
mi piegava mentre il becco
del condor in picchiata mordeva
l’unica parola a cui tenevo.
Avevo dieci anni e il condor
mi programmava le parole
(il condor che vedevo sopra le teste,
il condor quando saliva su mia madre,
e sulla maestra, alle sue spalle,
dalle braccia le cadevano le piume).
Da quella notte cominciai a cancellare,
tenni solo una parola, il condor non la sa,
nemmeno io so quale sia.
Acquario
Mamma, io e te potremmo vivere
– che dici – dentro lo stesso acquario:
come due licheni che si sfiorano
guardandosi (e l’acquario si colorerebbe
di colori rossi e di fumo, e i nostri
ricordi stretti tra i massi… con le giunchiglie
attorno le braccia che si sfiorano, e papà
questa volta sarà bravo); davvero così,
ti piacerebbe, mamma, se fossimo noi
sotto l’acqua, senza pensieri
né identità, e qui stessero anche gli altri,
i tuoi figli, con le bocche spalancate
non più per dire cibo, non più
per un tuo aiuto… Mamma, ora che scrivo
con l’acqua alla gola, ora che ti vedo
sul fondo sei uno smalto pieno d’alba,
Mamma, e la luna non mi fa paura, la tua
luna senza cielo è questa bell’acqua
che dal vetro ora vedo e non vedo,
e tu sei calma e sei bella, sei giovane
come un corallo che non sa di sabbia,
Mamma, come un corallo finalmente solo;
dovresti vederti senza più branchie
umane dovresti vederti, con le ali bagnate
e il viso profondo, Mamma, dovresti sentire
i nostri granelli come gridano vento.
Carta
XI
Prendo il ciuffo di un’erba che tu ami
quello vissuto sulla fronte di tua nonna
la sera quando ti cresceva tra le coperte
lo raccolgo per te che non sei qui
per te che sei tra le coperte degli alberi
sotto la terra onesta o forse di lato
all’albero che è ora tua nonna
così insieme a lei compi proprio i miei passi
li unisci ai passi degli altri, quelli scordati
dove un’orma è per sempre
dove un’orma è mia madre che sale
come un albero ad accarezzarmi i capelli
e mio padre, e il tuo, e il padre di tutti
qui dove prendo il ciuffo di un’erba che tu sei
li rivedo ancora una volta, rivedo la mia vita
e le vite di chi siamo stati, ora che sono ciuffi
e così anche io, sotto la terra, dov’ero
sento di essere stato amato.
* * *
© Letteratitudine – www.letteratitudine.it
LetteratitudineBlog / LetteratitudineNews / LetteratitudineRadio / LetteratitudineVideo
Seguici su Facebook e su Twitter
Iscriviti alla nostra mailing list cliccando qui: scrivi il tuo indirizzo email e poi clicca sul tasto “subscrive”. Riceverai informazioni a cadenza mensile sulle attività di Letteratitudine
Mi piace:
Mi piace Caricamento...
Correlati