Pubblichiamo un estratto del romanzo NUVOLE DI FANGO di Inge Schilperoord (Fazi – traduz. di Stefano Musilli)
Deglutì con fatica, come se qualcosa di duro e appuntito – una spina di pesce – gli si fosse incastrato in gola. Si schiarì la voce, sospirò, chiuse gli occhi e dilatò le narici. Si concentrò sul respiro prima che la tensione gli raggiungesse le spalle, come aveva imparato a fare in pre-terapia. La chiamavano così, o anche “terapia individuale del reo”: terapia che aveva inizio in prigione e doveva prepararlo al trattamento riabilitativo in clinica. Era stata avviata alcune settimane prima con lo psicologo del carcere. La fase uno.
«Ora respira con calma», bisbigliò fra sé e sé guardando il contorno indistinto della sua faccia riflessa nel vetro: il mento sporgente, gli zigomi affilati, la fronte. «Inspira dal naso». Chiuse gli occhi e li riaprì. «Trattieni, e poi espira piano piano dalla bocca». Lo ripeteva dieci volte, sempre dieci. «Così rilassiamo il diaframma e ci sbarazziamo di tutto lo stress. Piedi per terra». Continuò a parlare sottovoce, pur essendo l’unico passeggero dell’autobus. Sentì il diaframma rilassarsi, il respiro calmarsi, e nel frattempo si massaggiò con le nocche i muscoli indolenziti della nuca.
L’autobus fece l’ultima curva prima del paese, che lambiva il nuovo quartiere di cui Jonathan aveva tanto sentito parlare. Le case se ne stavano immobili alla luce del mattino; le finestre riflettevano i raggi del sole mandandoglieli dritti negli occhi, come per disturbarlo. Il quartiere era stato costruito nei mesi scorsi a ridosso del vecchio paese ed entro qualche settimana ci si sarebbero trasferiti anche lui e la madre. Lei ne parlava in continuazione nelle sue lettere. Nuovi vicini, nuova casa: ne era contenta («facce nuove, compagnia, più rapporti umani»). Lui no, non amava i cambiamenti.
Quel che vide era perfino peggio di come se lo aspettava. Schiere su schiere di casette anguste, tutte uguali. Ombre corte in mezzo ai tetti. Lì avrebbero vissuto ancora più ammassati che nelle vecchie stradine a cui era abituato. Il loro quartiere, il più vecchio del paese, era sulla lista delle demolizioni da mesi prima che Jonathan se ne andasse, ma il Comune era così lento che non ci credeva più nessuno. Mentre lui era in prigione, le cose erano andate speditamente. I primi residenti si erano trasferiti durante il suo secondo mese di detenzione e gli altri li avevano seguiti un po’ per volta. Sua madre era l’ultima rimasta nella loro casa nell’area vuota. Gli aveva scritto che negli ultimi mesi la sua asma era peggiorata di nuovo e che non aveva la forza di affrontare il trasloco da sola. Leggi tutto…