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Posts Tagged ‘il foglio’

IERI, EILEN di Fabio Izzo

Pubblichiamo un estratto del romanzo IERI, EILEN di Fabio Izzo (Il Foglio letterario)

Non sapevano davvero di essere stati maledetti, o di rientrare in una maledizione più antica di loro. Vivevano inconsapevoli, a metà strada tra la felicità e la disperazione, in quell’equilibrio precario che a volte viene chiamato amore.
Così torniamo ora alla loro storia dove troviamo altri ambienti, altre situazioni di cui io posso solo essere gelosa. Momenti di felicità mai vissuti e mai visti. Solo empaticamente percepiti.
Una strada lunga, nulla di più semplice o simbolico.
Un autobus puntuale l’ora, cinquantacinque minuti di isolamento dal resto del mondo.
Camminano uniti dal freddo.
La neve li rende unici in questo panorama immacolato.
Sono come due macchie di colore che si espandono lentamente a passo d’uomo, in una marea che cade dall’alto in basso invadendo quello che, fino alla stagione precedente, era tutto verde.
Alberi, arbusti, cespugli, punti di riferimento resi egemoni dalla volontà verticale.
Lui guarda lei.
Eilen.
Non l’ha mia vista così bella. Leggi tutto…

CERNIERA LAMPO di Luca Raimondi e Joe Schittino (un estratto)

Pubblichiamo un estratto del romanzo CERNIERA LAMPO di Luca Raimondi e Joe Schittino (Ed. Il Foglio)

da Cerniera lampo (Ed. Il Foglio, 2016) di Luca Raimondi e Joe Schittino

Capitolo 38

Ultima ora.
Il professor Mancino non è potuto venire oggi, afflitto − si dice − da un micidiale attacco di sciatica. La notizia è stata accolta dalla 5a A O.T. come una festa nazionale, attenuata solo dal timore che il supplente sia uno di quei rompiscatole che non riescono a stare con le mani in mano e cominciano a fare domande o a perdersi in chiacchiere improduttive.
− Speriamo di rimanere soli, in santa pace − ti dice il tuo compagno di banco Giorgio Calvo, lisciandosi i capelli.
Spesso non ci sono professori disponibili a perdere un’ora della propria vita per un inutile contatto con i giovani. Quindi la classe rimane in balìa di se stessa e a nulla servono le pietose raccomandazioni che i bidelli rivolgono ai due rappresentanti di classe che, per inciso, sono Gaspare Lupo e Carmela Zapponi (una ragazza molto secca, probabilmente anoressica, che ama fingersi intellettuale e che dice di conoscere a perfezione le opere di Kant e Schopenhauer).
Attraverso le finestre si scorge un’atmosfera cupa e ottenebrata da nubi cariche di pioggia e di sabbia africana.
− C’è odore di pioggia, Teo − ti dice Giorgio, quasi sussurrando. Sta tentando di iniziare una conversazione. Tu, al solito, non gli dai spago e continui ad annegare il tuo sguardo all’esterno. Oggi ti senti incarcerato, un ippopotamo ingabbiato in uno zoo. Eppure fino al giorno prima credevi che la scuola fosse il tuo cuore pulsante, l’elemento indispensabile per la tua sopravvivenza in questo mondo che così poco ti offre. Hai cambiato idea e non riesci a spiegartene il perché. Senti come un vuoto penetrarti nel pieno dell’anima, una vorticosa perdita di energia vitale che ti sfianca e ti logora. Ti chiedi cosa ti stia succedendo, quale mano ti abbia spinto in un baratro che sembra non avere fondo, quale demone maligno ti abbia confessato all’orecchio indicibili verità e penosi segreti. Eppure, facendo mente locale, non riesci a trovare la tua verità, il segreto che ti tormenta, il doloroso sospetto che ti affanna, che ti stanca, che ti porta a braccetto in lidi perduti nello spaziotempo e che ti pone davanti agli occhi uno schermo bianco su cui vengono proiettate lente e noiose scene della tua vita. Riconosci volti, voci, sensazioni, illusioni, speranze, sogni… Leggi tutto…

L’UNDICESIMA, di Raimondo Raimondi

L’UNDICESIMA di Raimondo Raimondi (raccolta di racconti edita da Il Foglio). Pubblichiamo di seguito la prefazione firmata da Veronica Tomassini e il racconto che dà il titolo al volume

di Veronica Tomassini

Raimondo Raimondi riesce a raccontare ancora una Sicilia arcaica, lo fa in alcune piccole storie contenute in questa raccolta. Ha il respiro del narratore di razza. E opera qualcosa di più, non racconta soltanto di una Sicilia primitiva, ne intercetta i suoni reali, gli intercalare, le chiusure, lo fa introducendo l’elemento nuovo ovvero la contemporaneità, la crudeltà della contemporaneità che investe in special modo i personaggi – spesso soli, di una solitudine inaudita che incontra la durezza di un paesaggio eppur mai privo di fecondi germogli – come il vecchio di Pietre Rosse, il racconto che inaugura questa riuscita composizione. Procedendo di storia in storia, la Sicilia dei poderi, delle mulattiere, dei vecchi solidi e rugosi simili a tronchi d’ulivo, si sottraggono all’attenzione del lettore per cedere il passo al nesso con l’argomento centrale – io credo – della raccolta ovvero il male, il suo pedissequo ingerire con l’ordinarietà dei suoi deboli esecutori; il male che tracima con le sue assurde lusinghe nelle vicende private, ancorché brevi e mai assolutorie, dei protagonisti. Non è un tremendismo facile quello adottato da Raimondo Raimondi, propone nudamente l’efferatezza di certi segreti dell’animo umano con la competenza del grande conoscitore di vizi e virtù. Sì, Raimondo Raimondi dimostra la precisione del narratore. La sua scrittura è governata, è piacevole, traduce l’eleganza di uno stile che ho imparato ad apprezzare negli anni (Raimondi ha pubblicato molto altro). Leggi tutto…

TO JEST, di Fabio Izzo (un estratto del libro)

Pubblichiamo un estratto del romanzo TO JEST, di Fabio Izzo, edito da Il Foglio letterario

Ci si innamora sempre di odori, sapori e sensazioni. Gabbie sensoriali costruite per intrappolare attimi. Collezioniamo ricordi, chi più chi meno, o almeno ci proviamo. Non possiamo impedire alla vita di andare avanti, possiamo però sbrindellarne il tessuto e tenerci nelle tasche i secondi più preziosi.
L’estate polacca diffonde sempre un qualcosa di tragico durante le sue ultime uscite di scena della stagione, come quell’attore in un dramma di Beckett o di Kantor che avevo visto all’una di notte in una replica sulla televisione nazionale. Chissà che altri parti avrà recitato, quali altri grandi ruoli avrà ottenuto. La malinconia è il soggetto preferito di troppe mie inquadrature, non so, sarà per via della polverosa danza del vento che sbatte e percuote il tappeto del crepuscolo, illuminato dai raggi solari, che profuma di sale, di mare, di lacrime, di nero, di bianco e della decadenza ampliata del colore. L’estate, qui, risulta un unico lungo addio destinato a ripetersi nelle vite, congelate dal mesto vivere di sempre, laico e profano, ininterrotto nel suo libero scorrere.

Le ultime gocce distillate della stagione vengono raccolte nel fazzoletto che asciuga la fronte di quell’uomo incurante di tutto quel che gli succede attorno; si preoccupa solo di passarmi alle spalle, frettoloso com’è, nell’attesa di un altro inverno. Le luci accese irrompono sulla scena e il mondo sembra giocondo dentro le riproduzioni artefatte di se stesso. Sono arrivato qui qualche mese nel tentativo folle di voler raccontare una storia, o per tentare di farlo, in un mondo che vuole sentire solo l’immediato egoismo del presente, dimenticando di coniugare tutto all’altruismo di un futuro incerto. Raccontare storie per salvare il mondo che merita di essere raccontato. Sono in un paese dove l’estate è quasi un preavviso di tragedia, qui, in una nazione cancellata dalla mappa dell’Europa e riammessa dai padroni stranieri solo dopo l’ennesima guerra persa. Una nazione decapitata due volte e due volte nello stesso luogo, a Katyn; durante la Seconda Guerra Mondiale prima e nella Nuova Guerra dell’Indifferenza, ora. La sua classe politica e dirigenziale è puff, scomparsa, svanita nel sangue a seguito di un incidente aereo, mandando il paese in lutto. Ora, non per tornare a essere il solito cinico bastardo che ero e che sono, ma da noi le cose sarebbero andate in maniera diversa.  Ma cosa ne pensa la vera opinione pubblica? Cosa ne pensa la gente ferma nei bar, alle fermate degli autobus, nelle stazioni ferroviarie fumanti e negli assonati autogrill? La prima volta che l’opinione pubblica si espresse alla televisione fu nel 1963 quando una troupe televisiva americana intervistò una bambina sull’omicidio dell’allora presidente, cioè John Fitzgerald Kennedy. Mah, chissà quale pensiero profondo si aspettavano. Nessuno a dire il vero. Nessuno può essere così ingenuo. Puntavano sull’emotività. Semplice e diretta. Sull’emotività spontanea dell’immagine. Nulla di più primitivo in effetti. In fondo l’uomo si è evoluto con la scrittura. Prima disegnava scene di caccia e di sesso, poi è passato a scrivere tormentandosi l’anima pubblica e privata, ma non che poi l’opinione pubblica abbia mostrato chissà che cosa. Dal 1963 e da Dallas in poi ne sono successe di cose e migliaia di persone sono state chiamate di fronte a una telecamera per esprimere la loro pubblica opinione sull’aumento del costo delle uova o sulla guerra in qualche paese. In fondo però siamo animali destinati a non capirci, ostinati come siamo nella complicazione del linguaggio. Ad ogni modo sono arrivato qui, attratto dalla possibilità di impedire a una storia locale di restare nell’ombra. Anche se all’inizio, come tutti i narratori troppo egocentrici, pensavo di raccontare solo la mia storia. Ora invece so che questa è la storia di tutti. La storia di tutti quelli che vogliono farsi raccontare un’altra storia ma è anche la storia di ogni minatore polacco, di ogni contadino messicano, di ogni operaio americano e di tutte le lotte degli ultimi su questo strafottente pianetucolo da abitanti del terzo universo, perché tutti portano con sé la loro storia e tutti hanno il diritto di raccontarla per farsi ascoltare. Leggi tutto…

SE AVESSI PREVISTO TUTTO QUESTO, di Luca Raimondi (la recensione)

SE AVESSI PREVISTO TUTTO QUESTO, di Luca Raimondi (Edizioni Il Foglio)

[un ampio stralcio del libro è disponibile qui]

recensione di Maria Lucia Riccioli

Novembre di qualche anno fa, meglio non specificare.
La mia prima lezione alla Facoltà di Lettere e Filosofia all’Università degli Studi di Catania.
Un pugno di libri nello zaino, speranze e paure, aspettative e timori in un groviglio che si arravuglia allo stomaco.

Novembre 2013. Leggo e rileggo “Se avessi previsto tutto questo” di Luca Raimondi (Edizioni Il Foglio, Piombino 2013) e di colpo ripiombo in Piazza Università, tra Palazzo Sangiuliano e Palazzo Centrale, Piazza Stesicoro e Piazza Dante, mi rivedo sfogliare manuali di letteratura e spulciare golosa tra i nuovi arrivi di edicole e bancarelle, alla ricerca dei mitici tascabili di Newton Compton e Stampa Alternativa, quando un classico costava mille lire.
Non c’era ancora il telefonino, o meglio c’era ma i “… giovani sfaccendati peripatetici animali tipici di fine millennio” lo usavano solo per le comunicazioni di servizio e grezze grigie e figuracce si vivevano de visu e non su attraverso uno schermo.
“Ragazzi inconsapevoli della tristezza del futuro e trentenni fuori corso: moltitudini di vuote larve che attraversano il fine millennio tanto per passare il tempo. “Che cosa abbiamo fatto oggi?” mi chiedo ad alta voce. “Abbiamo attraversato la piazza” risponde qualcheduno. “Che faremo domani?” mi chiedo. La risposta non arriva, forse è già stata detta”.

Il romanzo di Luca Raimondi è a metà tra un amarcord e un diario di bordo degli anni Novanta, una capsula del tempo che ci restituisce intatti il senso di smarrimento, di sperdimento, di inutilità che è così facile provare nel limbo tra diploma e laurea, tra l’utero protetto della città natale, di casa, della famiglia, degli amici – ma chi e cosa sono i veri amici, cos’è l’amore, quel sentimento che s’interseca a turbinii e voglie adolescenziali e non ancora adulte? Queste le domande di Carlo Piras, il nostro protagonista alle prese con la sua personale ricerca di una Weltanschauung, di una propria visione del mondo attraverso lo studio di quelle altrui, dei filosofi che ha scelto di studiare non troppo coscientemente dopo l’Alberghiero.
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SE AVESSI PREVISTO TUTTO QUESTO, di Luca Raimondi (uno stralcio del libro)

In esclusiva per Letteratitudine pubblichiamo un ampio stralcio del romanzo SE AVESSI PREVISTO TUTTO QUESTO, di Luca Raimondi (Edizioni Il Foglio)

La prefazione di Roberto Alajmo

Carlo Piras, studente all’Università di Catania, vive i suoi diciotto anni incastonati nella metà degli anni ’90, in un Paese dove da pochi mesi è crollato il primo governo Berlusconi e tutto sembra finalmente andare per il verso giusto. Soprattutto in una città che sembra vivere la sua rinascita.
È qui che Carlo spera di trovare nuovi amici e – forse, magari – il grande amore. Attorno a lui il mondo si muove contromano, però. Le lezioni lo lasciano perplesso, le notti sembrano stordirlo e le ragazze sono enigmi che si muovono su gambe bellissime.
Il primo vero scacco coincide col mancato conseguimento della patente, ma è la cugina installata in casa a destabilizzare Carlo, che comincia a fare i conti col proprio passato di ragazzo e col futuro da uomo. L’insonnia morde, la solitudine divora. I tentativi di conquistare le ragazze di cui si innamora rivelano la sua inadeguatezza alla vita.

Luca Raimondi attinge all’autobiografia ma se ne distacca ironicamente, raccontando una generazione che pagava in lire e rimorchiava artigianalmente. Un romanzo di formazione impastato di umorismo ma speziato di malinconia.
Un’epopea quotidiana tardo-adolescenziale in cui l’amore e l’amicizia sono i valori da esaltare e (occasionalmente) tradire. La vita com’era meno di vent’anni fa, non troppo diversa da quella di oggi.
La vita, insomma.

* * *

Di seguito, uno stralcio del romanzo SE AVESSI PREVISTO TUTTO QUESTO, di Luca Raimondi (Edizioni Il Foglio)

DAL CAPITOLO 25 (“SABATO”, pp. 208-216)

Rosario e Raffaella sono puntuali e alle nove e un quarto circa sono già a spasso per i vicoli di Ortigia con il nostro Carlo.
Rosario è elegantissimo, in completo azzurro e camicia Emporio Armani. Raffaella si è tinta i capelli di biondo, però ha perso la linea perfetta altrove mostrata: è dimagrita parecchio, forse per adeguarsi alla moda corrente che vuole le fotomodelle ridotte all’osso, e chissà che non covi progetti di questo genere. O magari a forza di stare con Rosario è diventata anoressica, lui è un bravissimo ragazzo ma certo è a volte un po’ qualunquista e non riesce a capire sempre i problemi e le esigenze della sua compagna – ma Carlo, che ne può sapere lui? Forse è solo una speranza. La speranza che lei sia insoddisfatta di come vanno le cose con Rosario; la speranza che voglia tornare sui suoi passi, scegliendo di non percorrere fino in fondo quei binari che sono ormai costruiti e che, c’è da scommetterci, la porteranno al matrimonio con Rosario e via dicendo. Rosario è un bravissimo ragazzo, ma porta con sé delle convenzioni sociali da veterodiccì: il suo pregio e il suo difetto maggiore.
Ma qui parliamo di speranza, okay? Un sentimento strano e ingannatore, che ci fa spesso vedere fischi per fiaschi, per cui subiamo fischi e subiamo fiaschi. È già nell’aria: Carlo vuole attaccare il bastione-Raffaella. Ci rimetterà l’amicizia di Rosario.
Bene; è proprio quello che vuole.
(…)
Un brivido di freddo per niente primaverile scuote la schiena di Carlo mentre cerca di captare l’attenzione di Raffaella: le pone domande e le rivolge discorsi atti a mostrare la sua maturità e intelligenza, Rosario si limita a commentare scherzosamente e a dissacrare i suoi discorsi a volte troppo ambiziosi. Le parole volano e quelle di Carlo tentano di tratteggiare con ampie pennellate le sue idee sul rapporto uomo-donna – e c’è da sperare (speranza, no?) che lei sia d’accordo, veramente d’accordo, ché dei suoi cenni del capo e del suo annuire con vigore si può e si deve dubitare. Chi è Raffaella? Da dove viene? Cosa sa Carlo di lei se non quello che è passato dal filtro di Rosario? Potrebbe non essere quella che sembra, però a Carlo piacerebbe comunque. Vien da pensare che Carlo sia di bocca buona, oppure che Carlo sia una scheggia impazzita che cerca di spezzare la rete superficiale di sentimentalismo. Niente di tutto questo: Carlo è a un punto cruciale della vita, in cui bisogna anche essere disposti a perdere qualcosa o qualcuno strada facendo, per tornare subito a riempire i vuoti. Un lavoro duro, ma che va portato avanti con abnegazione. Bisogna uscire dall’involucro della timidezza per cospargersi di coraggio. Bisogna imporre la propria esistenza e le proprie pulsioni, entro certi limiti che ci sono imposti o che ci autoimponiamo. Ecco, l’unico problema, stasera, è che Carlo non si è posto limiti.
Il pub è infognato in un ronco stretto e lungo. Non è molto à la page, d’altronde si permette anche di proporre un servizio di ristorante-pizzeria che ha del patetico. Il menù propone amenità tipo la paella, ma di comune accordo si dirige lo sguardo verso il settore panineria.
Mentre aspettano la cameriera, Rosario racconta di come Raffaella abbia litigato con Miriam, una sua amica di vecchia data che anche Carlo ha avuto modo di conoscere in un sabato sera simile a questo, ricavandone una sensazione sgradevole, vuoi perché lei giocava a fare l’altezzosa che aspetta solo un corteggiatore danaroso, con i suoi discorsi venali, vuoi perché quella sera si era messa a sparlare mezza Università di Catania – e Carlo la vedeva gioire e godere mentre razzolava nel fango di gente a lui sconosciuta.
– Aveva un orgasmo sincero nello spettegolare a destra e a manca. Io a Raffaella l’ho detto, l’ho messa in guardia, quella fa il doppio e il triplo e il quadruplo gioco, e a questo mondo non ti puoi fidare di nessuno, figurati di una come Miriam, che infatti non ha perso un attimo nello sputtanare Raffaella e me ai quattro venti, comportandosi da autentica carogna.
– Non ci si può fidare più neanche degli amici – dice Carlo, facendo il piedino a Raffaella.
– Hai perso una scarpa, Carlo? – dice lei. Leggi tutto…

DOPPIO UMANO, di Fabio Izzo (uno stralcio del libro)

Doppio umanoIn esclusiva per Letteratitudine, pubblichiamo uno stralcio del romanzo DOPPIO UMANO, di Fabio Izzo (edizioni Il Foglio)

Il libro
Sotto il cielo d’Africa. Al tempo delle Grandi Bestie veniva raccontata la storia di due messaggi inviati dall’essere supremo al genere umano: un primo messaggio riguardava la speranza della vita eterna mentre un secondo messaggio portava la certezza della morte. Il messaggero che reca il messaggio di vita eterna è costretto però a ritardare il suo cammino visti i dubbi della speranza mentre il messaggio di morte viene, inevitabilmente, ricevuto per primo, come unica certezza.

* * *

Dal romanzo DOPPIO UMANO, di Fabio Izzo (edizioni Il Foglio)

Oggi è lo stesso giorno di ieri, eppure so che c’è qualcosa che non va. Il mondo è invaso da segnali. Basta saper cercare. Basta voler vedere.
Segnali come la lingua che si graffia sul dente scheggiatosi durante la notte non portano nulla di buono. Il rumore dei bicchieri rotti dal barista distratto indicano che ci sarà poco a cui brindare mentre il piccolo taglio presente sul viso del giornalista, frutto di una rasatura affrettata., invade il mio presente.
Oggi, Qui, in riva alla Vistola sembra essere la giornata dell’errore cosmico.
La città non riesce a mettersi in moto, è’ come una cinghia di trasmissione allentata. Borbotta, borbotta ma non si avvia. Non riesce. Non che in alto vada meglio, il cielo è compresso, dilatato quasi a voler coprire le date dei calendari
In televisione, nelle trasmissioni sul traffico, appare marcio prima di lasciare posto all’azzurro disegnato dell’oroscopo. Non so se è il mio apparecchio a contribuire o se è ininfluente rispetto a questo deturpamento celeste.
Il cielo è piatto. Le nuvole sono piatte, così come gli umori, piatti per una realtà bidimensionale, errata così si presenta l’errore cosmico. Il giornalista è arrivato per intervistarmi. Sono un caso. La mia identità, stavolta, ha voluto deviare verso le sfumature mediatiche del caso umano. Dovrei vedere il lato positivo della cosa, in fondo rimedio un caffè gratis e qualcosa da mangiare, ma stanotte mi si è scheggiato un dente e, senza tutti i documenti in regola, non posso ancora richiedere l’assicurazione sanitaria utile per andare dal dentista. Il tram che passava davanti alla vetrina del bar si rotto, la gente è scesa frettolosamente cercando di salire sulla corsa successiva. Sento dire da altre persone di Qui che sul tram successivo si sta come sardine. Non so, io non ho mai visto delle sardine salire su un autobus ma ricordo gli autobus africani, pieni fino all’inverosimile per una corsa pronta a lambire le piste del deserto. Almeno questo è quello che racconto al giornalista per rompere il ghiaccio, si dice così, mentre il barista rompe davvero un bicchiere e qualche tazzina mentre sullo sfondo la televisione sta gracchiando, gracchia e graffia, non riesco a comprendere ancora la lingua di Qui . Fortuna che questo tizio, il giornalista, parla inglese, dice che ha studiato ad Hull. Mi chiede se so dov’è.
Vagamente rispondo. Sarà un posto anonimo della provincia inglese, uno di quei posti così sperduti e desolati da far disperazione al solo ricordo del pub locale, della scuola locale e della chiesa locale, del fiume locale e dell’unico bordello locale, così vado sul sicuro quando rispondo:
– Certo quel posto è come mi posso dimenticare di un buco di culo come quel postaccio.
Ride e mi risponde che è vero. Non ho indovinato. Ogni posto è come Hull.
Anche Qui è come Hull, ma non glielo vado di certo a dire a questo bellimbusto biondo che deve aver una vita tanto noiosa da pensare che la mia sia meglio. Si sarà anche tagliato nel radersi per essere puntale al nostro appuntamento.
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