Home > Incontri con gli autori > IL NAZISTA CHE VISSE DUE VOLTE di Andrea Frediani (Newton Compton)

IL NAZISTA CHE VISSE DUE VOLTE di Andrea Frediani (Newton Compton)

dicembre 9, 2022

Il nazista che visse due volte. Caccia all'uomo che liberò Mussolini - Andrea Frediani - ebook“Il nazista che visse due volte. Caccia all’uomo che liberò Mussolini” di Andrea Frediani (Newton Compton): incontro con l’autore e un brano estratto dal romanzo

* * *

Andrea Frediani È nato a Roma nel 1963. Divulgatore storico tra i più noti d’Italia, ha collaborato con numerose riviste specializzate. Con la Newton Compton ha pubblicato diversi saggi e romanzi storici, tradotti in tutto il mondo.

Il suo nuovo romanzo, anche questo pubblicato da Newton Compton, si intitola: “Il nazista che visse due volte“.

Abbiamo chiesto all’autore di parlarcene…

* * *

«Di solito, uno scrittore tende a scrivere un romanzo per raccontare una storia», ha detto Andrea Frediani a Letteratitudine. «Ma io scalpitavo per raccontarne quattro, e non potevo attendere altrettanti romanzi per raccontarle, così, mi sono sforzato di legarle tutte e quattro in un unico testo. E ciò, ovviamente, ha rappresentato uno sforzo ulteriore di immaginazione, rispetto a quello che produco usualmente. Anche perché, di base, si tratta di storie vere, come accade per ogni romanzo storico che si rispetti. Ma non vorrei definire “Il nazista che visse due volte” un romanzo storico, onestamente; e mi dispiacerebbe se qualcuno lo definisse tale. È un romanzo, senza ulteriori definizioni. Quindi non è letteratura di genere. Non è un caso che, in copertina, per la prima volta una mia opera narrativa riporti la definizione “romanzo” e basta.
Image from LETTERATITUDINE (di Massimo Maugeri)La storia che riguarda il principale protagonista è in parte personale, nel senso che ha a che fare con uno zio di mio padre, Eleuterio Rea, di Cassino, arruolato come sottotenente di artiglieria nella Divisione Regina a vent’anni. Fu uno degli ufficiali sommariamente giustiziati nelle isole greche subito dopo l’armistizio dell’8 settembre. L’eccidio più noto, in tal senso, è quello di Cefalonia, ma lui fu trucidato a Kos. Tuttavia, il suo è uno dei corpi che non sono mai stati ritrovati o identificati, e ciò può far gola a uno scrittore. È lecito immaginare che se la sia cavata, e che la sua vita sia proseguita sotto altre spoglie.
La protagonista femminile trae spunto dai racconti raccapriccianti di un’amica a proposito della sua esperienza in un collegio gestito dalle suore, dove mandavano i figli di genitori con problemi. Erano anni che volevo far conoscere ai lettori che genere di infanzia erano costretti a passare, fino agli anni Cinquanta, alcuni sfortunati bambini, e non mi sono lasciato sfuggire l’occasione: mi serviva una protagonista cinica e fredda, e una donna potrebbe esserlo a buon diritto, dopo aver trascorso l’infanzia in un istituto simile, e dopo essersi sentita abbandonata dai genitori.
Ma il protagonista che soprintende tutta la vicenda, anche se non sempre compare, è Otto Skorzeny, uno dei nazisti più interessanti in cui ci si possa imbattere. Molti lo conoscono per aver liberato Mussolini sul Gran Sasso – anche se fu soprattutto abile ad avocarne a sé tutti i meriti, che invece andrebbero spartiti con i paracadutisti del generale Student -, ma in realtà si diede molto da fare anche dopo in operazioni di commando, tanto da meritarsi la nomea di “uomo più pericoloso d’Europa” presso gli Alleati. Nei processi di contorno a Norimberga se la cavò con poco, nonostante fosse un entusiasta aderente delle SS, e nel dopoguerra è comparso e ricomparso nei più svariati angoli del globo, come trafficante d’armi, spia, guardia del corpo (di Evita Peròn), e perfino, pare, agente del Mossad, col compito di giustiziare gli scienziati nazisti che lavoravano per conto dei nemici d’Israele.
Infine, una storia che mi appassionava raccontare, dopo aver letto diversi testi sull’argomento, era l’uso che i servizi segreti occidentali e la CIA in particolare fecero, durante la Guerra fredda, degli ex nazisti come agenti segreti, scienziati e collaboratori di ogni genere, in funzione antisovietica e anticomunista, favorendo la loro emigrazione principalmente in America Latina.
Insomma, con tutte queste tematiche in ballo, alla fine è venuto fuori un romanzo sul XX secolo, che inizia a Vienna nel 1928 e si conclude a Madrid e in Alto Adige nel 1975, passando attraverso (in ordine sparso) Roma, Cassino, La Paz, Buenos Aires, Il Cairo, Virginia, Belgio, Bosnia, Dodecanneso, Grecia, e lambendo o affrontando direttamente eventi e processi storici rilevanti per la nostra società, dall’Anschluss al ventennio fascista, dalla Seconda guerra mondiale alla Guerra fredda, dalla guerra civile greca alla dittatura di Franco, dalla istituzione della CIA e dell’MI6 al destino dei nazisti nel dopoguerra, dalle condizioni dei collegi alla percezione del comunismo nei paesi occidentali. Non a caso, nella sua stesura ho impiegato un periodo doppio rispetto a quanto impiego di solito per i miei romanzi. Ma se mai fosse la mia ultima opera di narrativa, sarei contento di aver terminato la mia produzione con un libro del genere, e lo considererei l’apice del mio lavoro…».

* * *

Un brano estratto dal romanzo “Il nazista che visse due volte. Caccia all’uomo che liberò Mussolini” di Andrea Frediani (Newton Compton)

https://64.media.tumblr.com/6f67ea31a4b853e7e00cbd86e7a2164b/db5c2057147564b0-5a/s500x750/d0f61b4b0c7c9c909949e2a442d518d6db4b5bcf.jpg

Mare di Sardegna, 18 agosto 1943
Assiso nella carlinga della postazione della mitragliatrice, Otto Skorzeny abbandonava volentieri lo studio delle mappe dell’isola della Maddalena per perdersi nella visione rilassante dell’intenso azzurro marino sotto di lui. Era una bella giornata, e il colore dell’acqua finiva per fondersi con quello del cielo, circondandolo e facendolo sentire in un mondo diverso da quello impegnato da quattro anni in una guerra sempre più senza quartiere.
Non aveva mai trovato più gratificante volare. Lui che, quando si era arruolato per combattere, era stato scartato dalla Luftwaffe perché troppo alto e troppo vecchio, sentiva che stava per prendersi la sua rivincita: quel volo, sullo Heinkel He-111 messogli a disposizione dal generale Student, poteva rappresentare la sua consacrazione. Gli mancava solo l’ultimo tassello per avere conferma delle sue supposizioni, elaborate attraverso un’attenta opera di intelligence che lo aveva portato a individuare, con alte probabilità di successo, il luogo di detenzione del Duce. Non male per un esordiente ai servizi segreti.
Il generale Student, sotto il quale Hitler lo aveva distaccato per l’Operazione Quercia – come era stata denominata l’azione per la liberazione di Mussolini –, si fidava ciecamente di lui, e non aveva intenzione di deluderlo. Otto era più convinto che mai, dopo tanti depistaggi e false informazioni, di aver individuato l’obiettivo. Durante le sue indagini aveva raccolto di tutto: che il Duce fosse a Ponza, a La Spezia, ancora a Roma, perfino che fosse stato internato in un sanatorio o che si fosse suicidato. Ma poi aveva saputo da un ufficiale di collegamento tra la marina tedesca e quella italiana che un importante prigioniero era stato trasferito sull’isola della Maddalena e aveva subito iniziato ad approfon-dire le ricerche in quella direzione. Muovendosi su una nave spazzamine aveva ispezionato e fotografato le coste dell’isola e individuato una residenza, Villa Kern, che poteva rappresentare il luogo di detenzione.
Ma doveva essere certo che il prigioniero fosse proprio il Duce. Così, aveva assegnato a un tenente di nome Warger, che parlava perfettamente l’italiano, il ruolo di interprete per quell’ufficiale di collegamento, offrendogli così il pretesto di andare per osterie del posto a chiacchierare con i locali e a provocarli dicendo loro, tra una bevuta e l’altra, di aver saputo che Mussolini era morto di malattia. L’espediente era riuscito. Un fruttivendolo aveva smentito le parole di Warger, asserendo di avere l’abitudine di portare personalmente la frutta alla villa, e aveva accettato la scommessa che, secondo le istruzioni, l’ufficiale gli aveva proposto, conducendolo con sé per mostrargli la terrazza dove il Duce riposava. In tal modo, l’ufficiale aveva avuto l’opportunità di studiare il sito e le difese.
Ma adesso servivano ulteriori informazioni per preparare un attacco che non si risolvesse in un massacro. E l’unica soluzione era osservare e fotografare la zona dall’alto, per capire dove piazzare le batterie e quali fossero le vie d’accesso per penetrare le difese della villa. A causa delle proibizioni vigenti sul traffico aereo in quella zona, Skorzeny sapeva bene di non poter volare troppo vicino all’obiettivo, e così aveva dato ordine di mantenersi a una quota di cinquemila piedi, da cui contava comunque di ricavare utili informazioni.
«Allarme! Allarme! Due caccia inglesi ci inseguono!». La voce del pilota dall’altoparlante lo riportò improvvisamente alla realtà della guerra. Partendo dall’aeroporto di Pratica di Mare, a sud di Roma, avevano proceduto verso nord proprio per evitare i pattugliamenti dell’aviazione nemica, ma ormai erano entrati nel raggio d’azione dei britannici e il rischio si era immediatamente materializzato.
Otto mise il dito sul pulsante della mitragliatrice: le difese erano affidate a lui e avrebbe venduto cara la pelle. In Russia se l’era vista anche peggio, e si impose di non lasciarsi turbare dalla minaccia: un uomo che ambisce ad alti traguardi, si disse, non deve aver paura delle sfide. Di nessuna sfida.
Il pilota descrisse un semicerchio per sfuggire al tiro nemico, poi si rimise in asse, ma i suoi movimenti non consentirono a Skorzeny di prendere la mira. L’hauptsturmführer avvertì comunque uno scossone e poco dopo notò del fumo uscire dal motore sinistro. Trascorse appena qualche istante prima che l’Heinkel scendesse in picchiata. L’austriaco si voltò e vide il volto angosciato del pilota che cercava di riportare in orizzontale l’apparecchio. Per un attimo fu preso dallo sgomento: morire a un passo dalla meta pareva una beffa atroce del destino.
Guardò in basso. Troppo tardi per gettarsi col paracadute: sotto c’era il mare, ma non c’era alcuna garanzia di cavarsela. A riprova dei suoi timori, dall’altoparlante uscì l’annuncio di tenersi tutti saldi. La velocità della discesa aumentava a ogni istante. A Skorzeny non rimase che appigliarsi con entrambe le mani alle maniglie della mitragliatrice, che avrebbe voluto usare in tutt’altro modo. Appena in tempo: l’impatto avvenne subito dopo, talmente forte che lo mandò a sbattere la testa, lasciandolo confuso e stordito per qualche istante. Quando iniziò a recuperare coscienza, vide punti luminosi indefiniti davanti a sé. L’acqua aveva inondato la cabina attraverso i vetri rotti.
Si sentì trascinare fuori e si ritrovò sul pavimento dell’apparecchio, sguazzando nell’acqua e cercando di tenere su la testa per non rimanere soffocato. Si rese conto che l’aereo era in gran parte sotto la superficie del mare e prese a gridare attraverso il tubo lanciabombe per richiamare l’attenzione degli altri. Nessuna risposta. Però riconobbe il pilota accanto a sé e con lui si mise a spingere il tetto, che infine si aprì lasciando entrare altra acqua.
Dovette trattenere il respiro e nuotare, per uscire. Solo allora vide affiorare dalla superficie del mare anche la testa del secondo pilota, che aveva creduto morto. D’improvviso l’aereo, che era sembrato sprofondare sempre più inesorabilmente, ebbe un sussulto e, come una balena morente disperatamente protesa a cercare un ultimo anelito di aria, si innalzò tornando parzialmente a galla, il che consentì ai due piloti di aprire le porte e rintracciare i due soldati che viaggiavano con l’ufficiale: erano abbracciati a un salvagente e terrorizzati perché, come già avevano dichiarato prima di salire a bordo, non sapevano nuotare.
Skorzeny si rese conto che nella cabina era rimasta la sua attrezzatura. Mentre il pilota si dedicava a gonfiare il battellino salvagente, si precipitò a recuperare macchina fotografica e mappe. Quando fu nella cabina, d’improvviso l’aereo ricominciò ad affondare. Si infilò nel varco lasciato dalla rottura dei vetri, ma la pressione dell’acqua che irrompeva nell’abitacolo e la necessità di dover usare un braccio solo per tenere il materiale limitarono i suoi movimenti. Lanciò un grido d’aiuto, ma fu soffocato a metà dall’acqua che inondò il suo viso. Si vide spacciato, poco dopo però una sagoma incerta comparve al di là dei vetri e un braccio penetrò nella cabina, muovendosi a tentoni per afferrarlo. Lui ebbe la prontezza di protendere il suo: si sentì afferrare quasi all’altezza del gomito e trascinare fuori, sentendo i vestiti strapparsi e le carni ferirsi passando sopra gli spuntoni del vetro.
Si ritrovò accanto al battello salvagente proprio mentre l’aereo si inabissava definitivamente, sollevando un’onda che lo mandò a urtare contro un copilota, aggrappato al natante. Su quest’ultimo salirono i due soldati che non sapevano nuotare. Skorzeny vi ripose il materiale che aveva recuperato e, insieme agli altri, si diresse verso alcune rocce affioranti dall’acqua. Le raggiunsero in breve tempo e vi si issarono sopra, poi attesero: era una zona di mare battuta e non sarebbe trascorso molto tempo prima che passasse di lì un’imbarcazione.
Dopo un’ora, infatti, videro all’orizzonte un incrociatore italiano. Skorzeny disse al pilota di evidenziare la loro posizione con la pistola di segnalazione, e la scia luminosa che solcò il cielo subito dopo consentì alla nave di dirigersi verso di loro. L’ufficiale si affrettò a far sparire la
macchina fotografica e le mappe in una sacca e, quando lo fecero salire a bordo, si chiese se sarebbero stati altrettanto disponibili, se avessero saputo il motivo per cui era lì.
Era certo che qualche italiano sarebbe stato contento di sapere Mussolini libero. Ma considerando che non c’era stata alcuna reazione significativa dopo la sua scomparsa, né tanto meno alcuna avvisaglia di guerra civile, aveva i suoi dubbi di essersi imbattuto proprio in qualcuno che avrebbe voluto la resurrezione del fascismo. Gli italiani ora avevano la guerra in casa, ed erano state le scelte del Duce a portargliela; non erano determinati come i tedeschi, quindi la sua operazione sarebbe stata un motivo più che sufficiente per avercela con lui…

(Riproduzione riservata)

© Newton Compton

 * * *

La scheda del libro: “Il nazista che visse due volte. Caccia all’uomo che liberò Mussolini” di Andrea Frediani (Newton Compton)

https://64.media.tumblr.com/6f67ea31a4b853e7e00cbd86e7a2164b/db5c2057147564b0-5a/s500x750/d0f61b4b0c7c9c909949e2a442d518d6db4b5bcf.jpg1943. Dopo l’armistizio dell’8 settembre tra Italia e Alleati, a Hitler serve la disponibilità di Mussolini per governare il Paese per conto dei nazisti. Ma il Duce è tenuto prigioniero in un luogo segreto. Per trovare e liberare il dittatore, il Führer si affida a Otto Skorzeny, un austriaco che ha entusiasticamente aderito alle ss. Negli stessi giorni, nell’isola greca di Kos si consuma un eccidio di ufficiali italiani, dal quale esce miracolosamente vivo il sottotenente Eleuterio Rea. Il giovane comincia a lavorare come agente sotto copertura per gli Alleati, in stretta collaborazione con Ada, una partigiana mossa da un inesauribile desiderio di vendetta. Il destino dei due giovani si incrocia con quello di Skorzeny, ormai celeberrimo per la liberazione di Mussolini, in una serie di operazioni segrete decisive per le sorti del conflitto mondiale.

Finita la guerra, Skorzeny, definito dai suoi nemici “l’uomo più pericoloso d’Europa”, riesce a sfuggire alla condanna e a ritagliarsi un ruolo prezioso per gli americani in funzione antisovietica, sviluppando una rete di contatti tra i servizi segreti di più Paesi e, parallelamente, tessendo i fili di una vasta cospirazione. Eleuterio e Ada si mettono sulle sue tracce, scatenando una caccia che li porterà, negli anni, dall’Egitto dell’astro nascente Nasser all’Argentina di Perón, dagli Stati Uniti ossessionati dalla minaccia comunista alla Bolivia dove opera Klaus Barbie, un altro dei nazisti sfuggiti alla giustizia, fino alla Spagna di Franco, finendo risucchiati nel vortice delle tensioni e degli intrighi della Guerra Fredda, prima della resa dei conti finale con l’agente nazista.

 * * *

Andrea Frediani È nato a Roma nel 1963. Divulgatore storico tra i più noti d’Italia, ha collaborato con numerose riviste specializzate. Con la Newton Compton ha pubblicato diversi saggi e romanzi storici, tra i quali: JerusalemUn eroe per l’impero romano; la trilogia Dictator (L’ombra di CesareIl nemico di Cesare e Il trionfo di Cesare, quest’ultimo vincitore del Premio Selezione Bancarella 2011); MarathonLa dinastia300 guerrieri300. Nascita di un imperoI 300 di Roma; Missione impossibile; L’enigma del gesuita. Ha firmato le serie Gli invincibili Roma Caput Mundi; i thriller storici Il custode dei 99 manoscritti La spia dei BorgiaLo chiamavano Gladiatore, con Massimo Lugli; Il cospiratoreLa guerra infinita; Il bibliotecario di AuschwitzI tre cavalieri di Roma e Attacco all’impero, primi volumi della Invasion SagaI Lupi di RomaL’ultimo soldato di Mussolini; Le Williams, con Matteo Renzoni, L’eroe di Atene e Il nazista che visse due volte. Le sue opere sono state tradotte in tutto il mondo. Il suo sito è www.andreafrediani.it

 

* * *

© Letteratitudine – www.letteratitudine.it

LetteratitudineBlog / LetteratitudineNews / LetteratitudineRadio / LetteratitudineVideo

Seguici su Facebook TwitterInstagram

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: