ORAZIO LABBATE ci racconta il suo romanzo LO SCURU (Tunuè). Un estratto del libro è disponibile qui
di Orazio Labbate
Perché “Lo Scuru” abbia possibilità di essere narrato, si deve annunciare una innaturale Trinità che il romanzo stesso dichiara di contenere nelle sue pagine: Lo Scuru, la Statua e U Diavulu. Questa scomposizione possiede gli elementi necessari di cui posso servirmi a mo’ di guida perché il racconto del libro si possa sostanziare in diversi periodi, posti e idee della mia breve vita, che hanno favorito la nascita del romanzo.
Il primo elemento: Lo Scuru
E’ stata la morte a farmi partorire lo Scuru.
A Butera, il mio paese natale (nonché spazio empirico e metafisico ove avviene principalmente Lo Scuru), morì mia nonna, quando avevo diciotto anni. La conoscenza del dolore, e l’evoluzione d’esso nella camera ardente, sino al punto di vederlo tramutarsi, secondo i miei occhi, in storpiamento delle cose reali, mi ha condotto a rivoluzionare la mia vita. Lì, in quel non-luogo, teatro della fine della carne, le potenti visioni religiose si sono scatenate. Visioni che covavo, anni prima da ragazzino, nella veste di chierichetto della parrocchia di San Rocco. La rabbia si è quindi frammischiata all’immaginazione di un nuovo ambiente e di una nuova, oscura, religione cattolica. Vidi quindi, grazie alla metafisica che accoglievo, le persone piangenti quali demoni o angeli, e poi vidi anche il soffitto divaricarsi per accogliere una luce e una Croce alle quali mia nonna si iniziò. Per contro, l’empiria fu padrona al cimitero dove mi resi conto definitivamente che mia nonna Maria fosse ormai sola: carne spenta. Fossimo io e lei nello Scuru. In questa Entità innominabile che è metà divina e metà diabolica eppure talmente malinconica, senza un Dio sopra di Essa solo gli uomini in grado di capirla.
Trascorsi la notte a scrivere in giro per il paese con un taccuino in mano, e poi di nuovo di nascosto al cimitero, da solo, scegliendo così i miei futuri posti di scrittura: la solitudine (la mia stanza), e i cimiteri. Ho dunque incominciato con impeto a scrivere il manoscritto embrionale che si chiamava “Sicilia mestruata” così battezzato dal mio maestro nonché grande sostenitore e amico Antonio Moresco.
Prima non avevo mai scritto seriamente, prima leggevo da impazzato Kafka, Dostoevskij, Borges, Bulgakov, Faulkner, McCarthy, Burroughs, Bufalino, D’Arrigo, e i gotici classici quali Hoffmann, Nodier, Meyrink, Poe, Stoker, e altri mentori di letteratura.
Il secondo elemento: la Statua Leggi tutto…