“La rosa del deserto” di Alessandro Nicolis Di Robilant (TRE60, 2022): incontro con l’autore e un brano estratto dal romanzo
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Alessandro di Robilant, nato a Losanna, padre di quattro figli, vive tra Roma e Catania. Diplomato alla scuola di cinema a Londra, fa le sue prime esperienze con Comencini, Monicelli e Lattuada. Gira in qualità di regista dodici lungometraggi, il più noto dei quali è Il giudice ragazzino sulla vita del giudice Livatino assassinato dalla mafia agrigentina. La rosa del deserto è il suo romanzo d’esordio. Abbiamo chiesto all’autore di parlarcene…
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«La scrittura mi ha sempre accompagnato», ha detto Alessandro di Robilant a Letteratitudine. «Dalle elementari sino alla fine della scuola. Essendo stato lungo tutta la mia carriera di studente una bestia, mi salvava il tema di italiano. Alle faticose mezze pagine compilate dai compagni io rispondevo con le tre, quattro pagine, in cui mi dilungavo allontanandomi dall’argomento di partenza. Era l’unico bel voto che riuscivo a racimolare. Poi più avanti avendo io scelto il cinema ho proseguito a scrivere in forma di sceneggiature.
Con l’andare del tempo è sorto in me il desiderio di confrontarmi col romanzo. Leggere con passione i grandi romanzi dell’ottocento, specialmente quelli russi e quelli francesi hanno contribuito a volermi confrontare con il racconto lungo. Ho sempre amato accompagnarmi a lungo con i grandi autori del passato. Passare mesi in compagnia di Tolstoj, Turgenev, Hugo, hanno il potere di rendere prezioso il tempo a loro dedicato. Credo inoltre che la mia predilezione per il racconto lungo venga anche dal fatto che nelle mie vene scorra sangue proveniente da tutta Europa. Intrecciare quindi storie di luoghi e personaggi di origini diverse mi è venuto naturale. Al desiderio di scrivere della mia variopinta famiglia si è aggiunto il desiderio di lasciare testimonianza di un’epoca ormai lontana, il primo novecento, in cui le famiglie da me descritte hanno avuto un ruolo importante nei fatti e negli eventi di quel secolo. Scrivere questo romanzo è stato per me un lungo momento di libertà in cui potere esercitare la facoltà di far convergere fantasia e realtà che si inseguono, si incrociano e si mischiano nell’atto di produrre un racconto. Una regola che mi sono dato per non perdere credibilità, nell’esercitare la fantasia è quella di inventare sempre cose che i personaggi potrebbero avere fatto. Un’altra regola che ho cercato di onorare nel romanzo è quella di trattare i personaggi secondari con altrettanta precisione, attenzione ed interesse che si usa per quelli principali. È la catena di personaggi secondari che forma il tessuto di cui è fatta l’atmosfera in cui agiscono i personaggi principali. Sono come la spalla in un duo di comici. Totò con Peppino. Totò con Castellani. Fondamentali per la piena riuscita dello sketch. Senza i personaggi secondari lo spazio resta vuoto, incolore. Ed ecco che mentre il romanzo si addentra nelle vicende che riguardano Clementina ed il suo travagliato amore per Edy, valoroso capitano degli ussari appartenente ad una facoltosa famiglia ebraica malvisto dalla potente famiglia aristocratica dei Von Coburg, parenti stretti del Kaiser Francesco Giuseppe, ecco comparire piano piano nel racconto lo stuolo di personaggi che vivono attorno a loro. Quella umanità che a quei tempi e in quell’ambiente erano soliti vivere in funzione e a servizio dei loro padroni. Impiegati, servitori, educatori, governanti, preti, stallieri, spie. Ciascuno di loro con un passato, una storia da raccontare».
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Un brano estratto da “La rosa del deserto” di Alessandro Nicolis Di Robilant (TRE60, 2022)

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Vienna, 1923
Palazzo von Coburg si era trasformato in pochi anni da sfolgorante
residenza mondana a lugubre edificio soltanto parzialmente illumi-
nato. All’aspetto tetro si aggiungeva il fatto che fosse prevalente-
mente disabitato. I vari componenti della famiglia occupavano parti
sempre più ristrette e più lontane l’una dall’altra, e la comunicazio-
ne tra loro si era ridotta al minimo. Leopold si divideva fra la sua
camera, lo studio e le scuderie.
Vedeva per lo più Kaspar, il vecchio cameriere, gli stallieri un-
gheresi e la giovane amante, con la quale il rapporto si limitava a
una sincera e breve fisicità. Con la moglie si incontrava quasi soltan-
to per caso, incrociandosi sulle scale o attraversando gli infiniti e or-
mai deserti saloni del piano nobile. Un rapido inchino e via, ognuno
per la propria strada.
Amareggiato per l’ostracismo che sentiva esercitato da Marie e
da Clementina, Leopold si accontentava, per così dire, delle visite
di Theresa. Le loro conversazioni vertevano principalmente sulla
vita e la gestione dei cavalli. Li si poteva vedere insieme, al matti-
no presto, lanciarsi in lunghe galoppate che spesso si trasforma-
vano in competizione. Rientrati in scuderia, il principe e la figlia
si scambiavano spesso accuse di scorrettezze commesse al fine di
primeggiare.
Ai loro occhi l’amore della principessa era unicamente riservato
a Clementina. Soffrivano nel vedere quanta naturale predilezione
avesse per lei. Marie aveva un modo di trattare la figlia minore che
non era concesso ad altri. La guardava come un oggetto prezioso,
con l’apprensione di chi teme che un sussulto, un alito di vento pos-
sa farlo cadere e rompere in mille pezzi…
Dal canto suo la madre cercava in ogni modo di mitigare il muto
rancore di Theresa – del marito davvero non si curava –, pur sen-
tendo dentro di sé che serviva a poco. Theresa non le entrava nel
cuore. E questo era il cruccio maggiore. Soffriva della sua stessa
crudeltà. Ma era più forte di lei.
Passava molte ore del giorno chiusa nel suo appartamento, ben
più grande di quello di Leopold, a leggere e a mantenere rapporti
epistolari con un infinito numero di amici e parenti sparsi in Euro-
pa. Anche lei, simile al principe, frequentava soltanto Clementina
e Inge, la giovane cameriera zoppa. La quale aveva un bel daffare a
correre su e giù per esaudire i desideri della padrona.
Il palazzo, perché rimanesse in buono stato e funzionante, as-
sorbiva l’energia di un esercito, composto di almeno un centinaio
di servitori, tra cui assistenti, lavandaie, operai responsabili della
manutenzione e capireparto sino ai lavoratori occasionali chiamati
per le emergenze.
Aveva un bel daffare il principe Leopold nell’amministrarlo. An-
dava aggiunta, poi, la tenuta in Stiria, che comprendeva il castello,
le terre, il bestiame e la riserva di caccia. Se durante il corso della
settimana la gestione lo impegnava gran parte del pomeriggio, il
venerdì era la giornata più dura, perché dedicata ai pagamenti di
stipendi e fornitori.
Per questo Clementina, per lasciare il palazzo e raggiungere i
von Heller in Svizzera, aveva deciso di partire di venerdì.
Verso la fine della settimana, l’ansia cominciò a soffocarla. Del
piano di fuga erano informate soltanto Marie e Gertrud. E la go-
vernante, tornata dall’ospedale, era diventata ancora più paurosa.
Vedeva pericoli avvicinarsi in ogni minimo gesto, in ogni minima
azione. «Attenta!» diceva alla sua amata ragazza per qualsiasi cosa.
Che sollevasse una tazza di tè, che aprisse una porta, che scendesse
le scale, Clementina veniva preceduta da un accurato richiamo alla
massima prudenza.
«Smettila o ti rispedisco all’ospedale, Gerti. Ma a quello psi-
chiatrico!» reagiva lei. Per poi dispiacersene quasi subito quando la
vedeva, atterrita, sussultare e ritirarsi cercando inutilmente di farsi
piccola dietro una porta. Allora la inseguiva, le prendeva le mani, le
dava una carezza. Il rapporto, col tempo, si era rovesciato. Era Cle-
mentina ad accudire Gertrud.
«Invece di preoccuparti che io mi faccia male, vedi di rimetterti
in piena salute. Ti aspetta un lungo viaggio» le mormorava control-
lando il livello nelle varie boccette ammucchiate sul tavolino della
sua stanza da letto. «Hai preso le gocce, stamattina?» chiedeva se-
vera. Se la risposta non arrivava subito, significava no. Ed ecco una
strigliata. Gertrud era restìa a prendere medicine, recalcitrante co-
me un mulo.
«Ascoltami bene» provava a minacciarla la sua preferita. «Non
te lo ripeto più. Se non guarisci non ti porto in Egitto con me e re-
sterai qui, sola. Mio padre ti licenzierà. Perché non c’è bisogno di
una vecchia inutile a palazzo. Sono stata chiara?»
Gertrud ammutoliva.
«Vuoi guarire o no?» insisteva Clementina, più conciliante.
«Dimmelo, una volta per tutte.»
Le venne anche il dubbio che Gertrud non volesse davvero gua-
rire. Per avere un buon motivo per non partire. Forse non se la sen-
tiva. Ma non avendo il coraggio di ammetterlo a se stessa, allonta-
nava inconsciamente la guarigione.
Era mercoledì sera. Due giorni dopo Clementina se ne sarebbe
andata. Voleva sapere se la governante l’avrebbe seguita. Se una vol-
ta preparato il viaggio per l’Egitto con Edy e i suoi fratelli, lei l’avreb-
be raggiunta. Glielo chiese perentoria. La risposta non la convinse
affatto. Clementina non tornò più sull’argomento. Le faccende da
sbrigare per la partenza presero il sopravvento.
Il giovedì lo passò interamente con la madre. La sera ricevette
la visita inaspettata di Theresa, che la redarguì. «Dovresti andare da
nostro padre, ogni tanto. Non è giusto che lo ignori. Lui vuole sol-
tanto il tuo bene!»
Clementina non intendeva cambiare improvvisamente il suo
comportamento. Sarebbe stato quanto meno sospetto. Così liquidò
l’argomento con poche parole: «Lo farò, quando sarà il momento».
«Pensi di passare il resto dei tuoi giorni chiusa qui dentro in
compagnia di Gertrud?» replicò Theresa cercando il conflitto.
«Perché no? Ci sto benissimo.»
«Questa sera vengono degli amici a cena. Ho detto che ci saresti
stata anche tu.»
«Hai fatto male. I tuoi amici non mi piacciono. Lasciami in pace!»
Udendo le figlie discutere, dopo aver bussato, Marie entrò nella
stanza. Theresa la coinvolse subito nella discussione. Per metterla
alla prova, come faceva sempre, tanto per confermare a se stessa
l’ingiustizia che subiva.
«Ho invitato Clementina a cena con degli amici. Non credete
anche voi che le farebbe bene uscire e vedere qualcuno, invece di
stare rintanata qui come una vecchietta?»
«Theresa non ha torto, perché non ti distrai un po’?» disse rapi-
da la principessa, temendo il peggio.
Clementina tagliò corto: «Non mi piacciono gli amici di There-
sa, mamma. Sono i protetti dello zio Rudolph Mathias. E ora lo è
anche lei, non lo sapevate?»
Theresa la guardò con aria di sfida.
«Lo zio è un uomo saggio e premuroso. E si preoccupa per te.
Ma tu lo disprezzi. Fai molto male, sorella. È meglio che tu ti rav-
veda. Questa sera sei la benvenuta. Potrebbe essere l’ultima volta
per te.»
La principessa cedette all’impulso di difendere la figlia e se ne
pentì subito. «Theresa!» esclamò. «Non ti permettere di parlarle
così! Te lo proibisco!»
Clementina la rassicurò: «Mamma, non vi preoccupate, le sue
minacce mi entrano da un orecchio e mi escono dall’altro». E rivol-
ta a Theresa: «Non vengo stasera né mai, non mi siedo a tavola con
un branco di fanatici razzisti».
«Va bene, sorella» rispose Theresa, gelida. «Riferirò i tuoi com-
menti allo zio.»
La principessa cercò di stemperare: «Ragazze, vi prego. Anche
tu Clementina, controllati. Non trattare tua sorella in questo modo.
Ti ha soltanto invitato a una cena. Hai diritto di rifiutare. Ma non
di insultarla».
Theresa non credette a una parola. Era soltanto un atto formale,
privo di convinzione. Glielo diceva il tono poco incisivo della voce,
ne era la conferma lo sguardo falsamente severo della madre verso
Clementina.
Aggredì Marie con violenza: «Continuate a coprirla. Guardate
che bel risultato avete ottenuto. Ne ho piene le tasche di voi due!»
E se ne andò furente.
La principessa e Clementina si guardarono senza parlare. There-
sa era ormai lontana da loro. Una lontananza incolmabile. Marie si
sentiva colpevole di non aver saputo volerle bene. Capiva perfetta-
mente il motivo per cui si era avvicinata allo zio. Per ripicca.
«Povera figlia mia. Ha sofferto troppo» riassunse prendendo
Clementina per un braccio. E assicuratasi che nessuno le stesse
guardando, estrasse dalla tasca un borsellino in stoffa dai motivi
orientali chiuso da un cordoncino e lo consegnò alla figlia. «Questo
ti basterà per un po’.»
Clementina l’abbracciò.
«A che ora parte il treno domani?»
«A mezzanotte, mamma. E ho una paura terribile.»
«Per il viaggio?»
«Per voi. Quando mio padre lo verrà a sapere…»
La principessa tentò di rassicurarla.
«Con tuo padre me la vedrò io, so bene come prenderlo. Tu pen-
sa soltanto a te. Hai molto da fare nel prossimo futuro.»
L’abbraccio di Clementina questa volta fu più stretto. «Mi man-
cherete, mamma, tanto.»
Marie le carezzò il viso. Clementina prese le mani della madre
tra le sue.
«Mi devi promettere che quando la situazione si calmerà verrai
da noi in Svizzera, promettimelo!»
La principessa promise. Pensando in cuor suo che non avrebbe
più visto quella figlia così amata. Ma fu brava. Non lo diede a vedere.
«Occupatevi di Gertrud, mamma, e appena se la sente, fatele
prendere un treno. Va bene?»
«Promesso, Schatzi».
(Riproduzione riservata)
© TRE60, 2022
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La scheda del libro: “La rosa del deserto” di Alessandro Nicolis Di Robilant (TRE60, 2022)
Vienna, 1911. A soli 14 anni Clementina, figlia di Leopoldo di Sassonia e di Carolina Maria D’Asburgo, frequenta regolarmente il salotto dell’imperatore Francesco Giuseppe. Nonostante la rigida educazione ricevuta, Clementina è sempre stata una ragazza ribelle, restia a rispettare le convenzioni, in un mondo che la vorrebbe impegnata a studiare pianoforte e francese per prepararsi a un buon matrimonio. Ma quando nel 1918, a una festa da ballo, incontra per la prima volta Eduard Von Heller, giovane rampollo di una ricca famiglia di imprenditori edili, se ne innamora a prima vista. Grazie alle sue brillanti imprese sul campo di battaglia, Eduard è un volto noto nell’ambiente di corte. E malgrado la notevole differenza di età, i suoi occhi azzurri conquistano subito Clementina, e il sentimento è ricambiato. Tuttavia, entrambi sanno che il loro rapporto sarà difficilmente approvato dalle famiglie: Edy infatti non è nobile anche se ricco, ed è ebreo. E in quegli anni a Vienna, con largo anticipo rispetto alla Germania, comincia a serpeggiare l’antisemitismo… Quando la famiglia Von Heller sarà costretta a chiudere i battenti della propria fiorente impresa, e a rifugiarsi prima in Svizzera, per sfuggire alle persecuzioni e poi al Cairo, per tentare di rilanciare gli affari, Clementina sarà costretta a scegliere tra una vita da principessa, a Vienna alla corte dell’imperatore, e una vita con mille incognite, tra la Svizzera e l’Egitto, per seguire il suo grande amore…
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