“La portalettere” di Francesca Giannone (Nord): incontro con l’autrice e un brano estratto dal romanzo
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Francesca Giannone, pugliese, si è laureata in Scienze della Comunicazione e ha studiato al Centro Sperimentale di Cinematografia. Trasferitasi a Bologna, ha curato la catalogazione dei trentamila volumi della Associazione Luigi Bernardi e ha frequentato il corso biennale di scrittura della Bottega di Narrazione «Finzioni». Ha pubblicato vari racconti su riviste letterarie, sia cartacee sia online. Tornata a vivere a Lizzanello, il suo paese di origine in Salento, ha continuato a scrivere e a coltivare l’altra sua grande passione, la pittura; come si può vedere nel suo sito francescagiannoneart.com, il suo soggetto d’elezione sono le donne.
Il romanzo d’esordio di Francesca Giannone si intitola “La portalettere” (Nord). Abbiamo chiesto all’autrice di parlarcene…
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«“La portalettere” è una storia venuta a cercarmi, dopo essere rimasta sepolta per decenni, come un tesoro nel Klondike», ha detto Francesca Giannone a Letteratitudine. «Da tempo accarezzavo l’idea di scrivere un romanzo di ampio respiro, dopo essermi cimentata per un po’ con racconti più o meno lunghi.
La storia giusta è arrivata prendendosi il proprio tempo, e nel più romantico dei modi. In un cassetto di famiglia ho ritrovato una scatola che conteneva foto in bianco e nero, documenti, lettere e, soprattutto, un biglietto da visita vecchio di cent’anni. C’era scritto soltanto “Anna Allavena. Portalettere”. Da lì è cominciato un lavoro fatto di scavi, ricerche e raccolta di testimonianze, che mi ha portato a dissotterrare un forziere ben chiuso col lucchetto.

Ho scoperto una persona straordinaria: la mia bisnonna. Una donna ligure che, negli anni Trenta, si trasferisce in Salento al seguito dell’amato marito Carlo, un figlio del Sud. Anna arriva in paese e da subito cambia gli equilibri: così fiera, indipendente e libera, diversa da tutte le altre donne, crea scalpore quando decide di presentarsi al concorso delle Regie Poste. Diventa così la prima portalettere donna del paese, mettendosi a fare un lavoro che fino a quel momento era stato appannaggio degli uomini.
Sono partita da lei, dalla creazione del suo personaggio, e solo quando Anna, tra tratti veritieri e di finzione, è diventata reale, tanto da riuscire a vederne ogni sfumatura caratteriale, mi sono dedicata agli altri personaggi: il marito Carlo, suo fratello Antonio – che di Anna si innamora a prima vista – e via via gli altri membri della famiglia. Perché “La portalettere” è sì la storia di Anna e della sua piccola rivoluzione, ma è anche una saga familiare, e allo stesso tempo un affresco del paese e dei suoi abitanti.
Ho costruito una trama che si svolge nell’arco di trent’anni, suddivisa in tre archi temporali: questo mi ha permesso non solo di approfondire la psicologia di ogni personaggio, di seguirlo nel suo evolversi, ma anche di dare spazio alle altre vicende che si dipanano da quella principale, e che originano dalle persone che gravitano intorno ad Anna. Quelli alle cui porte lei bussava, ritta nella sua divisa, con la bolgetta a tracolla e il cappellino con lo stemma intarsiato, annunciando: “C’è posta!”».

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Un brano estratto da “La portalettere” di Francesca Giannone (Nord), pp. 85-87

novembre 1935
Anna uscì di casa di buon mattino. Indossava la divisa blu col colletto rosso lunga fino alle caviglie, il berretto con lo stemma intarsiato delle Regie Poste e ai piedi le décolleté nere senza tacco. Infilò la bolgetta di cuoio a tracolla e s’incamminò
«Buongiorno, signora portalettere», la salutò la vicina di casa, che, in vestaglia e con una giacca di lana sulle spalle, spazzava di buona lena la sua fetta di marciapiede, sei mattonelle o giù di lì.
Anna ricambiò sollevando di poco il cappello. «Buongiorno a voi.»
Arrivò in piazza: Michele stava portando sul marciapiede le casse piene di arance; Mario era seduto su uno sgabello, all’angolo della strada, e stava lustrando la scarpa di un uomo ben vestito e col cappello; il barbiere, nel suo grembiule bianco, stava fumando una sigaretta sull’uscio, aspettando il primo cliente della giornata. Anna si diresse al Bar Castello ed entrò.
«Il solito?» le chiese Nando con un sorriso.
Lei annuì, sbirciando due vecchietti seduti a un tavolino. Stavano giocando a briscola, ma s’interruppero e la fissarono, bisbigliando e dandosi di gomito.
«Ecco il tuo caffè corretto grappa», disse Nando.
Anna prese la tazzina e bevve d’un sorso, puntando gli occhi su quei due, che non le avevano staccato gli occhi di dosso, ma adesso non parlavano più e avevano la bocca aperta. Fece schioccare le labbra, assaporando il retrogusto alcolico rimasto sulla lingua.
«Grazie, Nando», disse. E lasciò le monete sul bancone.
Quanto la divertiva sapere che, alla sua uscita di scena, sarebbero seguiti i consueti commenti. Le sembrava di sentirli, quei due, che malignavano su una femmina che si faceva un goccetto a quell’ora del mattino. «Roba dell’altro mondo», avevano detto una volta.
Entrò nell’ufficio postale e salutò prima Tommaso, che ricambiò con un sorriso, e poi Carmine, che, accarezzandosi la barba, le lanciò il solito sguardo diffidente.
Poi aprì la porta della piccola stanza sul retro e diede il buongiorno alle telegrafiste, Elena e Chiara. Le «signorine»,
le chiamavano, dal momento che nessuna delle due era sposata. La prima era un donnone simpatico, con la faccia larga e la chiacchiera facile, e viveva con la sorella più grande, senza marito pure lei; Chiara, la più giovane delle due, era uno scricciolo con gli occhiali spessi e il sorriso dolce, e si prendeva cura della madre anziana. «Spetta a me, alla figlia femmina», diceva, sottintendendo che i due fratelli avevano già mogli e figli cui badare.
«Ho portato la torta, eh», disse Elena. «Vieni qui, prendine una fetta insieme a noi. È alle mandorle.»
Anna le chiese se poteva incartargliela: se la sarebbe portata appresso nella bolgetta e l’avrebbe mangiata con piacere più tardi.
Poi si spostò sul grande tavolo al centro dell’ufficio e, come ogni giorno, prese a smistare la corrispondenza in base alle zone del paese.
Tra le lettere, i pacchi e i telegrammi, c’era una busta bianca. L’indirizzo recitava: Giovanna Calogiuri, Contrada La Pietra, Lizzanello (Lecce). Nessun riferimento al mittente, soltanto il luogo e il giorno della spedizione stampati accanto al francobollo raffigurante re Vittorio Emanuele III: era stata imbucata a Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna.
«Dove si trova Contrada La Pietra?» chiese Anna, rigirandosi la busta tra le mani.
«Chi è che manda posta a Contrada La Pietra?» si stupì Carmine.
«Non lo so, il mittente non c’è.»
Tommaso le si avvicinò e lesse: «Giovanna Calogiuri…»
«Ma chi, Giovanna la pazza?» lo interruppe Elena, affacciandosi
sulla porta.
«Chi sarebbe Giovanna la pazza?» domandò Anna.
«Una che non ci sta con la testa», rispose Carmine.
«Ma no, è solo un po’ strana. Ogni tanto la vedo che viene a fare la spesa in paese», intervenne Tommaso.
«Ma quale strana, è proprio scema», disse Elena. «A scuola era l’unica che dopo tre anni non aveva ancora imparato a leggere. Il maestro la metteva ogni volta dietro la lavagna, con le ginocchia sui ceci. E giù sulle mani col righello.»
«Poi a un certo punto è uscita pazza», continuò Carmine.
«C’aveva degli scatti da indemoniata e buttava tutto per aria, libri, quaderni, sedie… L’hanno dovuta cacciare dalla scuola. E hanno fatto bene.»
«Vabbè, poverina, poi dopo la storia con quello che si è fatto prete…» borbottò Tommaso.
«Ah, be’, quello le ha dato il colpo di grazia. E niente, mo’ si è seppellita là, a Contrada La Pietra, lei e il cane. La madre, una santa donna, pace all’anima sua, ci scommetto che è morta di crepacuore, per tutti i dispiaceri che le ha dato la figlia. E però le è andata bene, alla pazza: figlia unica era, e si è presa tutti i soldi, ché donna Rosalina qualcosina da parte ce l’aveva. Faceva la cuoca per i Tamburini. Secondo me quella neppure si lava. Quando viene in paese si sente un puzzo da lontano…» disse Elena, stringendosi il naso.
Anna sollevò un sopracciglio e, un po’ stordita da tutte quelle chiacchiere, chiese se per favore le potevano spiegare il percorso per arrivare a Contrada, ché era già in ritardo. Così scoprì che la casa di Giovanna si trovava al di fuori del paese, lì dove si estendevano gli uliveti: sarebbe stata una faticaccia per i suoi poveri piedi, già lo sapeva. Quella sera avrebbe dovuto tenerli a mollo nella bacinella d’acqua calda più del solito: non sapeva dire quanti chilometri avesse percorso, in quei primi sei mesi; le piante dei piedi le si erano riempite di calli che le dolevano di continuo.
Dispose la lettera in coda alle altre; sarebbe stata l’ultima tappa della mattinata. Poi indossò la bolgetta a tracolla e uscì dall’ufficio.
(Riproduzione riservata)
© Nord Edizioni
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La scheda del libro: “La portalettere” di Francesca Giannone (Nord)
Salento, giugno 1934. A Lizzanello, un paesino di poche migliaia di anime, una corriera si ferma nella piazza principale. Ne scende una coppia: lui, Carlo, è un figlio del Sud, ed è felice di essere tornato a casa; lei, Anna, sua moglie, è bella come una statua greca, ma triste e preoccupata: quale vita la attende in quella terra sconosciuta?
Persino a trent’anni da quel giorno, Anna rimarrà per tutti «la forestiera», quella venuta dal Nord, quella diversa, che non va in chiesa, che dice sempre quello che pensa. E Anna, fiera e spigolosa, non si piegherà mai alle leggi non scritte che imprigionano le donne del Sud. Ci riuscirà anche grazie all’amore che la lega al marito, un amore la cui forza sarà dolorosamente chiara al fratello maggiore di Carlo, Antonio, che si è innamorato di Anna nell’istante in cui l’ha vista.
Poi, nel 1935, Anna fa qualcosa di davvero rivoluzionario: si presenta a un concorso delle Poste, lo vince e diventa la prima portalettere di Lizzanello. La notizia fa storcere il naso alle donne e suscita risatine di scherno negli uomini. «Non durerà», maligna qualcuno.
E invece, per oltre vent’anni, Anna diventerà il filo invisibile che unisce gli abitanti del paese. Prima a piedi e poi in bicicletta, consegnerà le lettere dei ragazzi al fronte, le cartoline degli emigranti, le missive degli amanti segreti. Senza volerlo – ma soprattutto senza che il paese lo voglia – la portalettere cambierà molte cose, a Lizzanello.
Quella di Anna è la storia di una donna che ha voluto vivere la propria vita senza condizionamenti, ma è anche la storia della famiglia Greco e di Lizzanello, dagli anni ’30 fino agli anni ’50, passando per una guerra mondiale e per le istanze femministe.
Ed è la storia di due fratelli inseparabili, destinati ad amare la stessa donna.
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