Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine, PIERSANDRO PALLAVICINI racconta il suo romanzo IL FIGLIO DEL DIRETTORE (Mondadori)
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La prima tessera del Direttore
di Piersandro Pallavicini
Quando ripenso ai libri che ho scritto, e ripenso in particolare a come sono nati, mi trovo davanti un solido muro indistinto. Solo qualche volta in questo muro riesco a individuare un mattone, o forse sarebbe meglio dire una tessera del mosaico, quella che ha dato il via al tutto, e intorno a questa prima tessera riesco a cogliere anche quelle che vi si sono sistemate intorno, aderendo alla sua forma e sviluppandola. Qualche altra volta invece, quel mattone, quella tessera, non c’è più, è scomparsa. Perché quando scrivo è un continuo entrare e uscire di idee dalla tessitura, e di scene, situazioni, snodi, personaggi, temi. La scintilla che ha dato il via a tutto, intendo dire, può essere cancellata dal fuoco che essa stessa ha generato.
Funziono così, scrivo da un punto di partenza, da un’illuminazione, e poi vediamo dove si va a finire. Nessuna scaletta, non ce la farei a scrivere costretto in uno schema predefinito, non mi divertirei, lo sentirei come un mestiere, un lavoro, perderei tutto il piacere dell’invenzione, dell’improvvisazione, che per me è l’unica ricompensa per tutta la fatica che ci costa scrivere.
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Con Il figlio del Direttore, uscito nel gennaio 2023 per Mondadori, e scritto nell’arco dei due anni precedenti, la posa del primo mattone me la ricordo ancora bene. Era un’idea così, a sé stante, inizialmente non legata a una trama e nemmeno a un’atmosfera: su un cellulare arriva una telefonata e il nome che appare sullo schermo è ‘Mio padre’. Peccato che il padre di chi riceve la telefonata sia morto da anni. La scena è rimasta, è a pagina 18, perdonate lo spoiler. Ma perché arrivi questa telefonata, e come Michelangelo Borromeo, il protagonista, la affronti, e a cosa questo porti, lo lascio scoprire a chi vorrà leggere il romanzo. Anch’io non lo sapevo e ho potuto scoprirlo solo scrivendo il libro. Due anni fa, quando ne ho iniziato la stesura e sono arrivato fino a questa scena, sapevo solo che volevo (dovevo) scrivere un romanzo sulla solitudine, in particolare sulla solitudine di un uomo al confine tra la maturità e la vecchiaia, un uomo che aveva appena compiuto sessant’anni e che non aveva un amore, un amico, un parente. Un uomo perfettamente solo. Che fosse benestante e in salute, che si circondasse di cose belle, che avesse una libreria antiquaria (dove vendeva anche vini di pregio e delicatessen per gourmet) mi è diventato evidente mentre pensavo a cosa mettere, in quelle prime pagine. Non volevo caricare il mio personaggio di ulteriori drammi, problemi, zavorre, già aveva quella perfetta solitudine da sopportare. Anche la Costa Azzurra è arrivata dopo, anche la Porsche 911. Gualtiero, l’enigmatico deus ex machina con le camicie anni 70 e l’accento genovese, invece si è materializzato nel momento in cui, terminata pagina diciotto, arrivata la telefonata, ho dovuto decidere cosa sarebbe successo a pagina diciannove. Il processo di disvelamento della vita segreta del padre di Michelangelo, il Direttore, che è il cuore oscuro del romanzo, e dunque il suo secondo tema portante, quello del trauma e della pacificazione con il passato che deriva dall’apprendere tutta la verità, è arrivato più tardi ancora, passata qualche settimana di stallo, mentre già si erano presentati Gualtiero e la sua famiglia, Agathe (la proprietaria antiboise di due appartamenti nel residence Mer Azur), e Kirsten, la fascinosa nana danese. Sì, l’analogia con le tessere di un mosaico, o meglio ancora di un puzzle, mi sembra la più adatta: le altre tessere le ho trovate prendendole dalla mia immaginazione e provando a vedere se si adattavano alla prima. Pensavo a scene, personaggi, situazioni, e scartavo, scartavo, fino a quando trovavo quella che aderiva in modo perfetto ai confini della prima, e poi delle altre che avevo posato, mentre prendeva forma un disegno più grande, sensato, completo.
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Una sera di poche settimane fa, quando mi aveva appena raggiunto la prima copia staffetta del libro, mi sono messo sul divano di casa e ho letto il romanzo da cima a fondo. È un rituale, lo faccio ogni volta che esce un mio libro. Terminata la lettura ho acceso la televisione e spento la luce, con l’idea di guardare Sky Arte o qualcos’altro per una decina di minuti e poi andare a letto. Ma mi sono addormentato. Quando mi sono svegliato ho faticato a capire dov’ero. La televisione si era già spenta da sola, lo fa in automatico dopo due ore che non si tocca il telecomando. Doveva essere notte fonda, quasi mattina. Stordito, a tentoni, ho cercato il cellulare e l’ho acceso per guardare l’ora. Le quattro. E nella parte alta dello schermo brillava la minuscola icona delle chiamate non risposte. Possibile? Aveva chiamato qualcuno mentre dormivo e non avevo sentito? E chi poteva mai chiamare a quell’ora? Avevo aperto la lista delle telefonate e l’unica non risposta veniva da questo numero: “Mio padre”. Per mezzo minuto sono rimasto senza fiato. Non ho saputo come prenderla, cosa pensare. Perché anche mio padre, quello reale, come quello del romanzo, è morto quattro anni fa. Cosa stava succedendo? E poi il telefono… Lo schermo era poco luminoso, come se si stesse oscurando, e le icone, me ne andavo accorgendo fissandole attonito, anche loro avevano forme e colori anomale, diverse dal solito. E il registro delle telefonate: non riconoscevo i nomi, ma chi erano?
Poi d’improvviso il sollievo: ho capito che era il telefono di mia moglie. Lo aveva lasciato sul divano. È della stessa marca del mio, ha le stesse dimensioni. Anche mia moglie, come me, da sempre ha salvato il numero di suo padre, vivo e vegeto e in ottima salute, come “Mio padre”. E la sua chiamata non risposta era di quel pomeriggio.
Ecco, dovessi scrivere un seguito del Figlio del Direttore, questa sarebbe una prima tessera perfetta.
© Piersandro Pallavicini
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La scheda del libro: “Il figlio del direttore” di Piersandro Pallavicini (Mondadori, 2023)
Michelangelo Borromeo ha i tratti dell’uomo incline (o destinato) alla solitudine, con una disposizione alla battuta e alla freddura, è stato compagno di una donna uscita slealmente dalla sua vita, è devoto alla sua Porsche 911 coupé, alle scarpe inglesi e agli abiti di sartoria, è diviso fra Pavia e la Costa Azzurra, fra le delizie del gourmet e la frenesia dei libri rari. Qualcuno lo potrebbe definire un “signore” (con quel cognome nobile mal portato), ma più probabilmente pesa ancora su di lui l’essere stato figlio di un uomo che ha fatto invece una voracissima carriera negli istituti bancari lombardi. Ed ecco che il Borromeo riceve una telefonata dal cellulare del padre (morto da due anni). Non c’è nulla di sovrannaturale, ma questa misteriosa chiamata riaccende la memoria del genitore, uno spaccone volgare e smargiasso che non ha mai smesso di piagare e umiliare l’esistenza sua e di sua madre.
Dal cellulare che chiama da una distanza che vuole essere misurata ai molesti residui di un passato non mai consumato si dipana una avventura che accende, negli immediati dintorni della vita del solitario Michelangelo, nuove balzane amicizie coltivate a Cap d’Antibes, l’apparizione del coetaneo Pirlandello, e di Kirsten, danese ineffabilmente fascinosa.
C’è molto da cercare (con humour sgomento), c’è molto da scoprire (con urticante desolazione), c’è molto da rimontare (con agghiacciante comicità), come se, dentro il puzzle confuso della sua identità, il Borromeo avesse bisogno della tessera mancante per essere restituito a sé stesso.
Con scrittura divagante e sinuosa, Piersandro Pallavicini insegue una volta di più i suoi fantasmi provinciali, crudele nella messa a fuoco, pietoso nel sorriso che li restituisce alla loro umanità.
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Piersandro Pallavicini (Vigevano, 1962) ha pubblicato numerosi romanzi e raccolte di racconti, tra cui le commedie Romanzo per signora (Feltrinelli, 2012), La chimica della bellezza (Feltrinelli, 2016), Nel giardino delle scrittrici nude (Feltrinelli, 2019), L’arte del buon uccidere (Mondadori, 2021). Collabora con “tuttolibri”, supplemento letterario della “Stampa”, colleziona arte contemporanea e scrive delle sue visite negli atelier degli artisti. Nella sua vita parallela fa lo scienziato, per la precisione il chimico, svolgendo ricerche in campo nanotecnologico al dipartimento di Chimica dell’università di Pavia.
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