JOHN LENNON E IO: “Cetti Curfino” e “Woman is the Nigger of the World”
QUARANT’ANNI DALLA SCOMPARSA DI JOHN LENNON (Liverpool, 9 ottobre 1940 – New York, 8 dicembre 1980)
UN TRIBUTO ATTRAVERSO UN APPROFONDIMENTO DI UNO DEI BRANI DI “IMPEGNO CIVILE” DELLA CARRIERA SOLISTA DELL’EX-BEATLE
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In occasione del quarantennale dell’omicidio di John Lennon, pubblichiamo uno stralcio della postfazione del romanzo “Cetti Curfino” di Massimo Maugeri (La nave di Teseo) dedicato al grande artista scomparso e al suo bellissimo brano musicale “Woman is the Nigger of the World” i cui versi compaiono come epigrafe del libro
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Mi capita spesso, quando scrivo, o penso alla scrittura, di associare idee e immagini a una canzone. Nel caso di “Cetti Curfino“, proprio per via delle suddette riflessioni, il pensiero mi condusse fino alle note di una bellissima canzone di John Lennon (non tra le più conosciute, per la verità) il cui titolo scuote come uno schiaffo: Woman is the Nigger of the World (“La donna è il negro del mondo”). Vorrei approfittarne per raccontare la storia di questo brano musicale che, purtroppo, nonostante i suoi 46 anni di età [oggi 48, n.d.r.], è ancora attualissimo.
“La donna è il negro del mondo. Sì, lo è: pensaci. La donna è il negro del mondo: pensaci, fai qualcosa.”
È la traduzione dell’incipit di questa canzone che Lennon pubblicò nel 1972, prima come singolo e poi all’interno dell’album Some Time in New York City. Un brano che fece così scalpore, e che innescò una serie di polemiche così virulente, che finì con l’essere bandito dalle radio. Il titolo nasce da una frase che Yoko Ono pronunciò in un’intervista rilasciata alla rivista “Nova” nel 1969. John riprese quella frase e, dal concetto che ne stava alla base, la forgiò in forma di canzone di denuncia che scrisse insieme alla stessa Yoko.
Ciò che non piacque a molti fu l’utilizzo della parola “nigger” (negro), considerata offensiva e razzista (ovvero “politicamente scorretta”, come si direbbe oggi). L’utilizzo di quella parola, ovviamente, aveva chiari intenti provocatori; ma il senso della provocazione risiedeva nella descrizione e nella denuncia di una condizione di asservimento a cui la donna era (ed è) assoggettata, in maniera più o meno intensa, più o meno violenta, nelle diverse culture e società del mondo (la carneficina definita con il termine femminicidio è solo la terribile e tragica punta dell’iceberg). Basta soffermarsi sul testo originale, e sulla sua traduzione in italiano, per cogliere il peso e l’attualità di quella denuncia. Ciò che mi preme sottolineare, intanto, è il fatto che il testo di quella canzone non è rivolto a tutti, ma è palesemente indirizzato agli uomini. Lo capiamo già dalla prima strofa: “We make her paint her face and dance / If she won’t be a slave, we say that she don’t love us” (“La spingiamo a truccarsi e a ballare / Se non vuole essere asservita, le diciamo che non ci ama”). E poi ancora: “If she’s real, we say she’s trying to be a man / While putting her down, we pretend that she is above us” (“Se è autentica, le diciamo che sta provando a fare l’uomo / Mentre la umiliamo, fingiamo che ci sia superiore”). E poi l’affondo: “Woman is the nigger of the world, yes she is / If you don’t believe me take a look to the one you’re with” (“La donna è il negro del mondo, sì lo è / Se non mi credi da’ un’occhiata a quella con cui stai”).
Di più. Non c’è asservimento peggiore di chi è ridotto in schiavitù. Ebbene, persino in quei contesti la donna è posta in una posizione di subalternità nei confronti di chi è già schiavizzato: “Woman is the slave to the slaves” (“La donna è la schiava degli schiavi”). Doppia provocazione, dunque. D’altra parte John Lennon non ha mai avuto peli sulla lingua nell’esprimere il suo pensiero. E il prezzo delle battaglie civili e politiche condotte nel corso degli anni Settanta ebbe modo di pagarlo sulla sua pelle. Basti pensare alle continue “pressioni” inflittegli da parte dell’amministrazione Nixon affinché lasciasse gli Stati Uniti (vedi nota 1).
Il brano fu comunque censurato da molte radio americane perché considerato scomodo e offensivo, sebbene non mancarono interventi anche da parte di uomini e donne di pelle nera finalizzati a spiegare il senso della canzone.
Se cercate su YouTube, troverete il video della partecipazione di John e Yoko alla trasmissione di Dick Cavett (siamo nel maggio del 1972) dove – prima dell’esibizione dal vivo con la Elephant’s Memory Band – Lennon legge e mostra alla telecamera un messaggio scritto dal deputato democratico di colore Ron Dellums in difesa della canzone: “Se si definiscono come ‘negri’ persone i cui stili di vita sono stabiliti da altri, le cui opportunità sono definite da altri, il cui ruolo nella società è prestabilito da altri, beh, la notizia è che non c’è bisogno di essere nero per essere un ‘negro’ in questa società. La maggior parte delle persone in America sono ‘negri’.”
È interessante sottolineare il fatto che la ABC chiese a Cavett di scusarsi preventivamente con il pubblico qualora qualcuno si fosse sentito offeso dal titolo e dal testo del brano musicale. Ed è altrettanto interessante evidenziare l’affermazione di Lennon che precede la lettura delle dichiarazioni di Dellums; e cioè che gli scandalizzati dal testo della canzone sono fondamentalmente uomini di pelle bianca.
Al di là delle precisazioni esposte, Woman Is the Nigger of the World rimane una delle più folgoranti canzoni di denuncia (ripeto, indirizzata agli uomini), sullo stato di asservimento a cui sono assoggettate le donne nel mondo. In altri termini Lennon rivolge all’intero genere maschile – includendo se stesso – un invito alla riflessione e all’assunzione delle proprie responsabilità. Non è un caso che nel testo della canzone utilizzi il pronome “we” (“noi”), anziché “you” (voi). Tranne – come già evidenziato – quando si rivolge, in maniera graffiante, a un potenziale interlocutore maschile che non è d’accordo con questa tesi (“If you don’t believe me take a look to the one you’re with” / “Se non mi credi da’ un’occhiata a quella con cui stai”).
Lo stesso Lennon ebbe modo di ammettere che da ragazzo, in più di un’occasione, non si tirò indietro dal maltrattare le proprie partner. Gli occorse un bel po’ di tempo per liberarsi dai condizionamenti maschilisti e per accettare sul serio la totale parità di diritti tra uomo e donna. In tal senso, il ruolo di Yoko fu fondamentale. Del resto è proprio alla sua Yoko e a tutte le donne che John dedica la celeberrima Woman. Una canzone che suona quasi come una sorta di testamento spirituale, essendo stata pubblicata all’interno dell’album Double Fantasy il 17 novembre 1980 (solo tre settimane prima di essere assassinato): “Woman, please let me explain / I never meant to cause you sorrow or pain / So let me tell you again and again and again / I love you…” (“Donna, ti prego lascia che ti spieghi / Non ho mai voluto arrecarti sofferenza o dolore / Perciò permettimi di dirti ancora e ancora e ancora / Ti amo…”).
Devo dire, in chiusura, che le canzoni di John Lennon mi hanno fatto molta compagnia nel corso della stesura e della revisione di questo libro.
Dunque vorrei approfittarne, cara Lettrice e caro Lettore, per offrirvi un percorso musicale che – se lo riterrete – potreste accostare alla lettura di questa storia. In altri termini vi propongo una sorta di possibile colonna sonora del romanzo basata su canzoni di John Lennon che, in un modo o nell’altro, possono essere considerate in tema. Si tratta, naturalmente, di un omaggio tributato a John; nonché di una forma di ringraziamento rivolto al grande ex Beatle per avermi accompagnato nella scrittura di questa storia (con la speranza di contribuire a far conoscere in maniera più approfondita alcune delle sue canzoni).
Di seguito, dunque, troverete un breve elenco di canzoni con citazioni tratte dagli stessi brani musicali. Ve ne propongo una per ogni “Parte” del romanzo. Lascio a voi il compito di tracciare i possibili collegamenti.
Massimo Maugeri, aprile 2018
[Dalla postfazione del romanzo “Cetti Curfino” di Massimo Maugeri (La nave di Teseo)]
(Riproduzione riservata)
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Playing list
PARTE PRIMA: Una bellezza ferale
Girl (Lennon/McCartney – 1965)
Is there anybody going to listen to my story / All about the girl who came to stay?
[C’è qualcuno che ascolterà la mia storia / Incentrata sulla ragazza venuta per rimanere?]
PARTE SECONDA: Zia Miriam
Watching the wheels (John Lennon – 1981, postumo)
People say I’m crazy doing what I’m doing / Well they give me all kinds of warnings to save me from ruin.
[La gente dice che sono pazzo a fare ciò che faccio / E mi dà un sacco di avvertimenti per salvarmi dalla rovina.]
PARTE TERZA: Sebastiano, detto Seby
Mother (John Lennon – 1970)
Mother, you had me but I never had you, / I wanted you but you didn’t want me.
[Madre, tu avevi me ma io non ti ho mai avuta / Io ti volevo ma tu non mi hai mai voluto.]
PARTE QUARTA: Andrea Coriano
Help! (Lennon/McCartney – 1965)
Help me, if you can. I’m feeling down.
[Aiutami, se puoi. Mi sento giù.]
PARTE QUINTA: Colpiscila!
Woman is the nigger of the world (John Lennon – 1972)
Woman is the nigger of the world… yes she is / If you don’t believe me, take a look at the one you’re with. / Woman is the slave to the slaves / Yeah… alright… hit it!
[La donna è il negro del mondo… sì, lo è / Se non mi credi, da’ uno sguardo alla donna con cui stai. La donna è la schiava degli schiavi / sì… giusto… colpisci!]
PARTE SESTA: Cetti Curfino
Woman (John Lennon – 1980)
Woman, please let me explain / I never meant to cause you sorrow or pain / So let me tell you again and again and again / I love you…
[Donna, ti prego lascia che ti spieghi / Non ho mai voluto arrecarti sofferenza o dolore / Perciò permettimi di dirti ancora e ancora e ancora / Ti amo…]
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Nota: (1) A chi fosse interessato consiglio la visione del film documentario U.S.A. contro John Lennon diretto da David Leaf e distribuito nel 2006. (Peraltro, a proposito di amministrazione statunitense, credo che proprio oggi, nel pieno dell’era Trump, questa canzone acquisisca ulteriore attualità.)
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La scheda del libro: “Cetti Curfino” di Massimo Maugeri (La nave di Teseo)
Un giornalista giovane e spiantato entra in un carcere per incontrare una detenuta. Gli si pone davanti una prorompente figura di donna, labbra carnose, corpo colmo, occhi che rivelano abissi. Di lei ha letto sui quotidiani, è stato un caso che ha fatto parlare e che adesso sta per spegnersi, ingoiato da altri clamori. Il giornalista ha subito pensato che la sua storia andasse raccontata e ora che se la trova lì, ferina, impastata di dialetto, dolore e femminilità, capisce di non essersi sbagliato. Eccola, è lei. Cetti Curfino. Ma chi è questa donna? Qual è la storia che l’ha portata in carcere? E soprattutto, sarà in grado di rivelarsi, di confessare a lui – Andrea Coriano, giornalista alle prime armi – la propria vita, i percorsi oscuri che l’hanno condotta fin lì? Non ha molte armi professionali in tasca, Andrea Coriano, e nemmeno molti strumenti di seduzione, in verità. Al più, può sfoderare con una certa autoironia le proprie difficoltà. La vita con zia Miriam ad esempio, agguerrita sostituta di sua madre, morta nel darlo alla luce. O narrare le sue corse in macchina per portarla in giro con il suo festoso gruppo di amiche di mezza età, vedove ringalluzzite dalla gioia di godersi la stagione del tramonto. La voce di Cetti, però non gli dà tregua. Vibrante nel suo italiano imperfetto, sembra salire da profondità nascoste della terra di Sicilia.
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