TROPPA FELICITA‘, di Alice Munro
Einaudi, 2011 – Supercoralli – pp. 332 – € 20,00
Traduzione di Susanna Basso
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Felicità? Troppa felicità? Nel triplice omicidio di Dimensioni o in quello di Radicali liberi?
La felicità, in queste nuove storie di Alice Munro, sta in un inedito potere creativo, nel potenziale di spregiudicatezza e libertà della vecchiaia, quando si può guardare ancora più a fondo nel vortice della vita.
E se poi la felicità è troppa, restano le storie, dove «perfino un’epidemia a Copenaghen può trasformarsi nel flagello cantato in una ballata» e dove «idee e fatti assumono una forma nuova, appaiono attraverso lamine di limpida intelligenza»: il prisma della scrittura di una Alice Munro sempre più consapevole e mai così grande.
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Gioca a shanghai con le sue storie, Alice Munro, da sempre. Getta sulla pagina posti, alberi, situazioni e donne, cucine, abiti e animali, e con mano ferma se li riprende, li riordina provvisoriamente dentro la storia successiva, di raccolta in raccolta. Intanto passano gli anni e le verità che accendono improvvise i suoi racconti si sono fatte longeve. Non perché durino, ma perché non smettono di accendersi di nuovo, emanando altra luce, un’altra luce.
Con Troppa felicità, tuttavia, il lettore avverte il passaggio in corsa di un’elettricità inedita, una scarica di tremenda libertà. Queste storie sembrano spingersi un passo oltre il segreto contenuto in storie passate, e non per consumarlo rivelandolo, ma per complicarne l’esito a partire dalla consapevolezza temeraria della vecchiaia.
E se altrove l’immaginazione aveva provato a raffigurarsi l’orrore della morte di un bambino, qui i figli a morire sono tre, e a ucciderli è il padre. Se altrove una madre imparava a sopportare l’abbandono della figlia, qui all’abbandono del figlio segue il coraggio di rappresentare l’incontro, anni dopo, con uno sconosciuto di cui un tempo si conosceva a memoria ogni millimetro di intimità. Se altrove la fragile e caparbia convenzionalità dell’infanzia coagulava in dispetti odiosi ai danni di una qualsiasi creatura debole, qui tocca il fondo di una banalità del male senza scampo.
Non è cambiato il narrare di Alice Munro, è solo un po’ più lontano il luogo dove ci porta a incontrare noi stessi. E dove ci lascia, in medias res, sforbiciando una frase, a volte anche solo una parola, che non se ne va più.
Susanna Basso
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