“Il distruttore di sogni” di Maria Sole Abate (La nave di Teseo): incontro con l’autrice e un brano estratto dal romanzo
* * *
Maria Sole Abate è nata a Milano. Ha curato la traduzione italiana della celebre “Paris Review” per Fandango Libri, nonché il volume Pronti per Einaudi. Antologia di narrativa di tendenza (2007). Ha scritto Il culto del peyote. Storia del movimento di liberazione degli indiani nordamericani (2002).
“Il distruttore di sogni“, edito da La nave di Teseo, è il suo primo romanzo.
Abbiamo chiesto all’autrice di parlarcene…
* * *
«Il Distruttore di sogni nasce nella mia mente molti anni fa», ha detto Maria Sole Abate a Letteratitudine, «non saprei nemmeno dire quando con esattezza, sicuramente prima della nascita di mia figlia. Ero ossessionata dall’immagine di una donna che non ero io, ma che avrei voluto essere io. Una donna che voleva uscire da un amore malato, una donna che da vittima diventa carnefice, o così crede.
Ero ossessionata dai personaggi femminili di Quentin Tarantino, dalla nobiltà del loro coraggio. Ho iniziato a scrivere di Nina, una scrittrice di romanzi per bambini, una donna intelligente e sensibile, una donna ferita, una donna innamorata, una donna intrappolata in un amore tossico. E mentre scrivevo di Nina è arrivata Giulia. Inizialmente tutto riguardava Nina e la sua sofferenza, il suo tentativo di salvarsi dalla tossicità di un “amore” da cui fuggire, il tentativo della scrittura come salvezza, ma mentre scrivevo si è formata una nuova voce che mi parlava, una voce che voleva farsi carico della sofferenza di Nina e che non era Nina, una voce diversa, con fragilità diverse da quelle di Nina, una donna indomabile. Tutto questo mentre diventavo madre. La nascita di mia figlia ha sicuramente cambiato la mia visione, così come ha cambiato il modo di percepire la sofferenza e la possibilità della felicità. E dopo mia figlia, nei mesi e anni successivi è nata Giulia, la mia eroina. Mia perché ho tentato di creare la donna che avrei voluto essere e che forse a tratti sono riuscita a essere, senza rendermene conto. Giulia è diventata il mio ideale di donna, giovane ragazza costretta ad affrontare la sofferenza troppo presto, ma che proprio a causa di questa sofferenza si costruisce un mondo suo, barriere di durezza emotiva, che pensa di non avere più nulla da perdere e così decide di interpretare un ruolo, perché fingersi qualcosa in maniera programmatica ti rende quel qualcosa, l’attrice che incarna con tale perfezione quel personaggio da non riuscire più a essere altro. Ma riuscirà poi Giulia a diventare quella donna oppure rimarrà intrappolata nella realtà dei sentimenti? Sicuramente avrà il coraggio di viverli, fino in fondo e a scapito di se stessa, ma senza rinunciare al suo progetto. Giulia è la Shoshanna di Bastardi senza Gloria, è la Beatrix di Kill Bill, è la donna che ha sofferto, ha amato, che ancora ama, ma che non cede all’amore distruttivo. Per S, il Distruttore: “L’amore è un compromesso con se stessi per restare a galla senza sprofondare da soli, tentando di salvarsi in due, e poi sprofondando entrambi, ognuno per conto proprio.” Giulia invece riuscirà ancora a credere nell’amore, nelle parole, nella ricerca di una passione vitale che nessuno dovrà poter distruggere. La vita è sogno, diceva Calderón de la Barca e Giulia crede in quel sogno, fino alla fine».
Giulia e Nina sono le due protagoniste del Distruttore romanzo, nonché vittime del Distruttore uomo, l’antieroe di questo romanzo. Qual è il legame fra queste due donne così diverse? Perché Giulia è segretamente ossessionata dal passato di S., lo scrittore-distruttore narcisista e manipolatore e in che modo può diventar lei carnefice del suo carnefice? Cosa nasconde S., e in che modo può una giovane donna in apparenza serafica e serena distruggere l’uomo più anaffettivo che abbia mai conosciuto? E soprattutto perché?
* * *
Un brano estratto da “Il distruttore di sogni” di Maria Sole Abate (La nave di Teseo)

12
Il ritorno o Giulia
Era quasi perfetto quel silenzio. È sabato mattina. 15 febbraio.
Non ho chiuso gli avvolgibili. Io dormo anche con la luce. Oggi
no. Io dormo anche con il rumore. Oggi no. La luce è quella di
un primo mattino. L’iPhone non so dove sia. Saranno le sette. I
rumori provengono dalla sala, dalla cucina, forse. Che sta combinando
Céline. Mi trascino fuori dal letto. Boxer e maglietta.
Sento degli odori. Il profumo della colazione di Giulia. Sento il
profumo della sua colazione. Uova strapazzate, pancake, spremuta
fresca e caffè. Tutto esattamente come lo sapeva fare lei.
Mi lascio ricadere sul letto. Sto impazzendo. Finalmente. Il
Valium di primo mattino. Non c’è. Eppure era qui sul comodino,
come sempre.
I rumori continuano, il profumo del caffè mi riempie le narici
fino al cervello, lo sento. Non so se ridere o piangere. Céline,
chiamo Céline. Dove sei Céline. Niente. Rumori e odori. Tutto
come una volta, le mattine in cui Giulia era la Giulia che mi
preparava la colazione, quasi sempre. Tutto così, come prima.
Sogno o son desto di follia.
Immobile io. Bellissima lei.
Io che percorro il corridoio dei bonsai come in trance.
Sento canticchiare. La sua voce. La voce di Giulia. Volto l’angolo ed eccola. Lei. Meravigliosa. Jeans, camicia azzurra e converse. Come piaceva a me. Capelli sciolti sulle spalle. Bionda e morbida. Canticchiante e indaffarata. Io immobile appoggiato alla parete. Lei si volta e mi sorride. Forse mi sento male. Forse svengo. Forse sono impazzito. Forse impazzisco.
Sto allucinando. Céline seduto su uno degli sgabelli al bancone. Si lecca le zampe, indifferente. Come nulla fosse. Forse allora nulla è.
Giulia. E ora sì che ci vorrebbe una di quelle facili soluzioni cinematografiche per risolvere questa impasse narrativa. Con le immagini risolvi ogni cosa. La frammentazione risolve ogni problema. Lo sguardo dell’attore dice quello che deve, e se poi non viene fuori che era un sogno o un’allucinazione il gioco è fatto.
Giulia mi si avvicina. È lei. Mi sorride, tranquilla, come fosse tutto normale. Io ancora immobile. Céline sullo sgabello. Si avvicina lentamente. Il cuore all’impazzata, il mio. Il suo non so. Non è un sogno. Non è un’allucinazione. Giulia è qui. Davanti a me. A tre passi. A due. A uno. Mi sorride. Alza una mano mi accarezza la guancia, si mette in punta di piedi, mi scompiglia i capelli, e mi dice: “Ehi.”
Non so proseguire. Non so dirlo. Non so descrivere. Non so procedere oltre. Non ha senso così. Non ha senso. E allora sarebbe meglio una mancata credibilità cinematografica, tipo: lei che continua a cucinare, io imbambolato, lei che si volta dai fornelli, sorride e continua come se non se ne fosse mai andata, come fosse una mattina come tante di quelle prima che se ne andasse, e io stranito che mi avvicino e dico: “Sei tu.” Lei che continua,
e poi il resto.
Oppure lei che mi guarda. Io che la fisso. Io le dico: “Sei
tu?” Lei dice: “Sì, sono tornata.” Io che le chiedo: “Dove sei
stata? Perché?” E forse poi scoppio a piangere.
Non riesco a parlare. Le ho lasciato preparare la colazione.
Ho finto una tranquillità. O forse in fondo la mia reazione non
è stata così drammatica. Forse ho finto di fingere. Perché poi
quando arriva il momento che ti ha ossessionato per mesi e mesi,
quando ti si presenta davanti un sogno che pensavi impossibile,
quando arriva quell’attimo che hai immaginato migliaia di volte,
ogni volta diverso dall’altro, ma con una costante, il culmine
emotivo, l’esplosione del dolore, la gioia assoluta per la fine di
un tormento, quando arriva quel momento sei impreparato, perché
non è mai come te lo aspetti. Tu stesso non sei come pensavi.
Alla fine forse si è attori più preparati di quanto non si pensava,
alla fine pensavi di crollare in ginocchio in lacrime aggrappandoti
alle sue gambe mugolando un “finalmente, amore mio, ti amo,
quanto mi sei mancata” e invece sei rimasto in piedi, impalato e
tiepido e hai detto solo: “Ciao, sei qui,” un po’ freddo, un po’
contento, un po’ sollevato, un po’ come se te lo aspettassi prima
o poi, e il tormento non è detto che finisca qui.
È bellissima. Questo sì. Le sue mani perfette mentre prepara,
impiatta e poi pulisce. Stupenda Giulia. La guardo mentre finisce.
Mi guarda, sorride, sorrido. Dovrei dirle “ti odio”, dovrei
urlarle “perché, perché mi hai abbandonato, perché sei tornata”.
Invece non dico niente. Ha sempre tenuto le sue chiavi.
Avrei dovuto pensarci. Forse pensavo le avesse buttate. Forse
non me lo sono chiesto, troppo preso dal mio inaspettato dolore.
È perfetto il silenzio di questi attimi. Io e lei seduti al bancone, come se nulla fosse mai cambiato. E ora una scena di uno di quei suoi registi orientali che le piacciono tanto sarebbe perfetta. Lei dice che sono tutti diversi, quelli che io chiamo sprezzante “registi orientali”, ma per me hanno sempre qualcosa in comune, quella sorta di immobilità estetica che tende alla perfezione dell’immagine, oppure al simbolo insopportabile, e comunque a un silenzio contemplativo, bello e intollerabile. E allora glielo dico. Il tintinnio delle posate e la lentezza dei movimenti in questo silenzio è la cornice ideale.
Lo dico. “Mi sento un po’ come in quel film del coreano che ti piace tanto…”
Giulia sorride. “Park Chan Wook?”
“Sì, boh, uno di quelli lì,” e le sorrido.
“E in quale scena esattamente?”
“Una qualunque. Ci sarà stata qualche scena di due che mangiano nel silenzio dei loro non detti visti dall’alto quando lo spettatore si aspetta che succeda qualcosa da un momento all’altro.”
“Beh, sì. Quando per esempio lui la prende la sbatte sul tavolo e la violenta da dietro.”
“Ma pensavo a qualcosa di diverso…”
Mi interrompe. “Poi più avanti si ritrovano allo stesso tavolo ma lei gli stacca la lingua a morsi prima di consegnarlo alla sua sorte, alla vendetta di Lady Vendetta.”
“Ah, sì quell’orribile film che ti piace tanto.” E mi viene la nausea a ripensarci.
Silenzio interminabile. E forse l’apice è questo, non lo so. Sento un dolore, qualcosa, da qualche parte, non so dove. Silenzio.
Giulia mi fissa. Sorride. E dice: “Ehi” Le dico: “Ehi.”
Mi sento le gambe tremare. Mi sento debole. Mi gira la testa.
Mi alzo. Vado verso il divano. Mi fermo. Mi volto. Non so
dove guardare. Dove andare. Mi sento strano. Mi viene davanti.
Mi prende la mani. La guardo dritto negli occhi. Ci guardiamo.
“Sei tornata?” Lei sorride.
“Sono tornata.” E mi scendono le lacrime. Così almeno
vorrei.
(Riproduzione riservata)
© La nave di Teseo
* * *
La scheda del libro: “Il distruttore di sogni” di Maria Sole Abate (La nave di Teseo)
S. è uno scrittore di successo e il suo romanzo più importante, Il distruttore di sogni, sta per diventare un film firmato da un celebre e rinomato regista. Benché S. sia stato coinvolto nella stesura della sceneggiatura, tuttavia si mostra distaccato, quasi disinteressato alla trasposizione del suo romanzo, perché la sua mente torna sempre al ricordo di Giulia, la donna che sei mesi prima, dopo due anni di relazione, lo ha abbandonato. Trascorrono i giorni e il ricordo di Giulia, costante, ossessivo, porta S. a ripercorrere ogni momento della loro storia: quando l’aveva incontrata casualmente la prima volta, quando lei gli aveva chiesto di parlarle del romanzo le aveva rivelato la prima verità inconfessabile, chi c’era dietro la protagonista del famoso romanzo. Una mattina, all’improvviso, Giulia rientra nella vita di S. che, felice come non mai, vorrebbe sapere dove sia stata in quei mesi, ma la donna rimane vaga. In realtà, la Giulia che torna da S. è mossa da desideri contrastanti, cerca di metterlo alla prova, di sondarne l’animo, di smascherarne le menzogne, nel tentativo disperato di ricomporre, anche lei, i pezzi di una storia che in qualche modo sembra appartenerle. Durante un viaggio in Francia, che dovrebbe servire a Giulia per superare un trauma infantile, una verità che S. non può neppure immaginare investe la coppia come un terremoto, portando con sé il furore della vendetta e tutto il peso del passato. Un romanzo intenso, radicale, coinvolgente, che narra la tragedia di un uomo che si scopre metaforicamente cieco malgrado tutta la sua intelligenza, incapace di interpretare la realtà di cui è egli stesso protagonista e vittima del suo narcisismo; e la lotta disperata di una donna contro se stessa, in difesa di una identità negata, derubata, messa in crisi. Ma anche un libro sul potere della letteratura: capace di cambiare le carte e di riscrivere la storia, assegnando a ciascuno la parte che gli spetta, restituendo la voce a chi l’aveva perduta.
* * *
© Letteratitudine – www.letteratitudine.it
LetteratitudineBlog / LetteratitudineNews / LetteratitudineRadio / LetteratitudineVideo
Seguici su Facebook – Twitter – Instagram
Mi piace:
Mi piace Caricamento...
Correlati