SE POTESSI TORNARE INDIETRO (intervista a Marc Levy sul nuovo romanzo pubblicato in Italia da Rizzoli)
di Francesco Musolino
Con oltre 28 milioni di copie vendute nel mondo, Marc Levy è lo scrittore francese contemporaneo più letto al mondo. Ha dedicato tutta la sua vita alla scrittura eppure per diversi anni ha diretto uno studio di architettura fra Parigi e New York, oltre ad aver lavorato per la Croce Rossa e Amnesty International. Il suo romanzo d’esordio, “Se solo fosse vero” (pubblicato in Francia nel 2000), è stato tradotto in 42 lingue, un sorprendente risultato peraltro costante nel tempo, grazie alla cura con cui costruisce le trame e i personaggi, partendo da un severo lavoro di documentazione. Nel suo ultimo romanzo “Se potessi tornare indietro” (Rizzoli, pp. 324 €18), porta in pagina Andrew Stilman, reporter del New York Times, con una grande passione per il proprio lavoro; ma sarà proprio la sua dedizione nella ricerca della verità a condurlo in una spinosa indagine sul traffico degli orfani cinesi negli States prima, e sul dramma dei desaparecidos argentini poi. Dei suoi tredici romanzi (ricordiamo il successo de “I figli della libertà” e “Quello che non ci siamo detti” sempre editi da Rizzoli) quest’ultimo ha la più forte costruzione thrilleristica, firmando una trama che sembra offrire al protagonista una seconda chance per tornare indietro e salvarsi la vita. Una chance di cui tutti, ad un certo punto nella nostra vita, avremmo voluto usufruire.
Monsieur Levy, com’è nato “Se potessi tornare indietro”?
«L’idea per questo libro è sbocciata mentre stavo guardando un documentario su un giornalista del New York Times. Pur non avendolo mai incontrato, sentivo già una sorta di complicità con lui. Mi ha commosso l’umanità e la completezza che quest’uomo comunicava: era diventato un alcolizzato ma era stato salvato dalla sua passione, dalla sua dedizione per il lavoro. L’etica giornalistica gli ha dato la forza di combattere la sua dipendenza e di sconfiggerla. Proprio questo è il punto di partenza per creare il personaggio di Andrew Stilman. Per quanto riguarda la storia in sé, avevo letto un articolo sul traffico di bambini in Cina e ho deciso che volevo scrivere un intrigo in cui i personaggi avrebbero avuto la possibilità di evolversi rapidamente, in una trama che sotto certi aspetti può apparire sconcertante. E, ultimo ma non meno importante, si tratta di un romanzo su una seconda possibilità…».
In tutti i suoi romanzi, lei spazia fra diversi registri stilistici. In particolare qui ci troviamo fra un libro d’avventura, un thriller e una commedia romantica. È stato arduo trovare l’equilibrio in pagina?
«Amo tutti i tipi di generi letterari, del resto la lista delle mie letture è davvero eclettica. E lo stesso vale per la scrittura, un territorio senza limiti. Ho spesso cambiato genere, passando da commedie romantiche a romanzi d’avventura, ma a volte mi piace mescolare i generi all’interno di un unico libro. Non ho nessuna intenzione di annoiarmi o, peggio, di stancare i miei lettori scrivendo e riscrivendo la stessa storia più e più volte, diciamo che continuo ad esplorare nuovi orizzonti narrativi. Rispetto agli altri, questo libro ha una componente thrilleristica più forte che mi ha davvero coinvolto durante il processo di scrittura. Ma in tutti i miei tredici romanzi sono i personaggi – le loro vite, i loro amori e la ricerca di un’identità – ad essere al centro di tutto e per ciascun titolo ho cercato la “voce” più adatta per narrarli».
Saranno proprio le indagini condotte, le verità rivelate, a segnare il destino di Andrew. A suo avviso un giornalista deve perseverare nella ricerca della verità ad ogni costo, senza aver remore di nessun tipo?
«Per essere onesto, penso che sia difficile rispondere categoricamente a questa domanda. Da un punto di vista giornalistico, sì, la ricerca della verità è il cuore della professione. Ma non bisogna dimenticare che la realtà può comportare conseguenze e danni collaterali. Ad esempio, prenda il caso del traffico di bambini in Cina. I bambini cinesi venivano rapiti in modo che le famiglie americane potessero adottarli. Ovviamente è uno scandalo orribile che doveva essere rivelato al mondo in modo che i responsabili fossero arrestati e le famiglie cinesi potessero riavere i propri figli. Ma che dire di quelle famiglie americane che pensavano di adottare un orfano legalmente? Li hanno amati e cresciuti come fossero figli propri, sinché un giorno gliel’hanno portati via. Come si saranno sentiti? Per non parlare del trauma subito dagli stessi bambini…».
In un dialogo molto interessante, un suo personaggio afferma: “La democrazia è fragile”. Lo pensa anche lei?
Leggi tutto…