“L’atomo inquieto” di Mimmo Gangemi (Solferino)
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La possibile storia di Ettore Majorana
di Rosy Demarco
Ogni volta che qualcosa è celato alla nostra conoscenza l’immaginazione è libera di deciderne il dipanarsi.
Non sono i fatti conosciuti quelli su cui Mimmo Gangemi impasta la cronaca di una vita, scomparsa sui flutti tirrenici solcati da un piroscafo tra Palermo e Napoli nel marzo del 1938, ma la ricostruzione del mistero che tutt’oggi ammanta la storia di uno dei più grandi fisici del Novecento: Ettore Majorana.
“Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo[…]” scriveva lo scienziato ad un collega dell’università di Napoli, sconfessando l’idea, intimata e condivisa per altro con familiari e amici, di farla finita.
Ma da quel momento di Majorana non se ne saprà più nulla, se non asserzioni e ipotesi mai confermate da nessuno.
E sono proprio tutte le ipotesi formulate in quasi un secolo, la zona d’ombra di questa vicenda che a Mimmo Gangemi interessa per orchestrare la sua opera L’atomo inquieto (Solferino edizioni).
É una voce smarrita, disorientata, che apre la narrazione, è il racconto di un vecchio barbone o forse solo un individuo declinato anzitempo, per le troppe vite vissute, circondato dalla benevolenza degli abitanti di un paese della Calabria, un uomo ai margini della vita, ormai perso nell’oblio di una mente difettosa.
“É carità. Anche benevolenza. Se non benevolenza vera e propria, è compenetrarsi nel bisogno, che alla benevolenza assomiglia.”
É un individuo con la mente guasta colui che si racconta in questo libro, un debole fiaccato dall’inedia, avvolto nell’indolenza, refrattario alle relazioni umane.
C’è un continuo conversare con se stesso, una bipolarità evidente; ma la voce interiore, solitamente visionaria e disturbante, che ingarbuglia i pensieri rimescolando la giustezza con la sconvenienza, è in questo caso una sorta di coscienza collodiana che abita la mente di Ettore o Karl o Martino o Carlo o Andrés, e chiunque altro Majorana abbia provato ad essere per fuggire da sé. Richiamandolo alla rettitudine, quella che lui appella la creatura, si affaccia, pur se irritante, nei momenti di debolezza, riportando il suo ospitante ad un precario equilibrio.
L’esistenza che il protagonista racconta è quella di un intruso nel mondo, un provvisorio, apolide della sua stessa vita, in cui vi è un continuo scambio d’identità, sovrapponendo personaggi che galleggiano a filo d’acqua senza immergersi mai nello scorrere dei giorni.
È il fardello di una conoscenza annidata nella mente, gravame asfissiante, da cui Majorana rifugge, la fisica che lo ha schiacciato, tradito, a cui ritorna, figliuol prodigo, incapace di restarne distante.
Tra le varie ipotesi possibili l’autore ricama ampiamente un’immagine, peraltro fondata su fatti accaduti prima della scomparsa, quella che vede il fisico tornare, questa volta al servizio, in un paese di cui ammira l’esaltazione dell’amor di patria, della purezza della razza, per collaborare con altri scienziati alla ricerca di una scoperta capace di fermare il conflitto mondiale e uscirne vincitori supremi, contrastando gli Alleati.
Ma la piega che gli accadimenti prendono, ventilati da inconcepibili voci di corridoio che circolano negli istituti di ricerca, enuncia uno scenario esiziale. Le dicerie sempre più fondate sulla creazione di campi di sterminio, recinti destinati alla distruzione della dignità umana, per sostenere l’epurazione di una razza a scapito di quella ebraica, creeranno una falla nella coscienza di Karl Weitner. Incolpando la scienza di essersi lordata di mondo facendo esperimenti sui prigionieri russi, lo scienziato farà abiura, rallentando segretamente la ricerca stessa per scongiurare che la follia possa impadronirsi di un’arma capace di radere al suolo il continente intero.
È in questo funesto squarcio di vita all’estero che Majorana incontrerà l’amore. La sua timidezza fraintesa da tanti come omosessualità al limite della misoginia, si troverà faccia a faccia con una donna capace di superare il muro del riserbo, della sensazione di inadeguatezza di un uomo convinto di non essere in grado di condividere passione e sentimento.
Ma è solo un’illusione, il tempo di sentirne il profumo, spazzato via subitamente da una sirena suonata troppo tardi.
Con la fine del conflitto Majorana ricomincerà la sua fuga, la ricerca di un luogo dove nascondersi dalle possibili accuse di sostenitore filonazista, probabile colpevole, agli occhi di chi non conosce l’esattezza dei fatti, di crimini di guerra.
Una fuga dai luoghi, ma anche da se stesso, vagolando da un’identità all’altra, cercando riparo nella schizofrenia di nomi ed esistenze che si alternano, si accavallano, che sono riparo e minaccia, lasciando sempre un lato svelato, come una coperta troppo corta per celarci agli occhi del mondo.
Dopo anni rinchiuso in un sanatorio a curare le ferite della colpa, salperà per il Sud America dove cercherà di ricominciare una nuova vita, scrollandosi di dosso un passato malevolo.
“No. Non intendo più essere Ettore Majorana. Ho sbagliato la vita da Ettore Majorana. E la condurrei peggio con il peso della famiglia addosso, con il rancore per la scomparsa e la mancanza di notizie, con l’assillo di dover eccellere. E dovrei giustificare la Germania. Mai smetterebbero di rimproverarmela, si adattano alla direzione del vento, e io ho scelto quella sbagliata[…]”
Sarà la promessa fatta all’amore solo sfiorato che lo riporterà in Europa.
La storia tornerà al punto d’origine per permettere al cerchio della sua esistenza di chiudersi e riavvolgere il nastro prima dell’ultimo sguardo.
Con un linguaggio evocativo e ricercato Mimmo Gangemi racconta il tormento dell’animo di un uomo in continua lotta tra il raggiungimento di vette accessibili a pochi eletti e la normalità, srotolata tra tutte le sue esistenze possibili.
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La scheda del libro: “L’atomo inquieto” di Mimmo Gangemi (Solferino, 2022)
Uno straccione misterioso che abita in una baracca. Un incidente. Una notte tra la vita e la morte in cui riemerge il mistero di un passato inimmaginabile. Perché quell’uomo si è trovato, per decenni, al centro della storia. È stato un professore di fisica noto e reputato a Roma, ma scomparso in un giorno di primavera del 1938, presunto suicida. È stato uno scienziato al servizio di Hitler, in corsa contro il tempo per costruire l’arma definitiva, la bomba capace di vincere la guerra. È stato un paziente in un sanatorio altoatesino, precario rifugio per ex nazisti braccati. È stato un tecnico di laboratorio in Venezuela, dopo essere arrivato in Sud America in compagnia di Adolf Eichmann. E poi è tornato di nuovo in Italia, ha attraversato altri luoghi e altre identità, fino a non averne alcuna se non quella di un disperato che campa di poco e niente in terra ionica: come a voler espiare, facendosi fantasma in vita, i troppi errori di troppe reincarnazioni. Ettore Majorana, perché di lui si tratta, in quell’unica notte rende in prima persona la sua confessione: una vicenda di guerre e di intrighi, di amore e di pericolo, attraverso cui il filo rosso della scienza e del progresso corre tingendosi, a tratti, di sangue. Mimmo Gangemi riporta in vita una delle figure più interessanti ed enigmatiche del Novecento distillando dagli scarsi indizi e dalle molte congetture sulla sua scomparsa una sontuosa e avvincente narrazione. E ci restituisce un Majorana insieme fedele alla realtà storica e pienamente contemporaneo, nella tensione estrema tra scienza e morale che percorre la sua vita e nel dilemma tra dovere e libertà che segna anche il nostro tempo.
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Mimmo Gangemi, scrittore, ingegnere e giornalista, è autore di vari romanzi, tra i quali La signora di Ellis Island (Einaudi 2011, Piemme 2019) e Il giudice meschino (Einaudi 2009), da cui è stata tratta l’omonima fiction con Luca Zingaretti. Diversi suoi libri sono tradotti in Francia. Il suo ultimo romanzo è Il popolo di mezzo (Piemme 2021).
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