In esclusiva per Letteratitudine pubblichiamo un ampio stralcio del romanzo SE AVESSI PREVISTO TUTTO QUESTO, di Luca Raimondi (Edizioni Il Foglio)
La prefazione di Roberto Alajmo
Carlo Piras, studente all’Università di Catania, vive i suoi diciotto anni incastonati nella metà degli anni ’90, in un Paese dove da pochi mesi è crollato il primo governo Berlusconi e tutto sembra finalmente andare per il verso giusto. Soprattutto in una città che sembra vivere la sua rinascita.
È qui che Carlo spera di trovare nuovi amici e – forse, magari – il grande amore. Attorno a lui il mondo si muove contromano, però. Le lezioni lo lasciano perplesso, le notti sembrano stordirlo e le ragazze sono enigmi che si muovono su gambe bellissime.
Il primo vero scacco coincide col mancato conseguimento della patente, ma è la cugina installata in casa a destabilizzare Carlo, che comincia a fare i conti col proprio passato di ragazzo e col futuro da uomo. L’insonnia morde, la solitudine divora. I tentativi di conquistare le ragazze di cui si innamora rivelano la sua inadeguatezza alla vita.
Luca Raimondi attinge all’autobiografia ma se ne distacca ironicamente, raccontando una generazione che pagava in lire e rimorchiava artigianalmente. Un romanzo di formazione impastato di umorismo ma speziato di malinconia.
Un’epopea quotidiana tardo-adolescenziale in cui l’amore e l’amicizia sono i valori da esaltare e (occasionalmente) tradire. La vita com’era meno di vent’anni fa, non troppo diversa da quella di oggi.
La vita, insomma.
* * *
Di seguito, uno stralcio del romanzo SE AVESSI PREVISTO TUTTO QUESTO, di Luca Raimondi (Edizioni Il Foglio)
DAL CAPITOLO 25 (“SABATO”, pp. 208-216)
Rosario e Raffaella sono puntuali e alle nove e un quarto circa sono già a spasso per i vicoli di Ortigia con il nostro Carlo.
Rosario è elegantissimo, in completo azzurro e camicia Emporio Armani. Raffaella si è tinta i capelli di biondo, però ha perso la linea perfetta altrove mostrata: è dimagrita parecchio, forse per adeguarsi alla moda corrente che vuole le fotomodelle ridotte all’osso, e chissà che non covi progetti di questo genere. O magari a forza di stare con Rosario è diventata anoressica, lui è un bravissimo ragazzo ma certo è a volte un po’ qualunquista e non riesce a capire sempre i problemi e le esigenze della sua compagna – ma Carlo, che ne può sapere lui? Forse è solo una speranza. La speranza che lei sia insoddisfatta di come vanno le cose con Rosario; la speranza che voglia tornare sui suoi passi, scegliendo di non percorrere fino in fondo quei binari che sono ormai costruiti e che, c’è da scommetterci, la porteranno al matrimonio con Rosario e via dicendo. Rosario è un bravissimo ragazzo, ma porta con sé delle convenzioni sociali da veterodiccì: il suo pregio e il suo difetto maggiore.
Ma qui parliamo di speranza, okay? Un sentimento strano e ingannatore, che ci fa spesso vedere fischi per fiaschi, per cui subiamo fischi e subiamo fiaschi. È già nell’aria: Carlo vuole attaccare il bastione-Raffaella. Ci rimetterà l’amicizia di Rosario.
Bene; è proprio quello che vuole.
(…)
Un brivido di freddo per niente primaverile scuote la schiena di Carlo mentre cerca di captare l’attenzione di Raffaella: le pone domande e le rivolge discorsi atti a mostrare la sua maturità e intelligenza, Rosario si limita a commentare scherzosamente e a dissacrare i suoi discorsi a volte troppo ambiziosi. Le parole volano e quelle di Carlo tentano di tratteggiare con ampie pennellate le sue idee sul rapporto uomo-donna – e c’è da sperare (speranza, no?) che lei sia d’accordo, veramente d’accordo, ché dei suoi cenni del capo e del suo annuire con vigore si può e si deve dubitare. Chi è Raffaella? Da dove viene? Cosa sa Carlo di lei se non quello che è passato dal filtro di Rosario? Potrebbe non essere quella che sembra, però a Carlo piacerebbe comunque. Vien da pensare che Carlo sia di bocca buona, oppure che Carlo sia una scheggia impazzita che cerca di spezzare la rete superficiale di sentimentalismo. Niente di tutto questo: Carlo è a un punto cruciale della vita, in cui bisogna anche essere disposti a perdere qualcosa o qualcuno strada facendo, per tornare subito a riempire i vuoti. Un lavoro duro, ma che va portato avanti con abnegazione. Bisogna uscire dall’involucro della timidezza per cospargersi di coraggio. Bisogna imporre la propria esistenza e le proprie pulsioni, entro certi limiti che ci sono imposti o che ci autoimponiamo. Ecco, l’unico problema, stasera, è che Carlo non si è posto limiti.
Il pub è infognato in un ronco stretto e lungo. Non è molto à la page, d’altronde si permette anche di proporre un servizio di ristorante-pizzeria che ha del patetico. Il menù propone amenità tipo la paella, ma di comune accordo si dirige lo sguardo verso il settore panineria.
Mentre aspettano la cameriera, Rosario racconta di come Raffaella abbia litigato con Miriam, una sua amica di vecchia data che anche Carlo ha avuto modo di conoscere in un sabato sera simile a questo, ricavandone una sensazione sgradevole, vuoi perché lei giocava a fare l’altezzosa che aspetta solo un corteggiatore danaroso, con i suoi discorsi venali, vuoi perché quella sera si era messa a sparlare mezza Università di Catania – e Carlo la vedeva gioire e godere mentre razzolava nel fango di gente a lui sconosciuta.
– Aveva un orgasmo sincero nello spettegolare a destra e a manca. Io a Raffaella l’ho detto, l’ho messa in guardia, quella fa il doppio e il triplo e il quadruplo gioco, e a questo mondo non ti puoi fidare di nessuno, figurati di una come Miriam, che infatti non ha perso un attimo nello sputtanare Raffaella e me ai quattro venti, comportandosi da autentica carogna.
– Non ci si può fidare più neanche degli amici – dice Carlo, facendo il piedino a Raffaella.
– Hai perso una scarpa, Carlo? – dice lei. Leggi tutto…