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IL PUGILE RAGAZZO di Pier Luigi Amata: incontro con l’autore

luglio 8, 2021

“Il pugile ragazzo” di Pier Luigi Amata (La nave di Teseo): incontro con l’autore e un brano estratto dal libro

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Pier Luigi Amata vive e lavora a Roma. Il suo primo romanzo è Il Signore della bellezza (2017).

Esce oggi il nuovo romanzo di Pier Luigi Amata. Si intitola “Il pugile ragazzo” e lo pubblica La nave di Teseo, come il precedente.

Abbiamo chiesto all’autore di parlarcene…

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«La storia che ho scritto non è autobiografica», ha detto Pier Luigi Amata a Letteratitudine, «le vicende narrate non sono accadute a me, ma è anche vero che non avrei saputo esprimere sentimenti e sensazioni che non ho conosciuto.
Se devo dire quali sono le motivazioni che mi hanno spinto a Scrivere questo romanzo, quali le radici, se devo raccontare il modo come è venuto su, come ho costruito i personaggi, allora ho bisogno di tornare indietro procedendo un po’ a caso, a zig-zag.
Devo ritrovare, fra le molte, le necessità che mi hanno spinto nell’impresa. In effetti non c’è stato un motivo unico, piuttosto si è trattato del desiderio di rispondere a istanze diverse e scollegate l’una dall’altra. Il risultato è stato il romanzo. Questo.
Dunque tentando di ricostruire la faccenda la prima cosa che devo ricordare è che sono dislessico e, sebbene sia sempre stato uno studente piuttosto brillante, la difficoltà di concentrazione, l’invertire le sillabe, posporle o anteporle, finendo con il leggere fischi per fiaschi è stato per me motivo di grande frustrazione. Così mi sono vendicato: diventando, poi, uno scrittore. Certo, la vendetta è un sentimento di dignità, se non si infrangono le leggi non è poi così male. Come la rivalsa o la riabilitazione.
La seconda cosa che devo ricordare è che sono un chirurgo, Non devo viverci con le parole, non ho tentazioni, posso permettermi di dire la verità al lettore, non devo ingannarlo costruendo figure eroiche ammiccanti quando non addirittura ideologizzate o strumentali ad una parte. Non devo strizzare l’occhiolino né tirare la volata a nessuno. Jasper e Andrea, i protagonisti della storia, sono due giovani pugili, retti nel corpo e nello spirito, non bevono, non si drogano, ma picchiano forte quando ritengono ce ne sia bisogno, e non si giustificano. La voce narrante non fa la morale, è una storia senza morale oppure è una storia che trova la sua ragione etica dai fatti che accadono, cioè a posteriori.
La terza cosa che devo ricordare è che negli anni settanta sono cresciuto ideologicamente soffocato; compresso tra i fasci e i compagni, davvero non c’era alternativa, chi non era né l’uno, né l’altro, era un “qualunquista” se non un “reazionario”. Quindi niente occupazioni degli istituti scolastici, niente notti in sacco a pelo sdraiato sul pavimento degli androni o delle classi, niente collettivi, niente scioperi, niente picchetti. Anche Jasper e Andrea sono due qualunquisti, proprio non ce la fanno a credere che il mondo si può cambiare con la politica, con le idee. Loro vivono nella privazione di tutto o quasi, in un panorama amorfo e privo di prospettive. Piuttosto pensano alla boxe che li tiene in piedi.
La quarta cosa che devo ricordare è che volevo raccontare la storia di una grande amicizia, di quelle che restano oltre il tempo, oltre la vita. Se fai una cosa per un amico, la fai per il mondo. Se fai una cosa per un’idea, la fai per colui che in quella idea si identifica e, in fondo, sei sempre tu.
La quinta cosa che devo ricordare è che volevo descrivere il sentimento della disperazione. La peggiore, non quella derivante da un accadimento negativo, ma quella che riguarda lo stato d’essere, quella senza una apparente motivazione. Il mal di vivere che dipende da niente e da tutto.
La sesta cosa che devo ricordare è che avevo voglia di dire che la vendetta, per quanto assurdo, può diventare un motivo di vita, una ragione per stare al mondo quando non se ne trovano altre e col tempo, affievolendosi, sublimandosi in altre forme, può addirittura condurre l’uomo su una strada retta e gloriosa.
La settima cosa che devo ricordare è che volevo dire ai lettori quanto sia importante e nobile praticare lo sport. Aiuta a diventare coraggiosi anche se si è nati con un cuore piccolo come un’oliva».

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“Il pugile ragazzo” di Pier Luigi Amata (La nave di Teseo): da pagg. 17-19

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Quarantatré anni prima

1

Per addormentarsi aveva avuto bisogno di ascoltare una favola
tutte le sere, fino all’età di quattro anni e mezzo. I temi preferiti
riguardavano vicende d’amore e soprattutto di guerra e
coraggio, le scenografie ridondavano di boschi incantati e mostruosi,
castelli inespugnabili arroccati su rupi torte e impervie,
ma anche ruscelli e piccoli laghi scintillanti abitati da creature
inventate dalla maestosa fantasia del padre, voce narrante solida
e soave nello scuro della stanza in fondo al corridoio. Poi si
era accontentato del bacio della buona notte e della porta socchiusa
su uno spazio illuminato. Jasper Geremia Abbondanza
aveva avuto un avvio alla vita cauto e ben protetto, ma era comunque
riuscito a diventare un ottimo combattente. Aveva un
fisico sottile, all’apparenza fragile e flessuoso come un giunco
piegato dal vento, ma era forte e resistente. Aveva cuore ed era
impavido come i personaggi che per anni avevano popolato le
storie dell’infanzia, e si era abituato a credere che farsi onore
o difenderlo, se mai ce ne fosse stato bisogno, non era un’astrazione
letteraria ma un’aspirazione nobile e legittima. Aveva
tredici anni quando era salito per la prima volta sul ring e aveva
indossato caschetto di protezione e paradenti, e in quel momento
si era reso conto di non riuscire a controllare le gambe che
tremavano e parevano non esserci, e soprattutto non erano in
grado di sostenere il tronco perché le sentiva maledettamente
fiacche, come quando si sta per svenire. Di fronte agli occhi
aveva una realtà molto semplice da constatare: qualcuno, lui o
il suo avversario, avrebbe dovuto smetterla di girare in tondo a
passetti incerti e interrompere quella liturgia d’attesa, sferrando
il primo attacco e dando inizio al combattimento. Da qualche
parte avrebbe dovuto trovare la forza che gli era sembrato l’avesse
abbandonato, avrebbe dovuto smettere di preoccuparsi
di ciò che non stava andando bene facendo elenchi mentali sui
possibili errori, avrebbe dovuto concentrarsi e respirare sgombrando
la mente dai pensieri nefasti che in un vortice infernale
ne generavano altri sempre peggiori, avrebbe dovuto mandare
a segno un paio di buoni colpi veloci e coordinati e con essi aggiudicarsi
l’incontro. In seguito avrebbe ripensato a quel primo
giorno innumerevoli volte, e sempre con l’intento di comprendere
da dove si fosse generata la paura che all’inizio lo aveva
quasi paralizzato e perché fosse scomparsa poco dopo, iniziato
il match, sostituita da inebrianti scariche di adrenalina che lo
avevano fatto sentire invincibile. Sebbene fosse appena un adolescente,
aveva già assunto cognizione della propria dimensione
fisica, poteva sentire la forza arrivare, pulsare nelle arterie e nei
muscoli tesi, pronti all’impatto, poteva controllare il suo corpo,
mentre lo spirito veleggiava alto tra fiere speranze, giovani
e sempiterne. E questa sensazione immensa lo aveva accompagnato
in quello e nei molti incontri che si erano poi succeduti.
Dopo l’allenamento stava aspettando il tram già da un
pezzo quando l’automobile del suo allenatore si era fermata di
fianco alla pensilina. Aveva accettato il passaggio perché sarebbe
stata un’occasione per chiedere come se la stava cavando,
se secondo il mister sarebbe diventato un vero pugile oppure
si sarebbe fermato a metà strada tra i veri campioni e quelli
destinati a smettere, se a lui sarebbe toccata la sorte peggiore,
quella del mediocre, un atleta che nelle gare a squadre non veniva
mai considerato indispensabile. Era questo il suo timore:
non essere capace di suscitare entusiasmi. Sarebbe stata la circostanza
giusta anche per parlargli del suo gancio sinistro che
gli pareva arrivasse a destinazione smorzato, qualcosa durante il
movimento gli faceva perdere forza: forse partiva con il braccio
troppo alto oppure teneva il gomito largo, forse partiva da dietro
allungando eccessivamente l’escursione, forse la spalla non
accompagnava l’azione del braccio in avanti, forse il tronco non
ruotava a sufficienza. L’allenatore aveva messo un po’ di musica
e girava la manopola del volume cercando di creare l’atmosfera
giusta che consentisse l’ascolto ma che favorisse anche la conversazione.
Aveva accostato poco oltre la pensilina del tram ed
era rimasto parcheggiato lì senza dare la minima idea di voler
mettere in moto e accompagnare a casa il suo giovane atleta.

(Riproduzione riservata)

© La nave di Teseo

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La scheda del libro: “Il pugile ragazzo” di Pier Luigi Amata (La nave di Teseo)

Roma, anni settanta. Jasper Geremia Abbondanza vive in un quartiere popolare, sogna di fare il pugile e ama non corrisposto la compagna di liceo Flaminia. Una sera, all’uscita dalla palestra, si ritrova costretto a respingere le avances dell’allenatore di boxe, che l’ha invitato a salire in auto con la scusa di dargli un passaggio. Torna a casa da solo, decidendo di mettere una pietra sopra l’accaduto e di cercarsi una nuova palestra senza raccontare niente ai genitori.
Tempo dopo, alla festa di compleanno di Flaminia, incontra Andrea Coretti, compagno di boxe della vecchia palestra: è un ragazzo ombroso e sfuggente, ma Jasper sente subito una forte affinità con lui. Andrea si rifà vivo dopo qualche mese, nel pieno di un torrido agosto, per chiedere a Jasper ripetizioni di matematica. Lui, quasi risentito, interpreta la richiesta come una forma di opportunismo, ma uno scassato motorino giallo rimediato chissà dove gli farà cambiare idea.
La loro amicizia si stringe definitivamente l’estate successiva, in un indimenticabile viaggio in Grecia in compagnia di Christa e Blanca, due ragazze olandesi conosciute sul traghetto. Ma Andrea si separerà dall’amico e, al rientro a Roma, i due si perderanno di vista come spesso accade nella indeterminatezza dei sedici anni.
L’assenza di Andrea insinua in Jasper il sospetto che anche l’amico sia stato vittima di molestie da parte del vecchio allenatore, provocandogli un incontrollabile desiderio di vendetta.
Un romanzo intenso, sul valore dell’amicizia e sulla forza, a tratti disperata, dell’adolescenza.

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