“Configurazione Tundra” di Elena Giorgiana Mirabelli (Tunué)
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di Eva Luna Mascolino
«Era una questione di fascinazione ritmica, forse, o semplicemente avevo la percezione di essere di fronte a qualcosa che mi riguardava – invischiata in una prospettiva. Come quando vedi un oggetto solo di taglio, e ti basta, non ti chiedi quale sia la sua effettiva profondità, quale sia la sua collocazione precisa in una cronologia, in un solco temporale, che tipo di storia si porti dietro. No. Tu vedi solo una faccia, un colore, un suono, un taglio di luce. E credi che sia tutto così chiaro, tutto così preciso che ti convince. E poi comprendi che in realtà hai smesso da tempo, non sai neanche da quanto, di esercitare il dubbio» (pp. 25-26).
Non c’è modo allusivamente più efficace per descrivere la Tundra del romanzo di esordio di Elena Giorgiana Mirabelli che quello di ritrovarsi fin dal primo istante nell’universo da lei creato e poi pubblicato con Tunué nella collana Romanzi diretta da Vanni Santoni e da Giuseppe Girimonti Greco. Configurazione Tundra, dopotutto, inizia a sua volta in medias res, proiettando chi legge in un universo ora parallelo e ora avveniristico, ora utopistico e ora distopico, il cui fine ultimo consiste nella creazione di un mondo piano, fatto di linee rette e di calcoli armonici, oltre che coerenti.
Nel visitarlo si è in compagnia innanzitutto di Diana e poi, grazie a lei, di chi abitava la sua casa prima del suo arrivo: Lea, figlia di quella Marta Fiani alla quale si deve la teorizzazione del progetto Bioma, definito come «l’ideazione di un’architettura che genera mutazioni nel comportamento umano, funzionali a rendere l’individuo felice». Attraverso la ripresa di diari, registrazioni, appunti e saggi appartenuti all’una o all’altra figura femminile, quindi, si intersecano i piani temporali e simultaneamente i piani spaziali della storia, sempre in bilico tra una rarefatta ricostruzione del passato e una luminosa ma soffocante pianura presente.
Nel costruire un piano di civilizzazione al di sopra delle pulsioni umane e “pulito” da qualsiasi istinto irragionevole, infatti, tanto chi legge quanto chi racconta si immergono in un microcosmo dalla logica via via più stringente, nel quale non c’è dichiaratamente posto per un libero arbitrio destinato a condannare l’essere umano all’infelicità. La sensazione che si prova mentre si prosegue nella scoperta della Tundra è perciò quella di spiare perennemente un sogno, nel suo doppio significato di dimensione onirico-surreale e di ambizione viscerale: niente appare più assurdo e inspiegabile dei calcoli riportati a piè di pagina, niente sembrava più desiderabile per la madre di Lea che una Terra finalmente liberata dalla sofferenza e, di conseguenza, dall’amore.
È per questo che ogni riferimento a una maniera di stare al mondo altra risulta al tempo stesso affascinante e inafferrabile, straordinario e insensato, disorientante e a suo modo necessario. Dopotutto, secondo l’architetta Fiani, «La felicità sta nell’esprimere al meglio le proprie potenzialità. E le si esprime se ci si sottrae all’indeterminatezza» (p. 84). Paradossalmente, però, il suo Modello è tanto semplice da spiegare quanto complesso da applicare, quasi forzato, e richiede un investimento totalizzante da parte dei singoli individui in termini di rimodulazione del comportamento, ristrutturazione del pensiero e ricalibrazione delle priorità, nonché dei pattern ai quali affidarsi per convivere secondo certi schemi all’interno di una società totalmente nuova.
Il passo che porta lo schema a trasformarsi in una gabbia, come si potrà ben immaginare, è brevissimo. Il Consiglio delle Guide che sorvegliavano le città «era un meccanismo irreggimentato e preciso, che consisteva in un processo piuttosto complesso di calcoli numerologici. Il più uno non era cioè eletto dai Quartieri ma era deciso dal CASO» (p. 39), cioè dal Comitato Automatizzato Stati Osmotici, a dimostrazione del fatto che i rapporti collettivi erano regolamentati da dinamiche estranee ai sentimenti. Proprio per questi ultimi rischia di non esserci alcun margine di sopravvivenza nell’esistenza di Diana, che nell’incomunicabilità e nella maniacalità generale continua a perseguire l’arduo compito di conoscere sé stessa da ogni possibile angolazione prospettica.
Configurazione Tundra risulta, in sintesi, conturbante con la stessa potenza di un film come Metropolis, immaginifico e tremendo come certi racconti di Philip K. Dick, straniante alla pari di alcuni ragionamenti firmati Daniil Charms, mentre racchiude in sé la magnificente ricchezza di una penna indipendente e creativa, elegante e perfettamente padrona della materia trattata, in cui le vicende legate a ogni personaggio sembrano infine ricordarci soltanto fino a che punto restiamo sempre e comunque creature di passaggio.
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La scheda del libro: “Configurazione Tundra” di Elena Giorgiana Mirabelli (Tunué)
Un’architettura che genera mutazioni nel comportamento umano, funzionali a rendere l’individuo felice. Questo è il progetto Bioma, teorizzato da Marta Fiani. A Tundra, la città-bioma perfetta, Diana vive nell’appartamento che fu della figlia di Marta, Lea. Diana, indagando tra le memorie di Lea – foto, lettere, quaderni – porterà alla luce il vissuto di Marta e di sua figlia, i ricordi, le aspirazioni e, soprattutto, il modo in cui il «modello Tundra» ha mutato le relazioni tra persone e la loro percezione del tempo – ma anche l’occasione per rispondere alla cruciale domanda: chi sono io? Un dramma futuribile al tempo stesso delicato e tagliente che rievoca le atmosfere di Don DeLillo e Solaris.
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