Fascismo al femminile. La donna fra focolare e mobilitazione di Valentino Rubetti (Armando Editore)
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di Eva Luna Mascolino
L’ultimo saggio pubblicato da Valentino Rubetti per Armando Editore, Fascismo al femminile. La donna fra focolare e mobilitazione, è un’opera sintetica e allo stesso tempo completa rispetto all’obiettivo che si pone, ovvero quello di sfatare alcuni miti legati al Ventennio e alla condizione della donna sotto il regime di Mussolini. Stando agli studi pubblicati sull’argomento già da decenni, infatti, sembrerebbe che la condizione femminile all’interno della società abbia subito una brutta battuta d’arresto durante il fascismo, incoraggiata da stereotipi di genere legati al suo ruolo di donna e madre.
L’autore, tuttavia, si serve della ricostruzione di fatti storici, aspetti culturali, documenti autentici e spirito critico nei confronti del «paradigma antifascista-resistenziale» impostosi dal 1943 in poi per dimostrare che la questione è ben più complessa di come appare. Una considerazione interessante cui si giunge a lettura ultimata, e che andrebbe tenuta a mente nell’osservare le dinamiche legate allo svilupparsi di un totalitarismo di estrema destra in Italia, è che il Paese era già da secoli sotto la diretta influenza dello Stato Vaticano, sia in termini di equilibri politici che etico-culturali. Ciò significa che la tendenza a ritenere la donna un angelo del focolare aveva già una sua matrice religiosa precedente all’avvento del Duce, e che si sarebbe mantenuta anche dopo la caduta definitiva della Repubblica di Salò e l’alternanza al governo di partiti democratici e progressisti.
Interesse del fascismo dopo i Patti Lateranensi, per di più, era quello di mantenere solidi e fiorenti i rapporti con la Chiesa, motivo per cui le leggi contro l’aborto e l’uso dei contraccettivi si inserivano in un’ottica di incentivazione all’espansione demografica, da un lato, e di adeguamento agli insegnamenti cattolici, dall’altro lato, senza che per questo – secondo Rubetti – il regime si possa considerare antifemminista tout court, o comunque più antifemminista di quanti lo avevano preceduto fino ad allora e di quanti lo avrebbero seguito fino alla fine degli anni Settanta.
Notevoli e fondate risultano anche le considerazioni sul significato da attribuire al lavoro e all’inclusione della donna in attività utili e produttive per la nazione. «Qual era il significato del lavoro? Mezzo di emancipazione o di occupazione del tempo libero o piuttosto dura necessità, condanna di origine biblica, che come tale si dispiega sin dal primo capitolo della Genesi e che ha permeato l’Occidente per due millenni?» (p. 48), si chiede non a caso il sociologo, per poi aggiungere che «il calo del tasso di occupazione femminile, iniziato prima del fascismo, è continuato fino a tutti gli anni ’60, a dimostrazione che non vi è correlazione con le iniziative intraprese dal regime, che si limitavano ad assecondare, e magari anche a enfatizzare, tendenze già in atto» (ibidem).
La «vulgata femminista», così definita nel volume, avrebbe quindi il demerito di non avere approfondito o contestualizzato in maniera adeguata la situazione in atto durante il Ventennio, puntando il dito contro la dittatura come se nell’atto stesso di condannarla ed estirparla dal Belpaese potesse risiedere la panacea di tutti i mali. Pur ammettendo le posizioni spesso scomode e sessiste di Mussolini, Rubetti fa invece notare che una certa mentalità culturale non venne né imposta né inculcata, bensì ereditata e accettata dalla popolazione, che intanto faceva registrare dei progressi in termini di mobilitazione ed emancipazione del sesso femminile a livello statale.
Il saggio della Armando Editore, quindi, lungi dall’essere un’apologia del fascismo o dal rinnegare misure violente e dichiarazioni sconsiderate, tenta di ridistribuire responsabilità ed errori tra diversi protagonista della storia del Novecento italiano, non mancando di menzionare tanto il femminicidio ai danni delle ausiliarie della RSI quanto le questioni inerenti al suffragio universale, così da fornire un’analisi chiara e scevra da pregiudizi di sorta su un capitolo della storia contemporanea che forse meriterebbe maggiori e più accurate indagini.
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