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COSA SIGNIFICA ESSERE UMANI? di Vittorio Gallese e Ugo Morelli (Raffaello Cortina)

Maggio 20, 2024

Cosa significa essere umani? Corpo, cervello e relazione per vivere nel presente - Vittorio Gallese,Ugo Morelli - copertina“Cosa significa essere umani? Corpo, cervello e relazione per vivere nel presente” di Vittorio Gallese e Ugo Morelli (Raffaello Cortina Editore)

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È tutta una questione di “risonanza”. Su un trattato indispensabile, ovvero il libro di Vittorio Gallese e Ugo Morelli dal titolo “Cosa significa essere umani? Corpo, cervello e relazione per vivere nel presente” (Milano, Raffaello Cortina, 2024).

di Grazia Pulvirenti

“Scienza, arte e poesia sono manifestazioni della nostra insopprimibile volontà di scoprire il senso delle cose” (p. 14). Intorno alla domanda sul “senso delle cose” vorticano le pagine di questo libro che non esito a definire straordinario. Un libro che pone interrogativi. Fra i più scottanti, primo fra tutti la ricerca di senso al nostro essere su questa terra.
L’interrogativo su ciò che ci distingue in quanto esseri umani è forse il fil rouge più intricato e fragile del pensiero filosofico e della ricerca scientifica. E, in queste preziose pagine, l’interrogazione teoretica, filosofica e antropologica, s’incontra con la disamina di dati sperimentali emersi da decenni di studi neuroscientifici sul nostro essere un’unità corpo-mente: all’interno di essa, il corpo non è tramite di speculazioni celebrali, ma è il motore da cui parte e a cui ritorna ogni nostra più sofisticata elucubrazione. Integrando a tali prospettive una visione neurofenomenologica, “capace di tenere insieme cervello, corpo ed esperienza” (p. 21), la dimensione dialogica di questo libro assurge a vero e proprio viatico a una nuova consapevolezza della vivibilità su questo pianeta e nella nostra epoca. Il tutto in quella chiarezza adamantina della scrittura, che è solo dei grandi pensatori e scienziati. In questo caso il neuroscienziato Vittorio Gallese e lo psicologo e studioso di scienze cognitive “applicate alla vivibilità” Ugo Morelli.
Il libro principia il suo iter con uno scardinamento di paradigmi considerati nel passato come fondamenti euristici incontrovertibili, ovvero quelli incentrati sulla contrapposizione mente/corpo, natura/cultura, ragione/sentimento e, soprattutto, io/noi. Su questo orizzonte si profila un innovativo e affascinante concetto di mente, intesa come fenomeno emergente e biologicamente fondato: se alla mente raziocinante erano state attribuite in passato facoltà analitiche e dissociative, che hanno creato antitesi, e contrapposizioni, alla mente incarnata e condizionata in termini emotivi, vengono riconosciute le abilità di individuare la centralità della “relazione” e dei legami intersoggettivi.
Da ciò deriva la proposta ermeneutica di un nuovo concetto di Io, che viene qui radicalmente ridefinito: alla centralità della soggettività, epistemologicamente postulata dal pensiero occidentale, si contrappone il concetto di “relazione”, la “dimensione del noi” (p. 10), l’unica nella quale può veramente esistere e configurarsi l’Io. Il superamento della visione tradizionale dell’Io avviene soprattutto in relazione all’esplicazione del nucleo euristico dell’intersoggettività.
A sua volta il principio di intersoggettività emerge dalla indagine della motricità e del suo fondamentale ruolo non solo nella interazione con gli altri, con lo spazio circostante, l’ambiente, ma anche nell’acquisizione di esperienza e conoscenza, intesa come azione che si attua nello “sviluppare e accrescere le proprie potenzialità di relazione con il mondo” (p. 103).
La conoscenza, quindi, è radicata nella dimensione motoria del nostro corpo, ovvero nel movimento e nell’azione, sin dall’insorgere dell’attività percettiva, che della conoscenza è parte attiva e co-determinante. Molteplici esperimenti hanno dimostrato che insieme a ogni tipo di percezione – acustica, visiva, tattile, olfattiva – si innesca una concomitante attivazione delle aree cerebrali senso-motorie.  La percezione è quindi considerata come “multimodale” e “multisensoriale”. Tale visione implica che esperire è un’attività connessa alla capacità mimetica di interagire a livello percettivo con lo spazio che ci circonda in base alle caratteristiche fisiche dello spazio, degli oggetti e alle affordance che essi pongono. Vedere un oggetto, con il quale vogliamo interagire, significa in primo luogo “evocare lo schema motorio” che ci consente quella specifica interazione. Il che vale anche per la nostra interazione con gli altri in quello spazio che viene definito “noi-centrico”. Da un punto di vista puramente neuroscientifico, a ciò sottende il fenomeno dei neuroni specchio, di cui Gallese fu uno degli scopritori. Sulla base della nostra capacità senso-motoria siamo in grado di “mappare in un modo molto particolare l’agire altrui” (p. 33). Tale azione ci consente di accedere non solo ad azioni dirette, ma anche alla simulazione di azioni altrui e a quelle forme che variano dalla empatia alla simpatia con gli altri, ovvero dalla capacità di comprendere le intenzioni e le motivazioni della mimica e dei movimenti, alla com-passione nei confronti di emozioni e stati d’animo, sempre letti in base al processo innescato dal sistema specchio, specifico per ogni specie. Tale “risonanza” motoria non è solamente di natura biologica, ma è anche fortemente influenzata da fattori sociali, culturali, e individuali, come pure da una vasta gamma di variabili individuali che modulano differenti strategie di interazione e di comportamento. Ciò si attua a partire dalla comune base di quel fenomeno che Gallese ha definito e indaga da anni, ovvero la simulazione incarnata. Essa si basa sulla condivisione e il riuso di un comune vocabolario motorio (p. 79), dal momento che è il nostro corpo a essere agente produttore di senso in quanto produttore attuale o potenziale di movimento (p. 32)

Fino a questo punto abbiamo tentato di sintetizzare alcuni degli spunti di questo trattato da un punto di vista del discorso biologico. Ma questa prospettiva non preclude l’inclusione di altre, quali, in primo luogo, la dimensione storica della evoluzione umana. Essa viene in un certo senso ri-significata a partire da una proficua naturalizzazione di fenomeni erroneamente ritenuti come irrelati con essa, ovvero la scaturigine corporea della stessa capacità simbolica dell’essere umano: attraverso tale abilità, l’uomo diventa essere creativo, in grado di inventare possibili alternative allo status quo e di progettare diverse forme di vita rispetto a quelle conosciute. Nel bene, ma anche nel male, ovvero anche nella distruttività “intraspecifica” (p. 41).
Nel primo caso, è in gioco proprio la nostra capacità tutta corporea di risonare con il bello, ovvero ciò che “ci estende e conduce alla possibilità di trascenderci e produrre l’inedito in ogni campo e in particolare nella creatività, nell’arte e nella cultura” (p. 14).  Creatività, arte e cultura emergono nel momento in cui, 75.000 anni addietro, una nostra ava, o un nostro avo, di epoca paleolitica trasformarono un oggetto in un utensile decorato, al fine implicito di comunicare qualcosa a qualcuno e “condividere un significato all’interno di un gruppo sociale” (p. 51). Ciò presume la messa in atto di una relazione tra il compiere un’azione e il lasciare il segno di tale azione corporea (p.  52) che viene poi ripetuta in maniera rituale dall’essere simbolico.
Strumento indispensabile della nostra natura simbolica è il linguaggio: radicato nella corporeità, ci consente la manifestazione delle facoltà meta-cognitive, ovvero riflessive su ciò che noi siamo, abbiamo, non siamo e non abbiamo, dando vita alle molteplici narrazioni dell’Io. Cito un illuminante brano:

“Il punto è che noi umani siamo un corpo e contemporaneamente abbiamo un corpo: questo è in fondo il busillis da cui partire, perché l’animale non umano, per quanto ne sappiamo, è il suo corpo ma non sa di averlo. Il fatto di averlo significa che, come ce l’hai puoi non averlo e puoi perderlo con la morte. Non avere, quindi, è una specificazione che solo il linguaggio può fornire, e che consente di prendere le distanze da se stessi. È come guardarsi dal di fuori e questo ha a che fare soprattutto col narrarsi; la narrazione è uno dei modi per crearsi, uno dei modi per inventarsi, e per divenire se stessi definendo un rapporto stretto fra narrazione e individuazione. (p. 24)”.

È nella necessità di nominare un oggetto assente che i due studiosi individuano, in accordo con Giorgio Prodi, l’origine del linguaggio e la nascita della dimensione simbolica, ovvero di quella necessità di trasformare un’azione transeunte in qualcosa di permanente, in una visione rilkiana dell’esistenza. È nel linguaggio che ci riconosciamo “parti del tutto” (p. 13), parti di una totalità. Reinserendo euristicamente l’Io all’interno dell’ambiente naturale, lo studio dischiude un ulteriore orizzonte di riflessione: la necessità di mutare la nostra visione ecologica. È in tale prospettiva che si gioca la scommessa di utilizzare le risorse ambientali non più in maniera cieca, e pertanto primariamente distruttiva, ma alla luce della consapevolezza delle indispensabili condizioni di “vivibilità” dell’intero sistema vivente. Ciò richiede un mutato sentimento nei confronti dell’ambiente e quindi del paesaggio di cui siamo osservatori in quanto parte del sistema osservato. La conseguenza è un senso di reciprocità che si basa, ancora e sempre su un riscoperto principio di relazione:

“Il paesaggio si configura come lo spazio della nostra vita ed emerge al punto di connessione tra mondo interno e mondo esterno con la mediazione del movimento e della immaginazione. […] L’ambiente allora non è altro che le relazioni che noi attiviamo in un contesto, con gli altri e con il contesto, e quello che noi facciamo per costruire il nostro ecosistema (p. 116)”.

La manomissione dell’ecosistema, dal quale nel corso dei secoli ci siamo estraniati, è ciò che determina la nostra crescente vulnerabilità. E forse è proprio da questa riflessione che la specie umana può ripartire per una necessaria trasformazione della sua relazione con il paesaggio e con gli altri (p. 117).
Forse una via di salvezza esiste. E forse siamo ancora in tempo a percorrerla, ci esortano gli autori, se saremo in grado di rompere gli autoinganni all’interno dei quali, per comodità e abitudine, continuiamo a muoverci. E questo possiamo farlo attraverso l’immaginazione, l’arte e il perseguimento della bellezza, ovvero la cura della “risonanza tra noi e il mondo”.

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La scheda del libro: “Cosa significa essere umani? Corpo, cervello e relazione per vivere nel presente” di Vittorio Gallese e Ugo Morelli (Milano, Raffaello Cortina, 2024)

Cosa significa essere umani? Corpo, cervello e relazione per vivere nel presente - Vittorio Gallese,Ugo Morelli - copertina

Una rivoluzione della portata di quella copernicana è sotto i nostri occhi. Coinvolge ognuna e ognuno di noi e ridefinisce alla radice cosa siamo come esseri umani. Dal primato del soggetto scopriamo la centralità della relazione e che l'”io” che pensavamo di essere deriva dai “noi” di cui siamo parte; oltre la centralità della mente riconosciamo di essere un corpo; scopriamo l’origine della conoscenza nella nostra capacità di azione e movimento; ci accorgiamo che non siamo sopra le parti ma parti del tutto nei paesaggi della nostra vita; constatiamo che dietro ogni pensiero c’è un’emozione; scopriamo che l’empatia ci precede e ci contiene, nel bene e nel male, e che quella risonanza sottende le nostre possibilità di comprenderci, amarci, cooperare ma anche offenderci e farci del male; ci riconosciamo capaci di immaginazione e finzione e scopriamo incarnata e corporea la bellezza che ci conduce alla possibilità di creare l’inedito.
Un paradigma corporeo, basato sull’intersoggettività, si fa strada nella comprensione di noi stessi per una collocazione più appropriata della nostra presenza e una lettura più adeguata della nostra esperienza. I sentieri narrati nel dialogo da cui nasce questo piccolo libro si propongono come un agile vademecum per viandanti planetari quali noi siamo.

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Vittorio Gallese, uno dei più autorevoli neuroscienziati del nostro tempo, ha fatto parte del gruppo che nel 1992 ha individuato i “neuroni specchio”, la scoperta italiana più citata nella letteratura internazionale. Insegna Fisiologia all’Università di Parma e nel 2013 la Società psicoanalitica italiana gli ha assegnato il premio Musatti. Nelle nostre edizioni ha pubblicato La nascita della intersoggettività (con M. Ammaniti, 2014), Lo schermo empatico (con M. Guerra, 2015), e Cosa significa essere umani (con U. Morelli, 2024).
Ugo Morelli, saggista e psicologo italiano, studioso di scienze cognitive, ha insegnato Psicologia del lavoro presso l’Università degli Studi di Bergamo e attualmente insegna Scienze cognitive applicate presso l’Università Federico II di Napoli. Nelle nostre edizioni ha pubblicato Incertezza e organizzazione (2009), Contro l’indifferenza (2013), e Cosa significa essere umani (con V. Gallese, 2024).

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Tra le pieghe delle storie”:
Tra le pieghe delle storie, tra gli anfratti di ciò che in genere scompare, ma che è pregno di significato.
Rubrica a cura di Grazia Pulvirenti.

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