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NOVA di Fabio Bacà (Adelphi)

ottobre 18, 2021

“Nova” di Fabio Bacà (Adelphi)

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Con queste riflessioni sul romanzo “Nova” di Fabio Bacà (Adelphi) inauguriamo la rubrica “Il punto e la virgola” a cura di Antonio Ciravolo

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di Antonio Ciravolo

Iniziamo qui con Il punto e la virgola, in questo spazio che Massimo Maugeri, padrone di casa di Letteratitudine, mi concede e che mi permetto di allestire come personale bugigattolo per creare tana – si spera – confortevole a letteratura, cinema, medicina, psicoanalisi e altro.
Iniziamo con Nova di Fabio Bacà, scoperto da Adelphi come prestigioso esordio con Benevolenza Cosmica che tanto aveva lasciato in quota di meraviglia narrativa e capacità tecnica di parola. Qui Bacà affonda il suo uncino dattilografico nella tela di una borghesia contemporanea in cui Davide, protagonista neurochirurgo, Barbara, consorte turbovegana e Tommaso, erede adolescente con la passione delicata per il cosmo, incrociano le loro esistenze con dirimpettai “villain” e un eroe light, aspartamico, devitalizzato dal super. Si viaggia come al solito con Bacà, sul velluto, sulla regolare linearità che è ritratto delle nostre parvenze quotidiane che però, qui, raggiunto il carico di rottura, si incrinano per dare luogo alla crepitante propaganda pulsionale in quota a Diego (bel personaggio con splendido nome, parola di papà) che sblocca con potere aneddotico e filosofico i fermi delle pachidermiche concretezze di Davide e – conseguentemente – di tutta la famigliola. In questa guida fantasmatica per autoscontristi si scende Palahniukanamente (citazione d’obbligo) all’inferno dell’esistenza fino a capitombolare verso l’estatico per finire a sbattere il grugno sul marciapiede antistante l’anfiteatro della vergogna e della pulsione. Pulsione – freudianamente parlando, come energia dal corpo al corpo, energheia sessuale, se si vuole – che sembra pretendere tra le righe di Nova la propria ricollocazione nella vita dei personaggi come rimosso tornante e rivitalizzato. Hiltenbrand diceva che se si rimuove troppo bene si è quasi dei morti viventi. E non è questa contemporaneità dedita alla rimozione selvaggia del selvaggio, della fonte traumatica dell’esistenza, che in fondo ci staglia a zombie contemporanei e griffatissimi sui selciati delle nostre vite/città? Bacà sembra voler ricondurre a quella intensità vitale e non istintuale (che è dell’animale l’istinto e non – lacaninanamente – del parlessere) i suoi protagonisti e noi lettori con loro. Non siamo di certo sulle sponde di una perversa esplosione allucinatoria ma comunque Nova traccia un taglio su quella tela lasciando sul finale la libertà di guardare oltre il nero fontaniano o ritirarsi/ritrarsi a testuggine con le natiche al caldo di una BMW serie 5.

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La scheda del libro: “Nova” di Fabio Bacà (Adelphi)

Del cervello umano, Davide sa quanto ha imparato all’università, e usa nel suo mestiere di neurochirurgo. Finora gli è bastato a neutralizzare i fastidiosi rumori di fondo e le modeste minacce della vita non elettrizzante che conduce nella Lucca suburbana: l’estremismo vegano di sua moglie, ad esempio, o l’inspiegabile atterraggio in giardino di un boomerang aborigeno in arrivo dal nulla. Ma in quei suoni familiari e sedati si nasconde una vibrazione più sinistra, che all’improvviso un pretesto qualsiasi – una discussione al semaforo, una bega di decibel con un vicino di casa – rischia di rendere insopportabile. È quello che tenta di far capire a Davide il suo nuovo, enigmatico maestro, Diego: a contare, e spesso a esplodere nel modo più feroce, è quanto del cervello, qualunque cosa sia, non si sa. O si preferisce non sapere.

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