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LA VENERE DI SALÒ di Ben Pastor (Sellerio)

gennaio 11, 2023

https://64.media.tumblr.com/3990edeec6dbc69662db79f4043a7245/bc53653a91c02e2e-ba/s1280x1920/6da544db69dbc29748a0a034129a9c9f616c21ec.jpg“La Venere di Salò” di Ben Pastor (Sellerio, 2022 – traduzione di Luigi Sanvito): un brano estratto dal romanzo

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Martin Bora, il detective della Wehrmacht, eroe tormentato con cui Ben Pastor ha conquistato gli appassionati del giallo storico, indaga sul furto di un quadro di Tiziano, conservato in una villa di Salò requisita dai tedeschi. A complicare le cose la scoperta in successione di tre cadaveri.

La Venere di Salò è il dodicesimo romanzo che la specialista del giallo storico Ben Pastor ha dedicato alla figura del nobile ufficiale Martin Heinz von Bora, dalla Guerra di Spagna alla fine della Seconda guerra mondiale. È un ritratto complesso, che include vicende intime e personali, meglio dire: è la biografia di un personaggio tragico che, sulla base di una meticolosa ricostruzione storica, mediante la chiave del thriller scava in uno dei drammi o dei misteri della storia novecentesca. La posizione di quei militari tedeschi che si trovarono divisi tra la lealtà alla divisa e l’avversione a Hitler.

Di seguito, per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo le prime pagine del romanzo.

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Le prime pagine del romanzo “La Venere di Salò” di Ben Pastor (Sellerio, 2022 – traduzione di Luigi Sanvito)

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Sabato, 14 ottobre 1944
Comando del 960° Reggimento Granatieri, presso Monte Cassio
(Appennino emiliano)

La voce parlava russo. Tagliava il buio come fosse car-
ta. Martin Bora non voleva aprire gli occhi né sapere
se fosse notte o no, Russia o no. Come in sogno, i suo-
ni sembravano essere dentro di lui, non provenire dal-
l’esterno. Certo, se avesse allungato la mano avrebbe
sentito il muro slabbrato e il fango sotto gli stivali. Ma
era supino. Non ricordava di essere stato supino quan-
do i cani dei russi lo avevano scoperto, abbaiando fe-
roci al guinzaglio.
Non c’era muro, né fango. E la voce era aspra, ma
non parlava russo.
Il buio s’infranse.
Spalancando gli occhi, il bagliore di una torcia elet-
trica parve riempirgli il cervello. Bora si ritrasse senza
distogliere lo sguardo.
La voce disse: – In piedi!
Inutile cercare la pistola a fianco del letto. Appoggian-
dosi ai gomiti, Bora si sforzava di capire, ma era come avan-
zare fra le ragnatele. – Cosa c’è… cosa è successo?
La luce si spostò – no, cambiò solo angolazione – per-
mettendogli di distinguere degli abiti civili, un sopra-
bito. Un uomo robusto, di mezza età, dalla mandibo-
la bovina.
Gestapo. In piedi, colonnello Bora.
Bora si irrigidì. Non era abbastanza sveglio per pen-
sare, ma abbastanza per avere paura. Lo sfinimento l’a-
veva lasciato dormire nonostante l’eterno dolore al
braccio e alla gamba, che dopo lo sforzo dei combatti-
menti resisteva a qualunque farmaco. Non chiese: –
Quali sono i capi di accusa? – ma solo: – Che è suc-
cesso? – districandosi dalle coperte.
Non gli fu risposto. Quando si alzò per prendere l’u-
niforme, gli furono gettate contro le braghe da caval-
leria. – Si vesta.
Si era spesso domandato cosa avrebbe provato in un
momento simile. Panico amorfo, ecco cosa. Pensò im-
mediatamente che c’entrasse Berlino, che tutto questo
avesse a che fare con i pochi giorni a Berlino tre mesi
prima. Si obbligò a dirsi di no. Devo essere in Russia.
Spero di trovarmi in Russia, perché se si tratta di Berlino
devo smettere di pensare. Le voci nemiche del passato gli
parlavano dentro come quella dell’uomo di fronte a lui.
Obbedì automaticamente a tutte.
Prese a coprire la biancheria col grigio dell’uniforme,
allacciò le braghe con la destra, e stava assicurando la
protesi quando gli buttarono la camicia. – Si sbrighi.
La luce gli restava addosso, mentre qualcun altro fru-
gava la stanza. Sentì sbattere il baule militare. La lu-
ce lo seguì quando si mosse; gli allungarono il berret-
to, che indossò.
– E i miei uomini?
Lo spinsero fuori, attraverso il buio della casa re-
quisita. – Sanno che lei è in partenza. Il suo bagaglio
è pronto.
Non c’erano sentinelle di guardia. Un’auto civile, sen-
za contrassegni, aspettava a motore acceso nella piog-
gia. Bora fu fatto sedere sul sedile posteriore. L’uomo
robusto gli venne di fianco, e presto partirono. Furti-
vamente Bora sbirciò l’ora: 11:04.

Il sentiero di montagna, aspro, saliva per poi scen-
dere in uno zigzag di curve rischiose. Naturalmente si
dirigevano a nord. Bora guardava avanti, benché il
buio fosse quasi completo. Alberi schiantati dalle gra-
nate, case distrutte che galleggiavano ai lati come re-
litti – le immaginava mentre continuavano a scendere.
Aveva freddo, ma era lucido. Cercò di respirare col dia-
framma per calmarsi, inutilmente. Peggio ancora, col
risveglio e gli strattoni un dolore feroce gli corse lun-
go il braccio sinistro, tanto che dovette piegarlo e af-
ferrarsi il gomito, pollice e indice premuti sull’osso, per
non far vedere che soffriva. Così facendo, sentì la bu-
sta nel taschino: il messaggio della signora Murphy su
carta intestata della Croce Rossa, che si era portato die-
tro per una settimana prima di aprirlo. Se devo morire,
si disse, meglio adesso che so.
Senza voltarsi verso l’uomo, chiese: – Dove andia-
mo? – ma non gli giunse risposta. Nel buio davanti a
loro si apriva la valle del Taro; più in là, il bivio che a
ovest conduceva a Piacenza, a est verso Parma. E poi,
comunque, in Germania.
Nora Murphy aveva scritto con la sua grafia educa-
ta: Dio ha sempre pietà. Nella Sua saggezza, mi ha dona-
to una gioia insperata… Non precisava quale gioia, ma
Bora aveva capito che era incinta del marito: l’effetto
di Roma liberata sui diplomatici beoni. Non ho l’arro-
ganza di prevedere quello che il futuro ci riserva, colon-
nello, ma deve promettermi che nel frattempo aprirà il cuo-
re a ogni altro amore le si presenti. Aveva sottolineato
altro, non amore. Forse voleva dire qualcosa. Senza ri-
leggere il messaggio di Nora, l’aveva piegato con cura
nel taschino. Tutto rivela una logica, alla fine. La per-
dita della mano sinistra nell’attacco partigiano un an-
no prima, l’abbandono di sua moglie, la passione bre-
ve e impossibile per una donna sposata. E anche una
certa amara consolazione per non avere rimpianti, se
l’amore è un rimpianto davanti alla morte.

(Riproduzione riservata)

© Ben Pastor 2006, 2022
Edizione pubblicata in accordo con Piergiorgio Nicolazzini  Literary Agency (PNLA) –  © Sellerio editore, 2022
Traduzione di Luigi Sanvito.
Tutti i diritti riservati.

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La scheda del libro: “La Venere di Salò” di Ben Pastor (Sellerio, 2022 – traduzione di Luigi Sanvito)

La Venere di Salò - Ben Pastor - copertinaOttobre 1944, il colonnello Martin von Bora, dell’Abwehr, il servizio segreto militare tedesco, viene prelevato da agenti della Gestapo e trasportato a Salò, nella Repubblica Sociale Italiana. Già i modi al solito bruschi del trasferimento allarmano Martin: lui è un soldato fedele ma è contrario ai metodi nazisti e, per via della propria educazione da aristocratico, è apertamente sprezzante verso i comportamenti da bruti volgari dei caporioni hitleriani. L’incarico assegnatogli sulle rive del Garda sembrerebbe un normale collegamento tra i due comandi. Un impegno che al valoroso soldato, dopo sette anni di guerra, sembra stagnante ma che in realtà forse nasconde un risvolto segreto. È stato rubato un favoloso dipinto dalla casa del milionario Pozzi, un affarista piuttosto rozzo arricchitosi tra l’altro con i traffici di guerra. È una grande tela nota come La Venere di Salò, opera del Tiziano, un’immagine irresistibilmente sensuale e carica di arcani simbolismi. Chi l’ha rubata e soprattutto perché? Vi è un messaggio nel furto, un significato importante nel quadro? Per poterne tracciare i movimenti Bora deve inoltrarsi in una foresta di opposti interessi, di passioni ardenti, di lotte interne al regime e tra fascisti e nazisti: tre donne si sono sospettosamente suicidate, Pozzi ha una figlia bellissima che in qualche maniera richiama la Venere e un cognato raffinato e subdolo; si sa che Göring tramite una rete segreta sta ramazzando ovunque capolavori italiani; intanto i partigiani incalzano e appena da pochi mesi è fallita l’Operazione Valchiria, la congiura più pericolosa contro il macabro tiranno a cui è seguita una terrificante decimazione di ufficiali sospetti oppositori. E proprio quest’ultima circostanza sta per bruciare il nobile colonnello, contro il quale, ora privo di protettori, la Gestapo ha istruito un minaccioso dossier.
La Venere di Salò è il dodicesimo romanzo che la specialista del giallo storico Ben Pastor ha dedicato alla figura del nobile ufficiale Martin Heinz von Bora, dalla Guerra di Spagna alla fine della Seconda guerra mondiale. È un ritratto complesso, che include vicende intime e personali, meglio dire: è la biografia di un personaggio tragico che, sulla base di una meticolosa ricostruzione storica, mediante la chiave del thriller scava in uno dei drammi o dei misteri della storia novecentesca. La posizione di quei militari tedeschi che si trovarono divisi tra la lealtà alla divisa e l’avversione a Hitler.

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Ben Pastor, nata a Roma, docente di scienze sociali nelle università americane, ha scritto narrativa di generi diversi con particolare impegno nel poliziesco storico. Della serie di Martin Bora Sellerio ha già pubblicato Il Signore delle cento ossa (2011), Lumen (2012, 2022), Il cielo di stagno (2013), Luna bugiarda (2013), La strada per Itaca (2014), Kaputt Mundi (2015), I piccoli fuochi (2016), Il morto in piazza (2017), La notte delle stelle cadenti (2018), La canzone del cavaliere (2019), La sinagoga degli zingari (2021) e La Venere di Salò (2022).

Premio Flaiano 2018.

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