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VIALE DEI SILENZI di Giovanni Agnoloni

febbraio 6, 2020

“Viale dei silenzi” di Giovanni Agnoloni (Arkadia): incontro con l’autore

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Giovanni Agnoloni, nato a Firenze nel 1976, è scrittore, traduttore letterario e blogger. Ha anche preso parte al romanzo collettivo Il postino di Mozzi, a cura di Fernando Guglielmo Castanar (Arkadia Editore, 2019). È inoltre autore di una quadrilogia di romanzi distopico-filosofici sul tema di un ipotetico crollo di internet (Sentieri di notte, Partita di anime, La casa degli anonimi e L’ultimo angolo di mondo finito, editi da Galaad Edizioni tra il 2012 e il 2017), in parte pubblicata anche in spagnolo e in polacco. Come saggista, ha scritto, curato e tradotto diversi libri sulle opere di J.R.R. Tolkien, tra cui la raccolta bilingue di saggi internazionali Tolkien. Light and Shadow (Kipple Officina Libraria, 2019). Infine, ha tradotto o co-tradotto saggi su William Shakespeare e Roberto Bolaño (Bolaño selvaggio, Miraggi Edizioni, 2019, tradotto insieme a Marino Magliani), oltre a libri di diversi autori come Jorge Mario Bergoglio, Amir Valle e Peter Straub. Ha partecipato a numerose residenze letterarie altre attività culturali in Europa e negli Stati Uniti, e lavora come traduttore con le lingue inglese, spagnola, francese e portoghese, oltre a parlare il polacco. I suoi articoli, recensioni e interviste sono disponibili sui blog “La Poesia e lo Spirito”, “Lankenauta”, “Poesia, di Luigia Sorrentino” e “Postpopuli”. Il suo sito è www.giovanniagnoloni.com.

Il nuovo libro di Giovanni Agnoloni è un romanzo psicologico intitolato Viale dei silenzi (Arkadia Editore, 2019). Abbiamo incontrato l’autore e gli abbiamo chiesto di parlarcene…

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image«La storia di Viale dei silenzi è il risultato della sedimentazione di una serie di spunti molto diversi, che col tempo si sono amalgamati in un insieme coerente», ha detto Giovanni Agnoloni a Letteratitudine.
«Direi che le principali fonti sono state tre: il senso di nostalgia per quello che Firenze, la Toscana e in fondo tutta l’Italia erano fino a una trentina d’anni fa, e che a mio avviso non sono più, i miei ricorrenti viaggi in Irlanda e in Polonia, e infine lo studio della chitarra classica. Ma andiamo per ordine. Il primo aspetto mi è venuto varie volte in mente guardando o riguardando film o sceneggiati degli anni Ottanta, in cui si vedevano città, persone e situazioni molto diverse da quelle che oggi, dopo la rivoluzione digitale – che ha segnato un cambiamento epocale – sono abituato a vedere in Italia. In fondo, il mondo è radicalmente cambiato ovunque, ma per qualche motivo qui più che altrove percepivo un senso di scollamento del tessuto sociale e un accentuarsi dell’isolamento e della solitudine delle persone. Volevo dunque scrivere un romanzo il cui protagonista avesse provato sulla propria pelle questo senso di straniamento, e si trovasse a vivere un’esperienza di “recupero” attraverso la ricerca di un genitore scomparso.
A questo punto, subentra il secondo elemento: la scelta dei luoghi. Per passione, per amore e per lavoro, sono stato e torno spesso nei miei due paesi preferiti, l’Irlanda e la Polonia. Sentivo che questa storia doveva iniziare in un luogo bello ma struggente, dal passato costellato di drammi, e ho pensato che la Polonia, e in particolare la sua capitale Varsavia, fosse perfetta per questo. È qui che si svolge la prima metà del romanzo, su strade che, sia pur trasfigurate dal progresso, portano ancora impressa su di sé l’ombra di ciò che una volta c’era e oggi non esiste più – Varsavia è stata quasi interamente distrutta al termine della seconda guerra mondiale, e ampiamente ricostruita nel centro storico, prendendo a modello disegni del passato. Era perciò il teatro ideale per la peregrinazione del protagonista, uno scrittore fiorentino che sta trascorrendo qui tre mesi in una residenza letteraria e che sempre qui, quattro anni prima, è stato di punto in bianco lasciato da suo padre, scomparso nel nulla. Oggi, perciò, Roberto – così si chiama – gira per la capitale polacca in cerca di indizi finora mai emersi, e in questa sorta di città-ologramma scorge, come in filigrana, riflessi della Firenze da cui è voluto fuggire proprio per sottrarsi al senso di profondo disagio che evocavo prima. La vede, e soprattutto adesso, nel parossismo della sua solitudine, gli manca quello che era e oggi non riesce più a essere. Improvvisamente, però, incontra una giornalista irlandese, Erin, che darà una svolta imprevista al suo percorso. Naturalmente non aggiungo altro sulla trama, ma mi limito a dire che qui entra in gioco l’elemento avventuroso-itinerante del libro, che toccherà anche una Berlino notturna, sospesa tra suggestioni pinkfloydiane e à la David Bowie, e soprattutto un’Irlanda carica di un entusiasmo giovanile e di un’apertura di confini naturali capaci di irradiare e trasformare perfino le anime meno predisposte.
In altre parole, un romanzo iniziato in tonalità minore progressivamente modula in maggiore: e questo rende l’idea del discorso musicale a cui facevo riferimento. Lo studio della chitarra classica, che ho ripreso ormai da quattro anni con il Maestro Ganesh Del Vescovo, mi ha portato ad arricchire il mio stile e il mio stesso modo di concepire le storie con una sensibilità che solo la musica riesce a trasmettere. Ogni particolare della trama e ogni parola che la sostanzia devono rientrare in un’armonia generale, e perfino la timbrica (le parole sono formate appunto da suoni dai timbri diversi) è determinante. Insomma, ho pensato e ho scritto tutta questa storia un po’ come se fosse un componimento musicale, con i suoi movimenti, i suoi fraseggi e, appunto, la sua armonia: una prima parte in minore, una seconda ampiamente in maggiore, e un finale, com’è normale che sia, di nuovo venato da accordi e arpeggi in minore. Ma ovviamente non dico quali.
Dal punto di vista di una possibile continuità con la mia precedente produzione narrativa, ovvero i quattro libri che formano la quadrilogia distopica della “fine di internet” edita da Galaad Edizioni (Sentieri di notte, Partita di anime, La casa degli anonimi e L’ultimo angolo di mondo finito), sicuramente non c’è dal punto di vista del “genere” – premesso che io nel discorso dei generi intesi come scatole chiuse o gabbie non credo –. Voglio dire, Viale dei silenzi non è un romanzo distopico, ma interamente realistico. Sì, i pensieri e le alterazioni emotive indotte dalla solitudine portano Roberto ad avere a tratti percezioni surreali (come la Firenze che “legge” in trasparenza dietro le visioni di Varsavia, e poi pure di Berlino e Dublino), ma tutta la sua esperienza è radicata nel presente. Certo, un presente carico di risonanze del passato e di aspettative future, elaborate in un continuo magma interiore.
Forse è in questo che sta il filo conduttore tra la mia produzione distopica e questo nuovo filone che inizia con Viale dei silenzi: nella visceralità dell’ispirazione. Certo, qui si gioca anche l’equivoco del preteso autobiografismo del romanzo, da me negato nella pagina finale dei ringraziamenti. Chiaramente, vari aspetti della mia vita, dai viaggi alle tante residenze letterarie fatte in giro per l’Europa, dal non facile rapporto con Firenze alla recente perdita di mio padre, sono confluiti nella vicenda del protagonista, ma in nessun modo ho inteso parlare di me. Ho semplicemente preso mattoni della mia esperienza personale per costruire un edificio interamente altro. Ma la visceralità rimane, e anche una storia altrui letta attraverso la risonanza con la mia individualità permette di far emergere contenuti profondi, e soprattutto la necessità di suturare le lacerazioni prodotte dai traumi di una vita non facile.
Lo stesso titolo, Viale dei silenzi, è sia un riferimento letterale a vari percorsi fatti a piedi da Roberto a Varsavia e Firenze, meditando sui propri ricordi e dialogando idealmente con suo padre (la narrazione è in prima persona, ma diverse parti sono appunto in seconda), sia un rimando metaforico al percorso interiore che sta cercando di completare per risalire a un’unità perduta.
La copertina è stata frutto di un’attenta riflessione che la casa editrice ha condotto, coinvolgendo anche me. Alla fine è stata scelta un’immagine che richiamasse alla positività degli scenari naturali irlandesi, perché in definitiva tutta la ricerca – intima e avventurosa – del personaggio principale tende a un esito intriso proprio dell’energia che nasce dal ritrovamento della propria fonte interiore e di quell’unità di cui parlavo. E niente esprime questo meglio dei paesaggi d’Irlanda».

(Riproduzione riservata)

© Giovanni Agnoloni

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L’incipit del libro

Ancora quella sensazione.
Che tutto si stesse svuotando, risucchiato in un gorgo.
Uno spazio oscuro, un corridoio d’ombra dove deboli bave
di luce permettevano a stento di distinguere profili di oggetti.
Come se la vita fosse scivolata in uno stato di apnea
e per pochi, brevi attimi, le cose si mostrassero per com’erano
quando nessuno le osservava: traslucide, prive di sostanza.
Mi capitava sempre più spesso, forse perché anch’io stavo
diventando invisibile. Del resto, era questa l’impressione
che ricavavo dagli sguardi della gente che incrociavo per
strada. Una garbata, imperturbabile indifferenza.
Era così da quando avevo intravisto per la prima volta
quella parentesi aperta: quella che tu avevi creato dentro
di me, non so se prima o dopo essertene andato. Quando
il calzino umido e appiccicoso del mondo aveva iniziato a
capovolgersi, sfilandosi dai miei piedi indolenziti e lasciandomi
nudo a contatto col suolo.

(Riproduzione riservata)

© Arkadia editore

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La scheda del libro: “Viale dei silenzi” di Giovanni Agnoloni (Arkadia)

Viale dei silenzi - Giovanni Agnoloni - copertinaUn’indagine nei territori della memoria. La ricerca di un padre misteriosamente scomparso da parte di un romanziere girovago. Un viaggio sospeso tra Varsavia, Berlino e l’Irlanda, con il ricordo della Toscana che riemerge da uno sfondo di esperienze sofferte, insieme a segreti ancora da scandagliare. E quando tutto sembra perdersi nei rivoli di un’esistenza schiacciata dal quotidiano accade un incontro inaspettato ed enigmatico con una donna-musa giunta da lontano a rivelare aspetti nascosti della verità, innescando uno spietato confronto mentale tra l’Italia di un tempo e ciò che ne è rimasto. Viale dei silenzi è un romanzo viscerale, che si addentra nel tormento creativo di uno scrittore sradicato e umanamente incompiuto. La risposta ai suoi interrogativi potrà venire solo dal seguire un itinerario sospeso sul fantasma di un’Europa lacerata, dove ogni punto di riferimento sembra essersi frantumato.

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