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MARCO GHIZZONI racconta I PECCATI DELLA BOCCIOFILA

Marco GhizzoniMARCO GHIZZONI ci racconta il suo romanzo I PECCATI DELLA BOCCIOFILA (Guanda). A seguire, le prime pagine del libro.

di Marco Ghizzoni

La storia narrata ne I PECCATI DELLA BOCCIOFILA, secondo e non ultimo episodio della serie di Boscobasso, non poteva che scaturire direttamente dai pensieri del protagonista assoluto del primo romanzo, quel maresciallo Nitto Bellomo che dà appunto il titolo a IL CAPPELLO DEL MARESCIALLO. Già scoglionato di suo, e assai provato dalla dipartita dell’Edwige, sente odore di guai fin da quando lui e i suoi uomini vengono ingaggiati per il servizio d’ordine durante l’inaugurazione del nuovo bocciodromo comunale con bar annesso dato in gestione nientepopodimeno che a una brasiliana. Sposata, certo, ma sempre di brasiliana si tratta, con tutto ciò che tale mitologica figura rappresenta nell’immaginario collettivo maschile.
Tutto lì da vedere, del resto, a partire dall’attesa carica di aspettative che ne scaturisce fino al pienone che saluta l’arrivo del sindaco Ferraroni e del suo fido braccio destro don Fausto, a cui va il merito- per alcuni il demerito- della creazione di una bocciofila in grado di gareggiare nel torneo provinciale di bocce.
L’Alma Mater, questo l’altisonante nome assegnato alla squadra, capitanata dall’abilissimo bocciatore nonché crapulone Dermille Valcarenghi- 73 anni di bagordi e non sentirli- può seriamente puntare alla vittoria che significherebbe portare parroco e primo cittadino agli onori della cronaca e negli annali di Boscobasso.
Peccato che il maresciallo Bellomo non si sbaglia, e, una scazzottata, un avvelenamento, un caso di scomparsa e un’indagine che non s’ha da fare metteranno i bastoni tra le ruote alla neonata attrazione di Boscobasso.

In un’estate calda e appiccicosa come solo la bassa padana può regalarci- e ve lo dice uno che in quella stagione preferirebbe andare in letargo- le passioni si incendiano e si intrecciano ad adulteri reali e presunti, maldicenze e drammi della gelosia, invidie ed equivoci, fino a sfiorare la tragedia vera che non risparmia nessuno.

Nulla di autobiografico, ma niente di più vero. Perché si sa che il vizio è donna e la carne è debole: soprattutto laddove il primo manca e la seconda comincia a cedere inesorabilmente alla forza di gravità.

(Riproduzione riservata)

© Marco Ghizzoni

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Le prime pagine di I PECCATI DELLA BOCCIOFILA di Marco Ghizzoni (Guanda)
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MARCO GHIZZONI ci racconta IL CAPPELLO DEL MARESCIALLO

Marco GhizzoniMARCO GHIZZONI ci racconta IL CAPPELLO DEL MARESCIALLO (Guanda). Ieri abbiamo pubblicato il primo capitolo del romanzo

di Marco Ghizzoni

Quando avevo 11 anni e mi apprestavo a godere una splendida e spensierata pubertà- seguita ad un’infanzia che definirei indimenticabile- mia madre e mia zia decisero di acquistare un bar in un piccolo paese della provincia cremonese. Manco a farlo apposta, alcuni miei compagni di classe, tra cui il mio migliore amico, abitavano proprio lì. Immaginatevi la gioia di un ragazzino di quell’età nel sapere che tutti i giorni avrebbe potuto scroccare un passaggio a sua mamma e farsi portare a qualche km da Cremona per passare il pomeriggio a giocare a calcio con i suoi amici!
E così ho iniziato a frequentare il paesello, a fare i primi incontri curiosi e a sentire e vivere quelle storie al limite del verosimile che hanno sempre- e continuano a tutt’oggi- attirato la mia attenzione.
Dopo un decennio o giù di lì, quelle storie hanno cominciato a bussare alle mie tempie, prima, e a spingere prepotentemente poi, per poter uscire e vivere di vita propria. Così ho iniziato a scrivere, tanto, fino a quando la materia narrativa nella mia testa ha trovato il giusto equilibrio; i personaggi, invece, non hanno fatto altro che palesarsi per quello che erano, nel senso che non potevo non pensare a loro senza dargli un viso, un nome e un cognome. Il mio lavoro è stato quello di fare un collage per mischiare le carte ed evitare problemi di ovvia natura.
Per esempio, non esiste un maresciallo Bellomo, ma esistono almeno tre persone che messe insieme formano il suddetto maresciallo; e lo stesso dicasi per gli altri due carabinieri, per il sindaco e per tutti gli altri personaggi principali fatto salvo per l’impiegata comunale Gigliola Bittanti: lei c’è davvero e mi ha pure fatto dannare quando ho avuto bisogno dei suoi servigi. Eh, non fraintendetemi, parlo di servigi professionali.
Chi merita una menzione particolare è l’oste Raffaele: si tratta di un omaggio alla cucina di mia madre- non alla sua persona- ripeto, alla sua cucina. Le ricette che trovate nel romanzo sono tutte opera sua e ho tralasciato, per mancanza di spazio, quelle che si inventava all’una di notte quando i ragazzi entravano al bar con una fame da lupi senza preavviso e lei doveva fare i conti con le loro voglie e la mancanza di materie prime!
Il burbero personaggio, invece, l’ho ricavato ribaltando esattamente quello che è il carattere della mia genitrice. Leggi tutto…

IL CAPPELLO DEL MARESCIALLO, di Marco Ghizzoni (il 1° cap. del libro)

Il cappello del marescialloPubblichiamo il primo capitolo del romanzo IL CAPPELLO DEL MARESCIALLO, di Marco Ghizzoni (edito da Guanda). Domani, Marco Ghizzoni ci racconterà qualcosa su questo suo romanzo.

Il libro
Boscobasso, succulento borgo in provincia di Cremona, è in subbuglio. Non solo il liutaio Arcari è stato trovato morto in circostanze imbarazzanti, ma pare che la sua perfetta mogliettina si sia messa a intrallazzare col becchino, mentre l’ex sindaco è «fuggito» dalla sua tomba: è troppo persino per il maresciallo Bellomo e per i suoi due obbedienti sottoposti. Nel breve volgere di due giorni, mezzo paese viene preso dalla febbre dell’intrigo, che non risparmia nessuno: dalla segretaria comunale Gigliola, zelante in tutto tranne che nel lavoro, al ruvido macellaio milanista Primo Ruggeri, per non parlare della bella barista Elena, contesa tra due uomini e ben decisa a conquistarne un terzo. L’indagine si complica, finché il maresciallo perderà, se non la testa, perlomeno il cappello…
Una commedia degli equivoci sul filo del giallo che mette in scena con gusto la provincia italiana, i suoi caratteri, la sua allegria e i suoi misteri, in un intreccio che coinvolge e trascina come una sarabanda.

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Il primo capitolo de IL CAPPELLO DEL MARESCIALLO, di Marco Ghizzoni

Il becchino comunale Luigi « Bigio » Bertoletti non poteva credere ai suoi occhi: dopo aver messo sotto terra metà dei suoi amici di infanzia – e sì che aveva passato di poco le sessanta primavere – quella mattina di un lunedì di autunno incipiente si trovò davanti il cadavere del liutaio Antonio Arcari, sdraiato sul tavolo dell’agenzia di pompe funebri di suo cognato.
Avrebbe voluto esultare, ma si contenne e si fece un caffè.
Era lì per ricevere alcune indicazioni in merito alla sepoltura e per dare una mano all’anaffettivo parente che sarebbe potuto arrivare da un momento all’altro. Meglio darsi un contegno, poi, una volta solo, avrebbe potuto urlare a perdifiato.
Davanti a lui si apriva uno scenario di conquista insperato che gli dipinse in volto un’espressione nuova, cosa che non sfuggì al marito di sua sorella, Arturo Morselli, titolare dell’omonima agenzia funebre, che proprio allora entrò in ufficio portandosi dietro una nuvola di umidità e la sua inseparabile ventiquattrore di pelle nera consunta.
Morselli stava quasi per chiedere al cognato cosa avesse da essere così felice ma cambiò subito idea, non era nella sua natura interessarsi agli altri. Non ai vivi, almeno.
Antonio Arcari era uno dei più rinomati liutai di Cremona, trasferitosi nel piccolo paese di Boscobasso – a sud della città – per motivi di cuore e di portafoglio. Sua moglie, infatti, l’affascinante Edwige Dalmasso – pronunciato all’italiana – qui era nata e cresciuta, benché i suoi genitori fossero piemontesi e i suoi nonni, si vociferava, venissero addirittura dalla Sicilia. Lei negava risolutamente e attribuiva quella desinenza tutta meridionale del suo cognome alla storpiatura di un fantomatico cognome francese proveniente dalla vicina Valle d’Aosta.
I due si erano conosciuti a un’esposizione liutaria in occasione del duecentocinquantesimo anniversario della morte di Stradivari, quando l’Arcari aveva ancora la bottega in città e il Comune lo vessava con tasse e imposte che lui cercava di eludere con stratagemmi del tutto originali e, bisogna ammetterlo, pure efficaci.
Lei, l’Edwige, era lì come madrina dell’evento in virtù della sua prorompente bellezza mediterranea e della sua relazione non tanto nascosta con l’assessore Mandelli, cremonese doc, sposato e con prole come ogni politico che si rispetti, uomo dalla spiccata generosità e con un debole per le donne, per quel tipo di donne.
Quando la vide sul palchetto allestito nel cortile Federico II, in mezzo a due gigantografie del sommo maestro, Arcari perse letteralmente la testa. Scoperto dove abitava, il giorno dopo era già fuori da casa sua con un mazzo di fiori e un invito per il concerto di Natale al teatro Ponchielli che si sarebbe tenuto la sera della Vigilia, di lì a cinque giorni.
Nel giro di un mese o poco più, l’assessore era già stato scaricato e i due erano convolati a nozze, con somma gioia dei genitori di Edwige che vedevano nell’Arcari un buon partito per la figlia. Leggi tutto…