In esclusiva per Letteratitudine pubblichiamo le prime pagine del volume DI MAMMA CE N’È PIÙ D’UNA (Feltrinelli) di Loredana Lipperini
[Ulteriori informazioni sul libro, disponibili su Lipperatura]
Il libro
Il Palazzo d’Inverno di Pechino era luogo di meraviglie e splendore. L’imperatore della Cina, che deteneva il potere più alto, era prigioniero del suo palazzo, proprio in virtù di quel potere. Anche la maternità è un Palazzo d’Inverno: dove è splendido aggirarsi ma da dove non si può uscire. Per secoli è stato l’unico potere concesso alle donne, e oggi torna a essere prospettato come il più importante: l’irrinunciabile, anzi. Lo ribadiscono televisione, giornali, libri, pubblicità, blog. Alle donne, in nome del nuovo culto della Natura, si chiede di allattare per anni e di dedicare ogni istante del proprio tempo ai figli: si dice loro che tornando a chiudersi in casa, facendo il sapone da sole e lasciando libero il proprio posto di lavoro salveranno il paese, e forse il mondo, da una crisi economica devastante. Oppure, se proprio vogliono lavorare, devono diventare “mamme acrobate” in grado non solo di conciliare lavoro e famiglia, ma di farlo con il sorriso sulle labbra e la battuta pronta, magari per raccontarsi su blog che sono il territorio di caccia preferito per tutte le aziende che producono passeggini e detersivi. Nell’Italia dove il mito del materno è potentissimo per le madri si fa assai poco sul piano delle leggi, dei servizi, del welfare, dell’occupazione, dell’immaginario. Ma invece di unirsi, le donne si spaccano: le fautrici dei pannolini lavabili contro le “madri al mojito”, madri totalizzanti contro le madri dai mille impegni, femminismi contro femminismi.
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Le prime pagine del volume DI MAMMA CE N’È PIÙ D’UNA (Feltrinelli) di Loredana Lipperini
0.1. Di muffin e di polli
Dove eravamo rimaste, e rimasti, tutti quanti? Me lo
chiedo il primo giorno del 2012, davanti a un cesto
foderato di tovaglioli rossi e traboccante di muffin. Due
gusti, vaniglia e cioccolato. I muffin sono al centro del
tavolo, illuminati dalle candele. Guardo i volti delle altre
donne chini sul cesto, con gli occhi brillanti di ammirazione
e invidia per chi ha preparato il dono. “Ancor che
falso, il dono / è reale e lo accetto,” scriveva Pessoa. Non
ha senso interrogarsi, mi dico ancora: sono solo dolcetti.
È stata una mamma a cucinare i muffin. Una mamma:
è così che si presenta e questo soltanto saprò di lei.
Sto bevendo un bicchiere di vino a casa di amici, nelle
Marche, per festeggiare un anno che si annuncia – e sarà
– difficilissimo. Gli amici hanno invitato i compagni
di scuola del figlio e i loro genitori, per non farlo sentire
solo, come spesso avviene ai figli unici. Dunque, le donne
che siedono con me al tavolo, davanti al cesto, alle candele
e alle briciole del panettone, sono presenti in quanto
madri di bambini che condividono la stessa sezione di
una scuola elementare romana. Questo è lo status che le
caratterizza in quel momento e che non si dissolverà nel
corso dell’intera serata. Né della cuoca, né delle altre, conoscerò
nulla: non il loro lavoro, non i loro gusti, i loro
sogni, i loro desideri. Non ne conoscerò neanche il no-
me: da frammenti di conversazione, saprò solo che sono
la mamma di Gianluca, la mamma di Paola, la mamma
di Francesco. Mentre Gianluca, Paola e Francesco si rincorrono,
litigano e giocano per le scale della grande casa
di campagna, le mamme esibiscono alla tavolata i propri
segni di riconoscimento e le proprie medaglie: una teglia
di lasagne, un torrone fatto in casa, il vassoio dei muffin.
È tutto normale, cosa c’è che non va? Leggi tutto…