Archivio

Posts Tagged ‘giovanni ghiselli’

Una lettura di… L’ACUSTICA PERFETTA, di Daria Bignardi

L'acustica perfettaL’ACUSTICA PERFETTA, di Daria Bignardi
Mondadori, 2012 – pagg. 204 – € 18,00

[Ascolta la puntata di “Letteratitudine in Fm”: Massimo Maugeri con Daria Bignardi su “L’acustica perfetta“]

di Giovanni Ghiselli

Ho assistito alla presentazione del nuovo romanzo di Daria Bignardi: l’acustica perfetta edito da Mondadori. L’autrice  ne ha parlato con vivace e quasi commossa partecipazione, poi ne ha letto dei brani significativi che sono stati commentati molto benevolmente da alcuni estimatori e amici della giornalista.
Il contesto era non poco  elogiativo e ho cominciato a leggere il libro  con qualche diffidenza.  Invece gli elogi erano meritati: la storia è bella, la scrittura scorrevole, le idee e le parole sono chiarissime e non pedestri.
La disposizione dei fatti tiene sempre desta la curiosità e l’attenzione.
L’ho letto tutto d’un fiato. Daria Bignardi ha detto che le sue letture preferite sono quelle dei romanzi russi e francesi. Ha pure affermato che le piace molto leggere e scrivere dialoghi. Infatti la vediamo in diretta televisiva porre  vivacemente domande, con una naturalezza che appare non studiata  e ricevere risposte che sembrano improvvisate. Le ho chiesto perché non ha messo i drammaturghi tra i suoi autori prediletti, a partire dai tragici greci, visto che ama i dialoghi, ha fatto il classico, poi il Dams, sia pure senza finirlo poiché, ha detto,  trovava che quei corsi fossero lenti rispetto ai suoi ritmi.
Ha risposto che Eschilo, Sofocle, Euripide, Shakespeare, Ibsen, sono imprescindibili, ma le sue preferenza vanno a Dostoevskij, Tolstoj, Turgenev, Gogol, Cechov e agli autori francesi.
Ma veniamo al romanzo l’acustica perfetta dove voglio  individuare i topoi della letteratura europea che possono essere fatti risalire a quella greca. Questa appare sempre in filigrana quando i romanzi sono buoni.
Prima di tutti il topos del destino  che è concetto e parola chiave del libro. L’incontro di Arno e Sara adulti, è dovuto a uno stormo di gabbiani sulla pista che ritarda la partenza del volo di lui. I due si erano conosciuti e avevano amoreggiato da adolescenti a Marina di Pietrasanta, poi si erano persi di vista per sedici anni, e all’inizio del romanzo si ritrovano a Milano, sembra per caso, e si sposano.
Arno ha la madre tedesca e, in partenza,  non crede nel destino (p. 28).
E’ tanto tipicamente ellenico questo “amore del fato” che nel romanzo espressionista Berlin Alexanderplatz  di Alfred Döblin si legge:” Non si deve fare il grande con la propria sorte. Io sono nemico del fato. Non sono greco io; sono berlinese”[1].
Eppure il destino aleggia sui protagonisti. In una delle ultime pagine, la dottoressa antroposofica Migliore, una figura   rivelatrice come Tiresia nelle tragedie di Sofocle[2] e nel poemetto di Eliot[3], dice al protagonista: “niente è un caso. I destini di noi tutti sono intrecciati, siamo tutti fratelli”.
Arno aveva sempre notato somiglianze e nessi tra le cose senza però capire “fino in fondo” (p. 33).
Alla fine del libro  capisce il destino e gli  stami che fila Cloto accanto alle sorelle, le vergini figlie di Ananche[4].
Nel romanzo della Bignardi, come nella vita, niente avviene per caso.
Gli eventi nel finale si svelano tutti congiunti[5].
A questo proposito possiamo indicare un passo di un autore indicato dalla Bignardi tra i preferiti. Anche secondo me questo scrittore dovrebbe essere letto e riletto, non meno dei miei auctores, accrescitori, greci e latini[6]. Leggi tutto…

IL RIVOLUZIONARIO di Valerio Varesi

Il rivoluzionarioIL RIVOLUZIONARIO di Valerio Varesi
Frassinelli, 2013 – pag. 288 – euro 18,50

di Giovanni Ghiselli

Qualche giorno fa ho assistito alla presentazione del bel libro di Valerio Varesi: Il rivoluzionario appena uscito con Frassinelli. Lo presentavano l’autore stesso, Eugenio Riccomini, illustre storico dell’arte e docente universitario emerito, e Gianmario Anselmi direttore del dipartimento di filologia classica e italianistica,

Ha parlato per primo l’autore. Valerio Varesi ha detto che il suo libro è un romanzo storico che ha per protagonisti i comunisti.  Rievoca il periodo che va dall’aprile del 1945 all’agosto del 1980. Trentacinque anni che trascorrono, come le nuvole nel cielo, dalle grandi speranze del dopoguerra al liberismo economico della Tatcher e di  Regan quando comincia lo smantellamento dello stato sociale, comincia l’oggi. Ma le carenze della giustizia iniziano subito. Il fascismo in Italia non ha avuto una Norimberga.  Nei comunisti bolognesi c’era una vocazione rivoluzionaria che venne imbrigliata. Quando spararono a Togliatti, la città fu sull’orlo della rivoluzione. Con il sindaco Fanti si aprì una nuova fase: cominciò a prefigurarsi il compromesso storico. Nel ’68 poi Lercaro,  che pure era anticomunista, si incontrò con i comunisti sul tema del pacifismo.

Il cardinale condannò i bombardamenti americani sul Vietnam e venne silurato. Segue il ’77 con l’uccisione di Lorusso e la frattura tra il PCI e il movimento giovanile. Infine la bomba alla stazione del 2 agosto del 1980 ha segntoa la fine delle grandi speranze. Oscar Montuschi, il protagonista, passa attraverso le vicende della città, poi si stanca dell’attendismo togliattiano, va a Mosca e in Mozambico a combattere per la liberazione.
Il romanzo finisce mantenendo viva la fiammella dell’uguaglianza, se non del comunismo che economicamente ha fallito.
Aggiungo una nota di Leopardi il quale nello Zibaldone (923) scrive che in India non c’è la schiavitù, ma ci sono le caste, e dove non c’è uguaglianza  non solo non c’è democrazia  ma “non c’è vera libertà”.
Varesi ha concluso questo primo intervento deplorando la sconfitta culturale della sinistra: è passata una sottocultura di gente che considera valore unico il denaro. Gente come Trimalchione, dico, e gli altri liberti del Satyriconubi sola pecunia regnat” (14).

Quindi ha parlato Eugenio Riccomini. Leggi tutto…

PIOVANI INTERPRETE DI PASCAL

PIOVANI INTERPRETE DI PASCAL

di Giovanni Ghiselli

E’ uscito da pochi mesi un bel libro: Piovani interprete di Pascal (MassettiRodellaEditori, Brescia, ottobre 2012).

L’autrice, Francesca Nodari, è una studiosa di  valore: collabora alla cattedra di Filosofia teoretica dell’Università Milano-Bicocca, autrice di altri libri tra cui Il pensiero incarnato in Emmanuel Levinas (Morcelliana, Brescia 2011),  ed è direttore scientifico del Festival Filosofi lungo l’Oglio.
Nel Capitolo primo, Miseria e Deesse, (pp. 11-39)   l’autrice fa emergere un confronto tra la filosofia di Blaise Pascal  (1623-1662) e quella di Pietro Piovani (1922-1980), “il filosofo italiano della seconda metà del Novecento al quale dobbiamo un’originale teoresi storicistico-esistenziale”[1]. Piovani ha messo a punto un suo storicismo critico .
In esso “la conoscenza storica è, si fa coscienza morale[2], come pure è un farsi l’identità e la libertà dell’uomo: “il mio esser  libero è un farmi libero…Il mio autentico essere è un esistere  perché è un farsi riempiendo il deesse…L’uomo è un dato che si dà”, scrive Piovani[3].
La conquista dell’identità però, il diventare se stesso, quello che era l’imperativo pindarico “diventa quello che sei”[4], non è un compito sine cura, ma “appare nel suo aspetto di fatica grave, di pena insopportabile”[5].

Il mio contributo a questo studio non può che essere il ricordo e la citazione dei classici congruenti.
Nell’ultimo libro dell’Asino d’oro di Apuleio, dopo lunghi e duri travagli, il protagonista Lucio prega la Regina del cielo, la luna che gli è apparsa con uno straordinario splendore sulla riva del mare, vicino a Corinto, e le chiede la fine delle fatiche e dei pericolo corsi nella sua vita asinina, una vita senza Iside: “sit satis laborum, sit satis periculorum”. Quindi la prega di restituirlo alla forma umana, ai suoi affetti e, dopo tutto a se stesso, al Lucio che è:” Depelle quadripedis diram faciem, redde me conspectui meorum, redde me meo Lucio” (XI, 2), stacca da me l’orribile aspetto di quadrupede, rendimi alla vista dei miei, rendimi al Lucio che sono. Diventare gli uomini che siamo è una grande fatica. Ma il risultato ha un grande valore. Gli dèi davanti al valore infatti hanno posto il sudore[6].
Leggi tutto…

LETTERA DI DE GASPERI, di Giovanni Ghiselli

Alcide de Gasperi.jpgLETTERA DI DE GASPERI

di Giovanni Ghiselli

Voglio commentare la lettera che Alcide De Gasperi scrisse alla moglie Francesca il 6 agosto 1927 dalla clinica Ciancarelli di Roma.
E’ un’epistola che contiene, oltre ricordi personali con squarci lirici, il riassunto e il programma di una vita politica che non può essere disgiunta da quella morale e intellettuale. In queste poche pagine ho potuto incontrare da vicino, il politico onesto, l’uomo colto, la persona per bene di cui avevo perduto da tempo l’esperienza diretta ascoltando, con disgusto crescente, i trafficoni e traffichini contemporanei.
Parto dalla cultura di De Gasperi. La sua lettera contiene citazioni in italiano, e in latino, dalla Divina Commedia, dall’Antico e dal Nuovo Testamento.
L’uomo politico non può ignorare la tradizione del popolo che intende guidare, non può non avere una visione d’insieme delle vicende storiche avvenute nei secoli, una conoscenza almeno scolastica dell’arte e del pensiero elaborati, nel tempo, dagli spiriti più elevati della sua madre terra. Chi ha la pretesa di guidare un popolo e non ha sentito la necessità di conoscere tali spiriti, o se li ha letti ma non li ricorda e non li menziona, significa che non appartiene alla loro famiglia, che non è in sintonia con loro, che non è uno spirito elevato, ma è interessato soltanto al potere e al profitto personale.
Il demagogo becero, la demagoga arrogante, l’ignorantone astuto, prima o poi vengono sorpresi con le mani nel sacco, a rubare. Leggi tutto…

La lectio magistralis di Remo Bodei al festival della filosofia di Modena (14-16 settembre 2012)

La lectio magistralis di Remo Bodei al festival della filosofia di Modena (14-16 settembre 2012)

Galleria immagini

di Giovanni Ghiselli

Ho seguito il primo pomeriggio del festival della filosofia sulle cose: una festa di popolo e di studiosi che parlano, nelle piazze, a tante persone che vengono a Modena, Carpi e Sassuolo per imparare. Ascoltano con attenzione, poi, dopo gli applausi, fanno domande generalmente pertinenti. Ero nella piazza grande del capoluogo e ho pensato all’agorà di Atene con i discorsi di Pericle e al suo “amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza (filokalou’mevn te ga;r met j eujteleiva” kai; filosofou’men a[neu malakiva”, Tucidide, II, 40, 1).

Gli studiosi che conoscono bene e possiedono l’argomento con la mente, ne hanno una visione chiara e sanno parlarne con semplicità competente, quella prudens simplicitas che è complessità risolta in frasi belle e piene di significato.

Remo BodeiMi è piaciuta in modo particolare la lectio magistralis di Remo Bodei (nella foto), che è professore di filosofia presso la UCLA e Presidente del Comitato Scientifico del festival.
Espone con chiarezza le sue vaste conoscenze, le riflessioni che ne ricava, e parla con entusiasmo suscitando entusiasmo.
Bodei ha distinto la cosa dall’oggetto attraverso dotte e interessanti etimologie.
Ha collegato “cosa” con il latino causa, come una questione che ci dà un motivo e ci sta a cuore, mentre “oggetto” viene da obiectum che è participio passato di obicio, “getto davanti”, “contrappongo”. Quindi l’obiectus, nel latino medievale obiectum, è un impedimento, una barriera.
Bodei ha poi ricordato che un significato analogo ha il greco provblhma, da probavllw, “getto davanti”.
L’oggetto dunque ci ostacola, mentre la cosa-causa ci dà motivi, ci spinge. Causa rimanda anche a responsabilità e a causa legale, a discussione, e richiama il tribunale, l’assemblea, la dimensione pubblica, la discussione, al pari di res il significato della cosa che, mentalmente posseduto, suggerisce le parole, secondo il motto di Catone “Rem tene, verba sequentur” : la res divenuta cosa mentale fornisce i verba che sono collegati etimologicamente a rhetorica, all’arte del parlare in pubblico e a parrhsiva, la libertà di parola senza la quale non c’è democrazia. Anche dal nome latino dello Stato, res publica, si vede come la “cosa” faccia parte della collettività della politica e della storia
Nelle cose infatti si depositano le idee e le azioni degli uomini. Conservano le nostre res gestae e quelle di chi ci ha preceduto.
Le rovine sono ancora cosa viva, certo più viva dei troppi oggetti che vanno a finire nelle discariche. Leggi tutto…