È disponibile il n. 25 del magazine FuoriAsse di Cooperativa Letteraria. Il tema di questo numero è: “Il Lavoro. Il senso della critica”. Pubblichiamo l’editoriale della direttrice editoriale, Caterina Arcangelo
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«Una prima conseguenza dell’abuso del principio di autorità è sempre l’ottundimento dello spirito critico»
Norberto Bobbio Quale Socialialimo? Einaudi, Torino, 1976.
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di Caterina Arcangelo
In varie epoche, gli intellettuali si sono interrogati in modi differenti sul tema
del lavoro. In ognuno di questi si nota come all’analisi di un quadro sociopolitico
di un particolare luogo e in una precisa epoca storica si accompagni anche
un’indagine dei caratteri umani; si vede come i grandi pensieri o i grandi movimenti
della storia siano accomunati da un certo livello di spiritualità inteso come
senso di apertura e di predisposizione interiore che porta ogni individuo a sviluppare
uno stato di coscienza sempre attivo, mai chiuso in rigidi schemi.
Inoltre, quasi tutte le scienze hanno sempre contribuito a dare origine non solo
a un sapere specializzato ma anche alle più importanti intuizioni. Intuizioni
che avvengono se, escludendo ogni possibilità di compromesso, l’intellettuale o lo
scienziato restano sempre impegnati nell’unica funzione di capire e scelgono di
vivere per la verità, spezzando appunto quel circolo chiuso di impotenza e di falsità
che ci permette, come spiega Norberto Bobbio, di «infrangere miti» (1).
Tra tutti, Bobbio si interroga sul ruolo dell’intellettuale e mette in evidenza, in più
punti delle sue opere, come la mancanza di senso critico favorisca la creazione di
«miti consolatori», edificanti e falsi. Miti ingannatori perché allontanano dalla
ricerca della verità. Una società improntata su certezze precostituite e chiusa al
dialogo non favorisce né alimenta la volontà di apprendere, poiché tra il desiderio
di conoscere e la realtà vengono a frapporsi una serie di ostacoli. Così «il còmpito
degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non
già di raccogliere certezze». Il solo intellettuale che Bobbio concepisce è l’uomo
che con spirito critico osserva il mondo e che, afferma ancora Bobbio, «non
s’abbandona facilmente al gioco delle alternative radicali: al contrario esamina,
indaga, pondera, riflette, controlla, verifica» (2).
Un valido esempio viene fornito anche da Benedetto Croce, che distingue tra
cronaca e storia nella sostanziale capacità di tenere vivo l’atto del pensiero. Pur
sostenendo la validità di entrambe e pur riconoscendo come la storia non sia
subordinata alla cronaca, nell’asserire come ambedue siano relative alla situazione,
per Croce esse non sono due forme differenti, ma «due diversi atteggiamenti
spirituali». Continua Croce: «La storia è la storia viva, la cronaca la storia
morta; la storia è precipuamente un atto di pensiero, la cronaca un atto di volontà.
Ogni storia diventa cronaca quando non è più pensata, ma solamente ricordata
nelle astratte parole, che erano un tempo concrete e la esprimevano» (3). Senza
l’attuazione del pensiero, vuote sono le parole, vuota è la narrazione, vuoti sono i
suoni.
Un appello alla spiritualità che coinvolgerà anche il pensiero di un giovanissimo
Piero Gobetti, il quale, nel 1918, dà avvio alla realizzazione della sua prima rivista
«Energie Nove». Gobetti avverte l’esigenza di riunire attorno a sé le menti più fervide
della sua generazione per dare un contributo alla nazione afflitta dalla Prima
Guerra Mondiale. Nell’articolo Rinnovamento, che appare in apertura del primo
numero della rivista scrive: «Noi italiani abbiamo bisogno di unirci in comunione
di lavoro […]. E non bisogna dimenticare nell’opera nostra di rinnovamento che il
problema primo e fondamentale che s’imporrà a tutti coloro che amano l’Italia
sarà il problema della Scuola, che deve diventare formazione di umanità italiana» (4).
Si tratta dello stesso articolo in cui Gobetti ritiene fondamentale il contributo
da portare «nella gretta cultura di oggi» da parte dei giovani, suscitatori di nuovi
movimenti di idee, da lui definiti le nuove “energie” del Paese, la forza necessaria
per una «fresca onda di spiritualità». Gobetti è anche uno dei primi intellettuali ad
avere compreso l’importanza del lavoro culturale. Osserva con arguzia di spirito
la realtà contemporanea e crede nel lavoro come propulsore di energia. Un pensiero
libero che lo indurrà man mano a credere e a dare valore, oltre che dignità,
alla classe operaia. La sua idea di liberalismo implica dunque un’apertura verso
il basso, che arriva a capovolgere il significato stesso del termine borghesia: essa
non è più definita sulla base dei vincoli imposti della proprietà privata, ma nella
formazione di una coscienza attiva, che la rende capace di imporsi come organizzazione
politica. Ragione che lo porta ad agire nell’interesse di una riforma della
scuola; per un «rinnovamento» che Gobetti avverte come problema morale e sociale:
motivo che lo spingerà a offrire, nella sua rivista, ospitalità ai tanti giovani che
proprio sulla scuola possono dare un proprio e libero contributo (5).
Ancora prima, sul tema dell’istruzione e del lavoro, per raggiungere la «pubblica
e privata prosperità», non mancava di originali considerazioni l’altro piemontese
Carlo Denina, vissuto tra il 1731 e il 1813, autore di testi vari, storico, nonché
maestro di scuola. Divenne noto per aver pubblicato nel 1760 il Discorso su le
vicende d’ogni letteratura, e altre sue opere quali le Rivoluzioni d’Italia, più volte
ristampata. Nella sua monografia Dell’impiego delle persone (Torino, Michel-Angelo
Morano, 1803) sviluppa in maniera approfondita il tema della scuola, collegandolo
all’unica e vera possibilità di accrescimento della nazione. Un miglioramento
si può avere solo nella misura in cui è possibile dare «a’ fanciulli ed a’ giovani
educazione ed avviamento convenevole alla condizion di ciascuno». Esempio
ne sono «le colte Nazioni di Europa», in cui «si sono stabilite scuole e maestri pubblici
anche ne’ borghi e ne’ villaggi». Denina stabilisce, come fondamento necessario,
l’utilità dell’istruzione, che deve essere «pubblica, lunga, ed universale».
Molti gli studiosi che per secoli hanno favorito una rivoluzione culturale in
grado di garantire un benessere sia economico sia spirituale; oggi, invece, risulta
difficile rimettere in discussione l’importanza del lavoro in questi stessi termini. Il
dibattito politico e culturale agisce nella società odierna influenzandone anche il
linguaggio, ma non tocca quasi mai gli ambiti della cultura e dell’educazione.
Difatti, parlare di lavoro coincide molto più spesso con un’individuazione dei termini
della sua crisi con annessi problemi politici e finanziari, tralasciando così il dato
culturale che sta a monte e che sottintende usanze e tradizioni. Quando invece,
oggi più che mai, occorre attivarsi nell’ambito educativo per favorire i processi
anche economici. Proprio i mass media, che forniscono un insieme di nuovi linguaggi
e nuovi stilemi, sottovalutano il problema culturale. Da un lato, la diffusione
dei beni culturali si è rinvigorita, ma non giustamente organizzata, e questo ne
indebolisce le capacità di ricezione. Tuttavia, il problema dei valori culturali è
comune a ogni epoca, quello che manca realmente sono i movimenti culturali di
grande rilievo, in grado di rimettere in discussione il modello capitalistico e, al
tempo stesso, di restituire quel complesso di valori da assumere come riferimento
per il lavoro e per il territorio che li detiene.
Sono pochi anche gli scrittori, gli architetti, o i professionisti in genere, capaci di
reagire ai falsi miti e che, nel lavoro culturale, fanno scelte e svolgono azioni radicali.
Anche in ambito letterario, sono rari gli studiosi che presentano il problema
in maniera diversa e originale. Tra questi, ricordo Alessandro Ceteroni (6) che si
concentra sul tema del lavoro in letteratura indagando su Giuseppe Pontiggia
(La grande sera) o Paolo Volponi (Le mosche del Capitale): autori, che, a loro volta,
hanno creato dei personaggi in grado di rimettere in discussione la figura del
manager, dando al lettore la possibilità di interrogarsi sul significato della formazione
economica e/o umanistica. Volponi mette in risalto l’ambiente industriale
chiuso, quasi asfittico, che si contrappone però a un altro volto della fabbrica e della
città in cui spiccano altre necessità e interlocutori diversi, «portatori di una cultura
più giusta e materiale, attenti e capaci di elaborare un piano di trasformazione
generale…» (7).
Intanto nuovi sviluppi digitali hanno modificato radicalmente il mondo del lavoro
e le vite di aziende e lavoratori. Lo faranno con sempre maggiore forza nel prossimo
futuro, soprattutto nel rispetto delle nuove regole e delle nuove urgenze legate
alla pandemia da Covid-19, che ha colpito, tra la fine del 2019 e il 2020, il mondo
intero. Le innovazioni e la paura del contagio resteranno a lungo e anche dopo
l’arrivo di un agognato vaccino contro il coronavirus. Non solo lo smart working e
le nuove esigenze sanitarie spingeranno verso il cambiamento, ma a cambiare sarà
anche un sistema generale dei controlli che presto riguarderà tutti.
Saremo pronti a interpretare in maniera giusta, con spirito critico e libertà di
pensiero e nel rispetto di ogni categoria lavorativa, le piccole e grandi rivoluzioni
che stanno trasformando in maniera radicale ogni settore della nostra società,
compreso il panorama culturale?
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1 Cfr. N. Bobbio, Politica e cultura, Torino, Einaudi, 1955, rist. 1974 pp. 15-20.
2 Ibidem.
3 B. Croce, Teoria e storia della storiografia, Bari, Laterza, 1917, p. 8.
4 P. Gobetti, Rinnovamento, in «Energie Nove», n. 1, 1- 15, novembre 1918, p.2.
5 P. Gobetti, La questione della scuola, in «Energie Nove», serie I, n. 5, 1- 15 gennaio 1919, nella rubrica Note e polemiche.
6 Alessandro Ceteroni è autore del libro Letteratura aziendale. Scrittori che raccontano il precariato, le multinazionali e il nuovo mondo del lavoro, Novate Milanese, Prospero Editore, 2018.
7 P. Volponi, Le mosche del capitale, Torino, Einaudi, 1989, p. 32.
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[Il n. 25 di FuoriAsse è disponibile qui]
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