Home > Uncategorized > A 1000 KM DAI RICORDI di Silvana Turchi (un estratto)

A 1000 KM DAI RICORDI di Silvana Turchi (un estratto)

marzo 7, 2020

Pubblichiamo un estratto del volume A 1000 KM DAI RICORDI di Silvana Turchi (L’Erudita)

 * * *

Quando ero bambina, un giorno, vidi il sasso della sorgente e sopra una donna che piangeva disperatamente. E siccome quando si è piccoli ci si sente sempre protetti dal dolore e si pensa che gli adulti sappiano tutto, trovai il coraggio di chiedere a mio padre perché la donna singhiozzasse. Rispose a voce bassa che quella donna abbandonava la tristezza nel fiume per ritrovare il sorriso.
La sorgente d’acqua cristallina sgorgava con generosità, riempiendo dapprima le fessure di ciottoli antichi, per poi ingrossarsi e dilatarsi fino a tagliare la terra in due.
Ora, di quel fiume cresciuto a dismisura, vedo l’argine e il suo percorso correre lungo un viale di aceri rossi. Una ferita dalle sponde di fango, che sembra fare da confine a due modi di guardare alla vita.
Al numero 96 di quel viale, il cui nome è Boulevard de Demi, in un condominio dalle finestre rivolte al fiume, vivo io: Rachele Valdom, cinquantotto anni, capelli ramati raccolti dietro la nuca. Fino a qualche tempo fa ero una donna solare che, attraverso la pittura, cercava di raccontare i sentimenti nascosti tra le espressioni dei volti e le pieghe dei corpi. Poi… quella maledetta giornata.
La cena che aveva seguito il funerale aveva riunito tutta la mia famiglia: venticinque persone, ognuno con le proprie storie e con i propri ricordi.
Come diceva Jacques: “Chi riesce a entrare nella nostra famiglia, che sia per un giorno o per tutta la vita, deve sentirsi a casa”.
E così, in effetti, era sempre stato, anche se in quell’occasione, per la prima volta, l’affetto dei miei familiari sembrava non bastarmi.
Tutto era lontano e ottenebrato. Il dolore che provavo, così personale, era solo mio.
Rimasta da sola tra tele e pennelli detestavo la vita che prima mi aveva insegnato l’amore e poi mi aveva colpito alle spalle.
Aver perso Jacques, grande amore della mia vita, mi faceva sentire un uccello sperduto che si aggira in un luogo non suo. Non riconoscevo più nulla.
Il senso della mia esistenza si era allontanato talmente rapidamente da me, che da quattro giorni vagavo per la casa, evitando ogni contatto con l’esterno e con tutto quello che aveva avuto a che fare con lui. Tutto era rimasto come Jacques l’aveva lasciato: dvd e libri oziavano sugli scaffali in attesa di essere consultati, e la sua scrivania, carica di carte, aspettava il suo ritorno. Gli occhi mi andavano sempre al ripiano delle cartelline e dei fascicoli ben ordinati che stavano lì per accusarmi, per ricordarmi lo sforzo con cui Jacques li aveva riempiti.
Il suo pensiero leggero aveva dovuto piegarsi a quelle noiose incombenze, e ora il mio senso di colpa aumentava al pensiero che, per la mia incapacità nelle cose burocratiche, aveva sprecato troppe ore della sua vita a quella scrivania.
Mi sentivo imperfetta e mancante. Avevo perso la mia quercia, l’uomo che con la sua solidità mi aveva permesso di ridere e sognare.
La sua morte mi era sembrata la punizione per non averlo ringraziato abbastanza. Con la rabbia e una sensazione struggente, mi ero appoggiata alla finestra fissando quel tratto di strada che costeggiava il fiume. Quel viale per me era come lo spartiacque del mondo, un diaframma tra il mondo tangibile e il mondo delle cose che vibrano. Quel tratto di terra, inumidito dall’acqua, era sempre stato lo scrigno delle mie ispirazioni. Vedetta di quel mondo, guardavo oltre il vetro con i pensieri che sentivo librarsi nell’aria per poi ricadere in picchiata in mezzo alla folla, quasi a schiantarsi.
Una folata di vento gelido aveva trascinato il mio sguardo verso una delle tante abitanti silenziose di quell’arteria pulsante, Marì. Avvolta nella sua sciarpa grigia e stretta nel suo cappotto liso, attraversava la strada facendo danzare con i piedi le foglie rossicce. Per un attimo i miei occhi avevano smesso di piangere, cullati da quella figura ondeggiante. L’avevo seguita, passo dopo passo, fino a che non era scomparsa con Tony, il portiere. Poi quel dolore soffocante aveva ripreso ad attanagliarmi la gola, fino a quando il suono acuto del citofono non mi aveva scosso. Non avevo né la voglia né la forza di parlare. Non risposi.
L’unica cosa che riuscivo a sopportare era un solitario raggio di sole che tingeva di giallo le pagine dell’album di fotografie che stringevo tra le mani. Ed ecco che le lacrime tornavano a bagnarmi le guance. Jacques mi mancava troppo. Ero dimagrita così tanto che allo specchio la mia immagine appariva svuotata e i vestiti mi dondolavano addosso. Dentro di me sembrava che la vita si stesse polverizzando.
Il suo ultimo respiro mi aveva fatto oscillare in un vuoto freddo e sordo. Mi domandavo come aveva potuto lasciarmi e come avrei fatto a vivere senza il suo battito che aveva regolato il mio tempo come un orologio.

Estratto da A 1000 km dai ricordi di Silvana Turchi.
© 2020 L’Erudita – Marchio di Giulio Perrone Editore S.r.l.
Per gentile concessione

 * * *

La scheda del libro: A 1000 km dai ricordi di Silvana Turchi (L’Erudita)

A 1000 km dai ricordi - Silvana Turchi - copertinaIn una piccola cittadina francese, Rachele, una pittrice famosa per i suoi ritratti scomposti, perde il marito a seguito di una malattia. La scomparsa è devastante, e ritrovare l’amore per la vita pare un’impresa impossibile. Nulla e nessuno, neanche i due figli, sembrano in grado di colmare quel buco che la morte le ha scavato nel cuore. I ricordi affiorano in modo tempestoso e non fanno che accrescere la sua sofferenza. Il presente è offuscato dal passato e il futuro diviene inimmaginabile: l’unica via d’uscita dal dolore è rimuovere il lutto e fingere che nulla sia successo. Inizia così un viaggio senza meta, affidato al fato, in cui Rachele porta con sé la sola cosa che sopravvive nel profondo della sua anima, il talento artistico. La misteriosa imprevedibilità della vita la condurrà nell’oblio esistenziale del popolo dei dimenticati, che prima la proteggerà dai ricordi ma poi la traghetterà verso la presa di coscienza e la rinascita. La scrittura di Silvana Turchi, evocativa e precisa, segue il viaggio emotivo di ognuno dei personaggi, testimoniandone tappe e umori.

 * * *

SILVANA TURCHI (nata a Treviso nel 1956) è autrice di “Mi chiamo Sally e ogni tanto bevo una tazza di tè” (2007). Dal 2013 vive e lavora in Costa Azzurra. Dopo aver terminato i suoi studi artistici a Roma, l’amore per la pittura e il fascino dell’immagine la spingono giovanissima verso il mondo del cinema. Compie i suoi 18 anni sul set iniziando così la sua lunga attività di costumista cinematografica, teatrale e pubblicitaria, unendo, successivamente, alla passione per i costumi e le scenografie quella per la scrittura.

* * *

© Letteratitudine – www.letteratitudine.it

LetteratitudineBlog / LetteratitudineNews / LetteratitudineRadio / LetteratitudineVideo

Seguici su Facebook e su Twitter

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: