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L’EREDITÀ DEI VIVI di Federica Sgaggio: incontro con l’autrice

“L’eredità dei vivi” di Federica Sgaggio (Marsilio): incontro con l’autrice e un brano estratto dal libro

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Federica Sgaggio vive tra Verona, dove è cresciuta e dove ha lavorato come giornalista, e Galway, in Irlanda, dove studia letteratura inglese. Ha pubblicato i romanzi Due colonne taglio basso (Sironi 2008) e L’avvocato G. (Intermezzi 2016), e il saggio Il paese dei buoni e dei cattivi. Perché il giornalismo, invece di informarci, ci dice da che parte stare (minimum fax 2011). Nel 2015 ha curato con Catherine Dunne la raccolta italo-irlandese Tra una vita e l’altra (Guanda; uscito con il titolo Lost Between: Writings on Displacement per New Island Books).

È appena uscito, per Marsilio, il nuovo romanzo di Federica Sgaggio intitolato L’eredità dei vivi.

Su questo libro, Catherine Dunne ha commentato: «Dal momento in cui l’ho incontrata, Rosa mi ha catturato. Con tutti i suoi difetti, non è un personaggio che si dimentica facilmente».

Abbiamo chiesto all’autrice di parlarcene…

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«Ho sempre pensato che la storia di mia madre avesse qualcosa da dire al mondo», ha detto Federica Sgaggio a Letteratitudine. «Adesso che mi capita di parlarne in giro, mi rendo conto che le persone che hanno letto “L’eredità dei vivi” o mi sentono per la prima volta parlare di lei – di Rosa Sammarco vedova Sgaggio nata a Solofra in provincia di Avellino e morta a Verona – la vedono come una specie di eroina della dignità del figlio disabile. Al suo funerale veronese (ne ha avuti due), le persone che erano venute per me mi si avvicinavano e mi dicevano che avrebbero voluto conoscerla da viva. Ma la sua è stata solo la storia di una donna. Leggi tutto…

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‘Found in translation’: La tua voce in un’altra lingua

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di Francesca G. Marone

Il processo creativo nasce e si sviluppa passando per diverse strade, seguendo percorsi che molti studiosi hanno cercato di individuare, suddividendo quello stesso processo in più fasi. Chi in quattro fasi, chi in sette, sempre evidenziando che alla base debba esserci “la nascita di un’intenzione”, seguita da una fase di preparazione e di incubazione, poi di illuminazione: lo stadio del sorgere improvviso di una luce, e infine la fase della verifica dove è necessario avere un feedback, un confronto su ciò che si è creato. Ma cosa accade se in questo processo creativo si inserisce il passaggio all’uso di una lingua che non è la nostra? Molti scrittori asiatici, africani, indiani si sono rivolti al francese e all’inglese per scrivere le loro storie, alcuni autori hanno utilizzato anche la nostra lingua, fra cui Jhumpa Lahiri che ha scritto in italiano il suo primo libro autobiografico, qualche anno fa, spiegando l’esigenza della scelta con la metafora dell’immagine del triangolo: nel difficile conflitto fra l’inglese e il bengalese fa capolino l’italiano e vince, diventando la lingua della creatività sciolta dai vincoli dell’abitudine. Molti autori provano a uscire da quella zona fatta di certezze e di routine creativa scompigliando le carte e sfidano la loro stessa capacità espressiva cimentandosi nella scrittura di un’opera in un’altra lingua.
L’iniziativa di cui ho chiesto a Federica Sgaggio di parlarci è un singolare corso di scrittura in inglese con le già conosciute autrici Catherine Dunne (foto in alto) e Lia Mills che si svolgerà a Dublino dal 31/7 al 4/8/2017.

Cara Federica vorresti raccontarci come nasce quest’idea del corso e con quali finalità? Leggi tutto…