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OMBRA MAI PIÙ di Stefano Redaelli (Neo Edizioni): incontro con l’autore

luglio 13, 2022

Ombra mai più - Stefano Redaelli - copertina“Ombra mai più” di Stefano Redaelli (Neo Edizioni): incontro con l’autore e un brano estratto dal romanzo

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Stefano Redaelli è professore di Letteratura Italiana presso la Facoltà “Artes Liberales” dell’Università di Varsavia. Addottorato in Fisica e in Letteratura, s’interessa dei rapporti tra letteratura, medicina, scienza e spiritualità. Tra le sue pubblicazioni scientifiche: A 40 anni dalla legge Basaglia: la follia, tra immaginario letterario e realtà psichiatrica (DiG, 2020), Nel varco tra le due culture. Letteratura e scienza in Italia (Bulzoni, 2016), Le due culture. Due approcci oltre la dicotomia (con Klaus Colanero, Aracne, 2016). Per la narrativa ha pubblicato la raccolta di racconti Spirabole (Città Nuova, 2008) e il romanzo Chilometrotrenta (San Paolo, 2011).
Con Neo Edizioni ha pubblicato il romanzo Beati gli inquieti, Selezione Ufficiale Premio Campiello, Premio Napoli e Premio Flaiano 2021, e il romanzo Ombra mai più.

Abbiamo chiesto a Stefano Redaelli di raccontarci qualcosa proprio su quest’ultimo romanzo: Ombra mai più

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«Ho iniziato a scrivere Ombra mai più nel 2019, prima ancora della pubblicazione di Beati gli inquieti (Neo Edizioni, 2021)», ha detto Stefano Redaelli a Letteratitudine. «Pur essendone il seguito, è una storia del tutto indipendente. Nasce dalla stessa esperienza (di amicizia con pazienti psichiatrici) e ricerca sulla follia, ma se ne allontana. L’urgenza è la medesima: dare voce alla follia fuori e dentro i luoghi di cura.
Image from LETTERATITUDINE (di Massimo Maugeri)Il protagonista di Ombra mai più è un ex-paziente psichiatrico (lui si definisce un “impaziente psichiatrico”), che torna a casa dopo tre anni presso il Centro di riabilitazione psichiatrica “Casa delle farfalle”. Anche se è guarito, si porta dietro un’aura di follia; lui è quello che “è stato lì”. Alda Merini raccontava che, dopo essere uscita di manicomio, la chiamavano “la pazza della porta accanto”, e che l’inferno (di indifferenza, pregiudizio, stigma) trovato fuori era ancora peggiore di quello del manicomio. Questo accadeva negli anni ’80. Poi c’è stata la Riforma Basaglia, che ha reso la psichiatria più gentile e i pazienti più liberi (lì dove è stata applicata).
Sono passati più di quarant’anni. Cosa è cambiato? Cosa vuol dire oggi tornare a casa, dopo anni di cura psichiatrica? “Conviene” guarire? Si è più al sicuro dentro o fuori?
Il romanzo si confronta con queste domande; non sono molti i romanzi sulla malattia mentale (che invece sono sempre di più) a raccontare il ritorno a casa dopo la cura.
Al suo ritorno Angelantonio Poloni trova: 1) il platano (adottato quando era ragazzo) la cui ombra è sempre più estesa, 2) i genitori invecchiati e malati, 3) Rami, ragazzo egiziano (aspirante teppista) a cui dà ripetizioni d’italiano, sotto il platano. Dalla “Casa delle farfalle” il protagonista è tornato con: 1) un romanzo, scritto quand’era in cura, da pubblicare, 2) una fidanzata (almeno secondo lei) ancora nella struttura, 3) una gran voglia di fidarsi del mondo. Alla fine lo fa. Sarà ben riposta la sua fiducia?
Ombra mai più è una storia di cura, intesa come prendersi cura, e di ombra, nel duplice significato di protezione e malattia.
Quale ombra dobbiamo trovare, quale dobbiamo perdere per guarire?».

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Un brano estratto dal romanzo “Ombra mai più” di Stefano Redaelli (Neo Edizioni) – ESTRATTO PP. 178-180

https://www.neoedizioni.it/neo/wp-content/uploads/2022/06/Ombra-mai-piu%CC%80-Stefano-Redaelli_02.jpg

Basta

Cerco di ricordare le ultime parole che mia madre ha pronunciato e il giorno.
Parlo di lei come se fosse morta, invece è viva.
Ha solo portato alle estreme conseguenze una “forte inclinazione ad ammutolire” (direbbe Celan).
Devono essere state parole tipo: “non serve” oppure “no grazie”. Un’altra sua attitudine è quella al diniego.
“Ne vuoi un altro po’?”, “No grazie”.
“Ti prendo una coperta?”, “Non serve”.
Potrebbe essere stato venerdì scorso.
Sono passati solo quattro giorni?
Sembrano molti di più.
Non è un silenzio di protesta e non è il dolore a farla tacere.
È un silenzio garbato, una sorta di pudore: meglio non pronunciarsi su certe questioni delicate tipo la vita, la malattia, questa sua malattia che le sta togliendo vigore, mobilità, gioia.
Meglio tacere, per non rischiare di essere tragici.
Mamma tace e noi le parliamo come se niente fosse.
Impariamo a decifrare i cenni della testa, le smorfie del viso, la posizione degli arti, gli sguardi. Quelli sono i più eloquenti.
Sguardo lungo, esplicativo, scandito da contrazioni e chiusura delle palpebre a mo’ di interpunzione.
Sguardo breve, secco, chiuso da una rotazione del capo.
Hanno una loro sintassi, sguardi e gesti.
Mio padre la conosce a perfezione; io la sto imparando.
A volte le faccio una domanda e rispondo per lei.
La cosa non le dispiace.
Io la capisco mia madre.
Ho fatto lo stesso dopo l’aggressione.
Ho scelto il silenzio.
Avevo bisogno di ricompormi dopo il trauma, riordinare tridimensionalmente il pensiero.
Il silenzio era un filtro, come la scrittura.
Forse tacere e scrivere sono due modi diversi di fare la stessa cosa: ridurre il rumore di fondo che avvolge le parole.
Quando ho ricominciato a parlare, ha smesso lei.
Il silenzio circola, in casa nostra. E si espande.
Quello di mia madre è più esteso del mio.
Sembra un gas che riempie ogni spazio vuoto.
È una presenza costante e diffusa.
C’è, anche se non può più fare niente, anche se non dice, non risponde: lei c’è.
È il suo modo di esserti vicina.
Invisibile, immobile, muta.
Eppure presentissima.
Mia madre non vuole più visite mediche.
Dopo numerosi tentativi, papà ha dovuto desistere.
Una volta ha perfino urlato; mio padre che urla, minaccia: non è nel suo stile.
Mia madre ha ragione: sappiamo quello che c’è da sapere.
La malattia progredisce secondo il peggiore degli scenari.
Stanca, febbricitante, paonazza.
Affannata, contratta, depressa.
Ripasso a memoria i sintomi della malattia, dai più leggeri ai più gravi: presenti tutti all’appello.
Le medicine sono quelle: aumenti un dosaggio per qualche giorno, poi lo riduci perché la pressione è fuori controllo.
Lo rialzi, aggiungi un altro farmaco, cambi antinfiammatorio.
Le medicine più potenti sul mercato.
Combattono la malattia e il malato.
È così nelle patologie peggiori: nei tumori, nelle depressioni, nelle schizofrenie.
Alla fine, la medicina diventa nemica, ti distrugge.
Quante pillole nascoste sotto la lingua nella Casa delle farfalle, quante calpestate nel cortile, Alessandra che ci correva dietro: «Non le sputate!», la dottoressa che cercava di convincerci: «All’inizio hai una sensazione brutta, ma poi, quando l’umore si stabilizza, il pianto cessa, la rabbia si placa, capisci che ti fanno bene», Angelo che urlava: «Nemmeno a Cristo hanno fatto questo!»
A un certo punto pensi che la cosa migliore sia lasciar perdere: medicine, cure, estenuanti battaglie con medici e infermieri, lasciare che la malattia fluisca senza ostacoli, ti distrugga se deve, e la natura segua il suo corso, e mia madre diventi tutt’uno con la terra, la erediti definitivamente.
Adesso mi ricordo, le stavo versando l’acqua nel bicchiere, e lei ha detto, con dolcezza: «Basta».

(Riproduzione riservata)

© Neo Edizioni

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La scheda del libro: “Ombra mai più” di Stefano Redaelli (Neo Edizioni)

Image from LETTERATITUDINE (di Massimo Maugeri)Per tre lunghi anni Angelantonio è stato ospite della struttura psichiatrica Casa delle farfalle, con sé porta il libro che ha scritto sulla follia, standoci dentro, e ora c’è un fuori che lo aspetta. Il tempo ha lasciato segni profondi, sui suoi genitori improvvisamente anziani da cui fa ritorno, sul platano che aveva adottato quando era ragazzo, in una società che adesso lo guarda con sospetto perché “è stato lì”.

Non sempre si comprende ciò che è vitale, ma c’è una fragilità che accomuna tutti – matti e sani, buoni e cattivi – che parla una lingua misteriosa, e dice parole che Angelantonio dovrà imparare insieme a chi incontrerà.

Con Ombra mai più Redaelli continua il suo racconto sulla follia del mondo e la saviezza dei folli, sceglie una prosa precisa e raffinata, le cui radici attingono a una inaspettata poesia.

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