DEMETRIO PAOLIN racconta CONFORME ALLA GLORIA (Voland) – tra i dodici libri candidati al Premio Strega 2016
Un estratto del libro è disponibile qui

di Demetrio Paolin
Raccontare la genesi di Conforme alla gloria (Voland) è una cosa un po’ più complicata di quanto s’immagini, perché implica raccontare la genesi di me come autore, come critico e come studioso. Un’opera di finzione come questo romanzo ha a che fare, infatti, con una serie incredibile di stratificazioni, medesime alle pareti di una grotta, che indicano le diverse ere e momenti in cui si è andata formando.
La prima cosa che colpisce, quando racconto il lavoro intorno al testo, è la lunga gestazione della scrittura: 8 anni.
Io di mestiere non sono uno scrittore. I miei rapporti con l’editoria o i giornali sono sporadici. Io nella vita lavoro, tutti i pomeriggi dal lunedì al venerdì, presso una onlus, che si occupa di integrazione e aiuto verso gli stranieri. Detto altrimenti ho, dal lunedì al venerdì, le mattine libere. La mia scrittura, quindi, è legata al mattino, alla chiarezza dei giorni estivi o primaverili, alla penombra delle giornate autunnali e invernali.
Sto seduto al mio pc, come ora che scrivo questo e sono le ore 11.03 di un giorno qualunque, con davanti niente altro che uno specchio messo troppo in alto per riflettermi. La scrittura di Conforme alla gloria è avvenuta in questo modo, ogni giorno due o tre ore al massimo di scrittura e ri-scrittura; di studio delle fonti, di lavoro sugli archivi audio e video, di chiacchiere con gli amici che ne sapevano più di me. Non c’è nulla nel mio scrivere riconducibile a categorie quali “notturno, umbratile”, il mio atto creativo, se così si può dire, non è affetto da quel bukowskismo e maledettismo da tre soldi.
Io non scrivo di notte, non sono posseduto da una qualche forma di divina mania, di follia, ma molto semplicemente la mattina apro il pc e scrivo quello che devo (come è successo con questo pezzo: mi è stato chiesto di scrivere della genesi del romanzo e lo sto facendo). Io mi sento tipo un elettricista e quindi giudico il mio testo non dalla sua effettiva bellezza sulla pagina, ma dal suo “funzionare”: se l’immagine che volevo comunicare arriva al lettore allora sono soddisfatto altrimenti butto via.
Questa tensione alla “funzionalità” della pagina scritta è stata ancora più necessaria per questo romanzo. Infatti mi trovavo nella condizione di dover rendere comprensibile e comunicabile un sentimento come quello del male di sopravvivere molto complesso e che si prestava a derive estetizzanti che non volevo assolutamente perseguire. Leggi tutto…