“A proposito di Elena” di Giuseppina Norcia (Vanda Edizioni)
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di Daniela Sessa
Già chiamarla Elena di Sparta o Elena di Troia apre immensi e fecondi scenari. Ma apriamone un altro: se Elena fosse un calligramma, una bella poesia disegnata da Teocrito fino ad Apollinaire. Immaginiamo le parole di Elena intorno al ventre del cavallo di Troia pieno di greci (amici o nemici?) o le parole per Elena dette da Gorgia o inflitte dall’euripidea Ecuba: cosa diventerebbero sulla pagina? Un uovo e un punto interrogativo. Perché Elena e il suo mistero stanno in quell’origine divina così poetica e violenta assieme. Figlia di Nemesi o di Leda, Elena è quell’uovo appeso al soffitto della reggia di Sparta il cui fato coincide con il rapimento. Ogni attributo di Elena rimanda all’enigma, al bifrontismo, alla fuggevolezza, alla parvenza. Paride la porta a Troia “fittamente velata” come scrive Christa Wolf eppure tutti ne vedono la stravolgente bellezza, luminosa e seducente. Pure il rapimento ha la sua doppia semantica: Elena rapisce e viene rapita. Soprattutto su questo ruota l’ultimo libro di Giuseppina Norcia “A proposito di Elena” che racconta, con quell’incanto verbale che è proprio della scrittrice, la storia di Elena, il suo destino di rapita attraverso i secoli. Un personaggio aereo appare l’Elena di Norcia, metamorfico nell’attraversare il tempo degli uomini con la stessa sfingea consistenza di Orlando di Virginia Woolf. Solo che qui si gioca su una sorta di eterno femminino che rimanda al corpo della Bellezza, un corpo voluttuario e cavo su cui, nella visione di Norcia, si gioca ogni guerra. “Lei, la multiforme, la mutaforme, sa bene di essere molte cose, vittima e maestra di contemplazione, oggetto del desiderio e tessitrice visionaria chiamata a rappresentare la sua stessa storia. A rappresentare la storia del mondo”. Norcia ricostruisce la storia della preda mitologica da una Elena zero a un’Elena 2.0 : un viaggio tra il mito e la contemporaneità intrecciando Saffo e Nabokov, Virginia Woolf e Omero, Albert Camus ed Euripide, Simone Weil e Zeusi. Scrive Norcia in uno dei passi più interessanti del libro che per il pittore ateniese ci vollero “Cinque donne per fare un’Elena”. Lo stesso può dirsi di Giuseppina Norcia che per fare la sua Elena fa i ritratti in parole di Briseide, Aspasia, Ifigenia, Kore e… Alcibiade, il giovane e camaleontico stratega innamorato di Socrate, per cui Norcia, sulla scia di Plutarco si chiede “Che donna è Alcibiade?”. E’ un tessuto “A proposito di Elena”, forse lo stesso che Elena ricamava nelle stanze infide di Troia: un libro fatto di rimandi e di incursioni sul presente che consentono a Norcia di gettare sul tavolo del mito alcune domande universali: sulla guerra, sulla marginalità delle donne, sulla violenza della guerra contro il corpo delle donne, sulla distruzione della Bellezza e sulla sua incessante ricerca. Il congedo lirico con l’immagine dell’albero di Elena, il platano del bosco fuori Sparta dove si celebravano le feste Helenie fa da controcanto a un secondo congedo, quello dell’esilio di Elena di Camus: si tradisce il bosco nell’epoca delle grandi città. E’ un libro prezioso “A proposito di Elena” perché ha l’aspetto di Elena stessa: Norcia dissemina il libro di domande come a ribadire il segno ortografico che Elena incarna nel suo destino di drammatica Bellezza. Perché è esso stesso proteiforme: il racconto pare spezzare (o è il contrario?) una bozza di teatro. Ci sono un prologo e un dialogo dove Norcia si sdoppia nella voce narrante perché doppia (amore e terrore, dono e malattia) è l’idea di Elena, quattro monologhi e un epilogo affidati al personaggio Elena “Simulacri, accuse inconsistenti si contendono la vostra mente: non è bellezza ciò che crea infelicità; o se lo è, è una bellezza tradita, vilipesa, capovolta.”. La voce dell’Elena di Norcia è vellutata, evocativa, soffusa, blu. O forse è la voce di Norcia stessa, della sua scrittura limpida e con il ritmo di un esametro.
– Elena esiste nel rapimento, inflitto agli uomini come seduzione e subìto perché oggetto di desiderio. Cosa racconta il mito del rapimento di Elena guardando agli uomini che la rapiscono?
Il mito del rapimento di Elena racconta la smania di possedere. La tentazione di vedere il corpo di una donna come un luogo da assediare, da rendere proprio. Questo aspetto emerge solo in parte nel suo rapporto con Paride (il loro è un reciproco rapimento “d’amore”) ed è più evidente in quel mito meno noto che la vede appena dodicenne rapita da Teseo. A questa storia ho desiderato dedicare uno spazio particolare, quello che spesso la tradizione le ha sottratto: d’altronde è un mito piuttosto scomodo, che squalifica il “grande” Teseo, non più dipinto come eroe e monarca illuminato. Qui Elena mi è apparsa come una Lolita dell’antichità. Ne ho sentito persino la voce. “In quegli istanti sento ancora la mascella di Teseo costringere la mia, il cigolio del carro in fuga lungo strade di polvere, il letto in cui il mio cuore corse per la prima volta incontro all’ombra”. L’idea sottesa al rapimento è che la donna sia un oggetto da possedere: un pensiero che in parte si ritrova nella competizione dei pretendenti e, successivamente, nel patto che essi stringono intorno al vincitore. Si schiereranno accanto a Menelao se qualcuno oserà portargli via la sposa: lo giurano con un rito, disposti a cerchio intorno a un cavallo fatto a pezzi. Per certi versi è lì che nasce la guerra di Troia, poiché nessuno potrà sottrarsi al patto. La domanda rimane la stessa: è davvero per Elena che si combatte? O sono tutti intrappolati – rapiti – da altro?
– “Che Elena non è solo una donna. È una demone. O una dea”. Questa frase porta al nucleo concettuale del libro che ruota intorno all’universalità di Elena, archetipo del corpo delle donne. Non è un’interpretazione eccessivamente politica del mito di Elena? Fino a quanto può spingersi l’attualizzazione di un mito, se mai sia corretto il termine attualizzazione quando si parla di un mito. Penso a una lunghissima tradizione di personaggi elenici, di suggestioni che nel suo libro emergono o di trasposizioni del mito soprattutto nella versione di Euripide fino alla traduzione scenica di Livermore.
Un mito per vivere nel tempo ha bisogno di essere raccontato, persino di essere tradito modificandosi in relazione al tempo che lo evoca. Altrimenti rischia di trasformarsi in un mero esercizio letterario perdendo la sua potenza originaria. Il mito di Elena è di per sé cangiante, multiforme. Spesso è la “voce ateniese” (pensiamo, per lo più, ai tragici e ai comici, ad esempio) che ne sottolinea il potere di condurre alla morte e alla perdizione, mentre la tradizione riconducibile a Sparta narra di un’Elena potente e divina, di templi e feste in cui le sono tributati dei culti. Questa complessità inscritta nel personaggio Elena provoca in modo molto naturale un’apertura alle grandi voci del ‘900. Quando Simone Weil dice «Per i nostri contemporanei il ruolo di Elena spetta a parole ornate di maiuscole» parla del suo tempo, della propaganda bellica, della manipolazione delle menti ma entra in sintonia con un aspetto fondamentale di Elena: la sua capacità di essere simulacro, eidolon, immagine illusoria. Non snatura il suo mito, lo reinterpreta. Quando Camus parla di esilio di Elena per denunciare la messa al bando della bellezza, pone con urgenza un tema di scottante attualità: dura ancora l’esilio di Elena? Allora mi sono chiesta in quanti e quali modi oggi esiliamo la bellezza…
– Dopo Achille di “L’ultima notte di Achille”, Elena. Dopo Elena? Nel libro almeno due personaggi urgono per un racconto tutto loro: Alcibiade e Aspasia.
Aspasia e Alcibiade, la loro storia, i loro ritratti sono stati importanti per la stesura di questo libro e mi hanno offerto un percorso appassionante, parallelo al mito di Elena. Aspasia è la donna chiamata cortigiana da larga parte della tradizione ma che in realtà doveva essere depositaria di un sapere antico e profondo, al punto che le sue “lezioni” erano ben note a Socrate e frequentate da uomini che spesso portavano ad ascoltarla anche le proprie mogli. Sembra essere una sophè, una sapiente, e anche una politica. Credo che ci sia ancora molto da esplorare sul suo conto ma ancora non so se da questa riflessione nascerà un libro. Talora sono i personaggi a chiamarci, e spesso lo fanno sorprendendoci, prendendoci alle spalle. Anche Alcibiade, stratega visionario e traditore insieme, l’uomo dalla bellezza irresistibile che amava Socrate, il ragazzo capriccioso di Atene che camminava nell’agorà indossando una tunica color porpora, visse una vita che è già in sé come un romanzo. Chissà…
Tra i miei progetti futuri c’è senz’altro il Teatro: scrivere drammaturgie ex novo e adattamenti teatrali dei miei libri. Penso soprattutto ad Achille ed Elena: non posso fare a meno di notare che entrambi i personaggi sono ammirati e insieme detestati, criticati e ambiti, per certi versi incompresi, avvolti nel mistero e nella solitudine.
– Un capitolo del libro s’intitola Il mondo senza “Elena”. Può esistere un mondo in cui si smetta di rincorrere la Bellezza?
Spero vivamente che possa esistere un mondo in cui si smetta di rincorrere la bellezza. Perché non dobbiamo inseguirla, prenderla e possederla. Altrimenti diviene come quelle ninfe che intrappolano fuggendo, perché trasformate in ossessione. Oppure i corpi di donna espugnati come città, le opere d’arte trafugate, la natura offesa, “consumata”. Dobbiamo lasciarla essere, la Bellezza, farla emergere, avere la capacità di goderne quando ci circonda e ricercarla dentro di noi. Mi viene in mente la “preghiera del filosofo” contenuta nel Fedro di Platone, opera che nel libro ha uno spazio particolare: “O caro Pan, e quanti altri dei qui dimorate, fate che io sia bello di dentro, e che tutte le cose che ho di fuori siano in accordo con quelle che ho di dentro”.
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