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Archive for the ‘Autoracconti d’Autore (gli autori raccontano i loro libri)’ Category

MILENA AGUS racconta NOTTE DI VENTO CHE PASSA (Mondadori)

Notte di vento che passa - Milena Agus - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: MILENA AGUS racconta il suo romanzo “Notte di vento che passa” (Mondadori)

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di Milena Agus

Alla domanda: come è nato Notte di vento che passa?
La mia prima risposta è che in realtà non volevo scrivere questo libro, perché vagheggiavo un romanzo impegnato, di denuncia, per superare il mio senso di colpa nei confronti del mondo così com’è e contribuire, almeno scrivendo, a cambiarlo.
Volevo scrivere di una Sardegna da cui i giovani se ne vanno, dei paesi che si svuotano, della cementificazione delle coste, delle servitù militari, dell’indipendentismo, dei problemi dei pastori, degli agricoltori, degli incendi, dei banditi, delle faide, degli industriali del latte… Non ci sono riuscita, dopo ben quattordici versioni in cui ci ho provato, perché di tutte le problematiche elencate il significato mi sfugge.
La mia seconda risposta, quella davvero sincera, è che invece volevo assolutamente scrivere questo libro, per aiutare me stessa, e i lettori eventualmente interessati, a capire la trama della propria vita il cui significato mi sfugge, e almeno scrivendo, metterne insieme i pezzi sparsi e dargli una forma. Leggi tutto…

CHIARA VALERIO racconta CHI DICE E CHI TACE (Sellerio)

Chi dice e chi tace - Chiara Valerio - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: CHIARA VALERIO racconta il suo romanzo “Chi dice e chi tace” (Sellerio)

Libro presentato da Matteo Motolese nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica al Premio Strega 2024.

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di Chiara Valerio

Ammesso che questo non sia solo un altro racconto e valga la pena fare la differenza tra fatti e rappresentazioni, il personaggio di Vittoria, che sta saldamente al centro di Chi dice e chi tace (Sellerio, 2024), nasce quando Mina Monroy, in Così per sempre (Einaudi, 2022) decide che non vedrà mai più la signora-della-gondola, nonostante la-signora-della-gondola le abbia restituito la sensualità di tutto il corpo e non solo dei denti. Mina è un vampiro infatti e Così per sempre racconta la storia d’amore infinita tra il Conte Dracula e Mina.

Sulla pelle della signora della gondola Mina scorgeva il senno, la ragionevolezza e la ragione di molti, e forse anche la propria. Cosí aveva avvicinato la bocca a quel bianco, affilato i denti e morso. Le teneva una mano dietro al collo e un’altra intorno alla vita. L’idea di tenerle la vita l’aveva entusiasmata e l’entusiasmo le aveva svegliato la fame cosí aveva succhiato piú forte. La donna aveva cominciato a tremare, il fiato le si era fatto spesso, e aveva chiuso gli occhi. Mina aveva fatto salire la mano dalla vita al seno che riempiva e svuotava il corsetto al ritmo sempre piú sostenuto del respiro e forse avrebbe fatto saltare i lacci che lo stringevano e mugolavano come cime di bar che ormeggiate. Leggi tutto…

MELISSA PANARELLO racconta STORIA DEI MIEI SOLDI (Bompiani)

Storia dei miei soldi - Melissa Panarello - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: MELISSA PANARELLO racconta il suo romanzo “Storia dei miei soldi” (Bompiani)

Libro presentato da Nadia Terranova nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica al Premio Strega 2024.

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di Melissa Panarello

Tutti i miei romanzi sono nati di notte. Sono perciò romanzi notturni, ambientati in interni, che parlano di un mondo in cui non si conosce né si vede il sole, se non rare volte dalla finestra. Sono romanzi intimi.

Poi è nato Storia dei miei soldi, un romanzo che comincia con una scena in pieno centro, a Roma, di giorno, in un inizio primavera, le cui vicende accadono soprattutto di mattina e dove i soldi, le monete, sembrano esse stesse splendenti soli. Il paradosso è che di questo romanzo diurno io non ricordo la nascita, come se fosse avvenuta in sogno. E invece è più verosimile che sia nato in una lunghissima gestazione, non di mesi e neppure di anni, ma di interi decenni. Una cosa così antica che mi riesce difficile rintracciare il seme e il giorno in cui è stato piantato. Forse la domanda da cui tutto è nato è a sua volta stata sollevata da un’altra domanda che mi sono sentita fare sempre, da ragazzina, quando appena maggiorenne incontravo un successo eccezionale con un libro che mi ha dato fama ma non necessariamente buona reputazione. Un libro che di certo mi ha dato soldi, molti soldi, come accade a tutti i libri bestseller. Leggi tutto…

VITTORIO GIACOPINI racconta L’ORIZZONTE DEGLI EVENTI (Mondadori)

L'orizzonte degli eventi - Vittorio Giacopini - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: VITTORIO GIACOPINI racconta il suo romanzo “L’orizzonte degli eventi” (Mondadori)

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di Vittorio Giacopini

Lo zingaro che mi appare in sogno ha gli occhi azzurri. E l’Io che dice Io, non sono Io. Come ‘contributo alla spiegazione di me stesso’ potrebbe anche bastare. Immagino che alla favoletta dello scrittore che un bel giorno si sveglia con il fuoco sacro dell’ispirato, o con l’illuminazione mistica di uno che a un tratto scorge un volto, un’immagine, un oggetto-simbolo e poi ti spiattella candidamente un haiku-formuletta del tipo: “e da quel momento il libro ha preso forma”, non creda più nessuno (o almeno lo spero). Come è nato, allora, questo romanzo-pamphlet (la definizione non è mia, ma mi piace molto), da cosa è nato? Voglio essere molto esplicito: L’orizzonte degli eventi è figlio di un’insofferenza che ho voluto trasformare in livore razionale, in sarcasmo ‘intelligente’.

Si vive e si scrive nel tempo, dentro i giorni e la Storia, e a un tratto, il tempo, la Storia, e le ore e i giorni della nostra vita si fanno stranamente irreali, proprio paradossali. Il romanzo – è evidente – nasce dentro il clima della pandemia (una ‘prima’ assoluta), e i suoi troppi conformismi, le sue nuove obbedienze. L’Io che dice Io e questo carognone di zingaro trasformista parlano di questo; qualche volta si trovano, più che altro si scontrano. La paura, il terrore del contagio, il rifugio claustrale negli schemi del lockdown, una sorta di guerra mondiale senza un vero nemico ma con regole uniche, slogan a presa rapida, asfissiante retorica, stucchevoli formulette apotropaiche tipo #andrà tutto bene, #torneremo a abbracciarci. Leggi tutto…

LAURA PUGNO racconta NOI SENZA MONDO (Marsilio)

Noi senza mondo - Laura Pugno - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: LAURA PUGNO racconta il suo romanzo “Noi senza mondo” (Marsilio)

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di Laura Pugno

Noi senza mondo (Marsilio) nasce a più riprese, nasce molte volte, prima come saggio e poi come romanzo-saggio. Lo spunto iniziale del libro emerge quando prende il via, in casa editrice, nel 2018, la collana Passaparola curata da Chiara Valerio, allora da poco diventata responsabile della narrativa italiana, in cui scrittori e scrittrici raccontano di sé e del mondo a partire da un libro. Mi viene l’idea di partecipare all’impresa, magari con Norwegian Wood/Tokyo Blues di Murakami Haruki, appassionata lettura dei vent’anni. Ma dopo qualche mese, diventa evidente che il focus della collana si sta spostando sui classici.
A dicembre di quell’anno, da Madrid dove vivo, vengo a Roma per Più Libri Più Libri e incontro di nuovo Chiara. In un caffè al bar della Nuvola mi chiede quale possa essere il classico di cui io voglia scrivere. Rispondo di getto L’ultimo dei Mohicani. E passo gli anni successivi a chiedermi il perché. Spesso l’agenzia interiore della scrittura in noi conosce cose che in fondo sappiamo senza saperle.
Chiarisco da subito un potenziale equivoco: non si tratta, per me, di un livre de chevet o di un libro-bussola della mia vita. Neanche di un romanzo dalle eccelse qualità letterarie, tutto il contrario. Di quello di cui invece si tratta è di un documento, una scatola nera che già ci parla dell’Antropocene quando l’Antropocene non è ancora iniziato, o forse invece ci accompagna – l’Antropocene –  dai tempi del Neolitico, dall’invenzione dell’agrilogistica di cui ci parla nei suoi saggi Timothy Morton. Leggi tutto…

DONATELLA DI PIETRANTONIO racconta L’ETÀ FRAGILE (Einaudi)

L'età fragile - Donatella Di Pietrantonio - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: DONATELLA DI PIETRANTONIO racconta il suo romanzo “L’età fragile” (Einaudi)

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di Donatella Di Pietrantonio

Non riesco a ricordarmelo. Per quanto mi sforzi non riesco proprio a ricostruire dov’ero e cosa stavo facendo, quel giorno. Eppure di solito lego sempre nella memoria i grandi episodi di cronaca del Paese alla mia vita quotidiana. Ero al telefono con un’amica aquilana quando arrivò la notizia della strage di Capaci, so ancora di chi e cosa parlavamo, quando lei che aveva la televisione accesa s’interruppe e disse: oddio.
Invece di quel 20 agosto del 1997 non so niente di me. Com’è possibile? Eppure la Maiella posso vederla dalla finestra, nelle giornate limpide. La montagna sacra, disseminata di eremi. Com’è possibile che io non abbia conservato la mia posizione fisica ed emotiva in quel giorno atroce? Forse, mi giustifico, ero lontana, in viaggio, in vacanza a fine estate. O forse, come tanti qui, non ci potevo credere. Che tutto quell’orrore fosse successo proprio da noi. A noi. Due ragazze uccise nei nostri boschi, durante una passeggiata lungo il Sentiero delle Signore. Una terza scampata solo grazie alla sua assoluta determinazione a sopravvivere.
Sono stata per tutti questi anni parte di un rimosso collettivo. Non ci potevamo credere, tutti. Quello che era accaduto confliggeva con la nostra narrazione del luogo di nascita e di restanza. Un posto dove anche oggi ci manca tanto, un posto che in pochi sanno dov’è, ma noi sì, e in fondo ci piace questa lontananza, questo isolamento nella bellezza, nel verde, nel silenzio. L’aria pura, il cibo che viene dalla terra, la certezza che non ci possa accadere niente di male. E invece quelle morti, il sangue colato nell’erba, nella terra. Leggi tutto…

PAOLO COGNETTI racconta GIÙ NELLA VALLE (Einaudi)

Giù nella valle - Paolo Cognetti - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: PAOLO COGNETTI racconta il suo romanzo “Giù nella valle” (Einaudi)

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di Paolo Cognetti

Da anni volevo scrivere un libro tratto dal disco Nebraska di Bruce Springsteen. Non mi ricordo più nemmeno da quando: forse tre anni fa ho mandato a mio padre il video di My Father’s House, mentre da molto più tempo, a casa, io e Federica ci guardiamo quello di Highway Patrolman. In quel video ci sono immagini del primo film di Sean Penn, The Indian Runner, con un giovane Viggo Mortensen, Patricia Arquette e Valeria Golino. Il film di Penn è ispirato proprio alla canzone di Springsteen, che non fa da colonna sonora: è la sceneggiatura stessa. La title-track Nebraska, a sua volta, è ispirata a un film d’esordio, Badlands di Terrence Malick, tratto da una storia vera. Quella di due adolescenti che alla fine degli anni ’50 si danno a una fuga d’amore, e durante la fuga il ragazzo uccide 10 uomini a partire dal padre di lei. Insieme una love-story, un on the road e un horror. Insomma il disco ha radici e ramificazioni nella storia e nell’arte americane, da cui io come narratore provengo. E se un fatto ispira un film, un film ispira una canzone, una canzone ispira un altro film, perché non provare a scriverci un romanzo? Avevo in mente il modello altissimo di Non al denaro né all’amore né al cielo di Fabrizio De André (i modelli è sempre meglio sceglierseli altissimi, non ci vuole la modestia nell’arte), tratto dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Quell’album mi rassicurava sul fatto che il romanzo non sarebbe sembrato un’americanata: il disco di André è puro De André, secondo Fernanda Pivano perfino superiore alle poesie originali. E il mio romanzo sarebbe stato un romanzo italiano, mio, ambientato sulle Alpi. Però ci ho messo comunque un po’ di anni a maturare l’idea. Leggi tutto…

ANDREA FREDIANI racconta NAPOLEONE (Newton Compton)

Napoleone - Andrea Frediani - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: ANDREA FREDIANI racconta il suo romanzo “Napoleone” (Newton Compton Editori)

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di Andrea Frediani

Intrufolarsi nella mente di un genio, e cercare di capire se meriti di più l’appellativo di “genio del male”, o di “più grande condottiero della storia”, oppure di “primo riformatore d’Europa” è una sfida avvincente per un romanziere. Napoleone ci ha lasciato più scritti di qualunque altro conquistatore, dalle sue lettere al Memoriale di Sant’Elena redatto dal suo segretario, dai bollettini della sua Grande Armata alle disposizioni consolari e imperiali, rivestendo in essi una molteplicità di ruoli: sposo, padre, fratello, figlio, comandante, generale, console, imperatore, personaggio di successo, uomo sconfitto, legislatore… Ma possiamo dire di conoscerlo davvero? Di conoscere i suoi pensieri più reconditi, non legati alle necessità e agli impulsi del momento, alla ragion di stato, alla diplomazia, alla politica, all’opportunismo?
Napoleone che parla con sé stesso, senza rendere conto a nessuno dei propri pensieri; non una vera e propria autobiografia, di quei libri di memorie che si redigono a posteriori, soprattutto per giustificare il proprio operato agli occhi dei posteri, come hanno fatto tanti personaggi di primo piano della storia; no, bensì un vero e proprio dialogo interiore, sulla scorta di ciò che escogitò Marguerite Yourcenar col suo “Memorie di Adriano”, in una versione, però, più popolare. Leggi tutto…

LISA GINZBURG racconta UNA PIUMA NASCOSTA (Rizzoli)

Una piuma nascosta - Lisa Ginzburg - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: LISA GINZBURG racconta il suo romanzo “Una piuma nascosta” (Rizzoli)

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di Lisa Ginzburg

Avevo visto un disegno raffigurante una donna bionda, gli occhi tenuti chiusi con ostinazione, occhi sapienti. Occhi disegnati come due tratti scuri, vergati sul foglio, che in modo misterioso subito mi avevano parlato, tanto. In modo improvviso e inaspettato, l’immagine di quel volto di donna ha preso a rincorrermi. Tornava, ritornava, guardavo e riguardavo il disegno (che nel frattempo mi era stato regalato dal suo autore), finché non ho sentito e capito che ero pronta per dar voce a quella figura che tanto mi interpellava.
Il personaggio di Rosa Ossoni, la protagonista di Una piuma nascosta, è nato così. Nato allora, dalla visione di quel disegno, dal desiderio di far parlare quella ragazza bionda del ritratto. Dietro i suoi occhi chiusi l’ho immaginata silenziosa, molto ricettiva, con una sensibilità acuta e una propensione verso gli altri, ma al tempo stesso anche una giovane donna solitaria, capace di silenzio e di un tempo tutto suo, immerso nello spazio della Natura, scandito dai ritmi di alberi, cieli, lunazioni. Leggi tutto…

ROBERTO COTRONEO racconta LA CERIMONIA DELL’ADDIO (Mondadori)

La cerimonia dell'addio - Roberto Cotroneo - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: ROBERTO COTRONEO racconta il suo romanzo “La cerimonia dell’addio” (Mondadori)

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 di Roberto Cotroneo

Con il passare degli anni per gli scrittori le cose si fanno più difficili. La scrittura della giovinezza è più focalizzata, più nitida, ha bordi assai meno sfrangiati. I libri escono con la nitidezza che vuole un’età che spesso non ha mezze misure, che per certi versi divora il tempo, lo scolpisce con facilità. Poi il tempo passa. I libri precedenti diventano dei crocevia, dei passaggi. Persino dei ripensamenti. Non si inizia mai in un momento esatto. Non si finisce quando si crede di aver finito. Quell’unità di scrittura pare sgretolarsi negli studi in cui si scrive, sulle scrivanie, e poi sui tavoli, e ancora persino nei tavolini dei caffè. Finisce per esibire un’alterità, la distanza dalla vita che lo scrittore vuole, pretende, dal suo narrare, dal suo raccontare, ed entra nelle cose minime di ogni giorno, assume le tonalità dei mobili attorno, lascia che si depositi persino la polvere, sorprende perché è ancora più presente delle presenze a cui siamo abituati nella nostra vita quotidiana.
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La scrittura de La cerimonia dell’addio è stato questo. Quando è iniziato? È una risposta che non so dare esattamente. È iniziato nel 2006, forse nel 2007. E soprattutto: è iniziato con una scrittura, con un pensiero, con un’idea da mettere a punto, con un dettaglio da cambiare? Oppure è iniziato quando ho capito che il mondo che avevo attraversato fino a quel momento, entro un tempo purtroppo definibile, avrebbe cessato di esistere? Sapevo che era questo il nodo iniziale. Sapevo che avrei raccontato la perdita nel momento in cui si compiva, nel momento che prendeva una strada obbligata. Leggi tutto…

VIOLA ARDONE racconta GRANDE MERAVIGLIA (Einaudi)

Grande meraviglia - Viola Ardone - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: VIOLA ARDONE racconta il suo romanzo “Grande Meraviglia” (Einaudi)

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 di Viola Ardone

Grande Meraviglia nasce dopo un incontro molto particolare, quello con i ragazzi del Regina Margherita di Torino. Due anni fa sono stata “adottata” nell’ambito del programma “Adotta uno scrittore” del Salone del libro da una classe molto speciale: i giovani che facevano scuola all’interno del reparto di psichiatria dell’ospedale torinese. Erano ragazze e ragazzi in tutto e per tutto uguali ai miei alunni ma che in quel momento della loro vita dovevano fare i conti con un dolore insostenibile, un malessere fortissimo che impediva loro di proseguire la routine che avevano fatto fino a quel momento: famiglia, amicizie, scuola, sport. Qualcosa in loro si era bloccato, un crollo improvviso, una tristezza indicibile, un male senza nome. In ospedale quei ragazzi e quelle ragazze venivano seguiti, curati, gli veniva inoltre permesso di continuare a studiare, nei tempi e nei modi che era loro possibile, grazie ai docenti di ruolo distaccati presso l’ospedale. Anoressia, depressione, disturbo bipolare, gravissimi problemi di socializzazione. Come farò, mi sono chiesta, a portare i miei libri, i discorsi sulla letteratura, sulla scrittura e la lettura lì dentro? Con quale coraggio affronterò il loro dolore? Leggi tutto…

MADDALENA VAGLIO TANET racconta TORNARE DAL BOSCO (Marsilio)

Tornare dal bosco - Maddalena Vaglio Tanet - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine, MADDALENA VAGLIO TANET racconta il suo romanzo TORNARE DAL BOSCO (Marsilio)

Tra i dodici candidati all’edizione 2023 del Premio Strega

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di Maddalena Vaglio Tanet

Sono figlia unica e ho trascorso lunghe estati in un piccolo paese tra i boschi, insieme ai miei nonni, alla mia bisnonna e alla cugina di mio nonno. Questa gente era nata all’inizio del Novecento oppure sotto il fascismo, e aveva vissuto una guerra, due guerre. Chiedevo che mi raccontassero e loro raccontavano. Sono stata il ricettacolo delle loro storie. Alcune erano comiche, altre terrificanti, a volte serpeggiavano verso un finale strabiliante e radioso: un padre perduto e ritrovato, trecce tagliate, lettere dal fronte, fughe, partigiani nascosti nella stanza delle mele, stecche di ombrello usate come frecce, pulci, febbri, guarigioni, dispetti ingegnosi, morti premature. Lo zabaione della discordia e l’armistizio, le mutande rubate e la rotta di Caporetto, a quel tempo avevano per me la stessa consistenza, lo stesso respiro epico.

C’era però una storia che non si raccontava per esteso, a cui semmai si alludeva, di rado e come per errore, per una svista. Riguardava la cugina di mio nonno, una donna che io amavo e che era diversa da tutte le altre intorno: mia madre, mia nonna, la mia bisnonna; una divorziata, l’altra sposata, la terza vedova, definite dal loro essere madri e dall’essere, o essere state, mogli di qualcuno. Naturalmente, erano anche figlie, l’una dell’altra, fino ad arrivare a me. Leggi tutto…

ANDREA TARABBIA racconta IL CONTINENTE BIANCO (Bollati Boringhieri)

Il continente bianco - Andrea Tarabbia - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine, ANDREA TARABBIA racconta il suo romanzo IL CONTINENTE BIANCO (Bollati Boringhieri)

Tra i dodici candidati all’edizione 2023 del Premio Strega

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di Andrea Tarabbia

Ho cominciato a scrivere Il Continente bianco un giorno di molti anni fa – poteva essere il 2012 o il 2013: da qualche tempo avevo in testa l’idea di scrivere un romanzo sul neofascismo e di scriverlo, per così dire, dall’interno, mettendo un io narrante a contatto diretto con quegli ambienti. Avevo il titolo, qualche spunto narrativo e l’ambientazione – Roma. Avevo studiato e mi ero fatto un’idea di quello che volevo dire. Così, per qualche mese lavorai alla prima parte del libro, ambientando un certo numero di scene su un’ansa del Tevere. Ma qualcosa non tornava: mi sembrava, proprio mentre lo scrivevo, che fosse un libro posticcio, artificioso e poco vivo. Decisi comunque di portare a termine la parte, poi mi fermai, lasciai riposare il testo per qualche settimana e infine lo rilessi. Non mi ero sbagliato: aveva qualcosa di fasullo – le frasi, anche quando giravano bene, sembravano montate l’una sull’altra in laboratorio, i personaggi erano sbiaditi, didascalici, e le scene ne risentivano. Di quelle cinquanta pagine, o giù di lì, salvai due o tre frasi: le presi di peso dal romanzo, le aggiustai, le misi nelle prime pagine di un testo che, mentre procedevo poco convinto dentro questa prima versione del Continente bianco, mi stava invece fiorendo in mano – Il giardino delle mosche. Insomma, presi una scena ambientata al giorno d’oggi su un’ansa del Tevere e la portai indietro, negli anni Settanta del Novecento, sulle rive di un piccolo fiume poco fuori Šachty, un paesino di minatori dalle parti di Rostov sul Don. Improvvisamente, ciò che era posticcio tornava a suonarmi vivo, ciò che sembrava costruito in laboratorio ora fluiva. Leggi tutto…

ANTONELLA LATTANZI racconta COSE CHE NON SI RACCONTANO (Einaudi)

Cose che non si raccontano - Antonella Lattanzi - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine, ANTONELLA LATTANZI racconta il suo romanzo COSE CHE NON SI RACCONTANO (Einaudi)

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di Antonella Lattanzi

Era luglio. Io ero a Sabaudia, sul mare. Ho sempre amato il mare. Ma in quel periodo lo odiavo. Era troppo brillante, troppo azzurro, la spiaggia era troppo dorata e tutto intorno a me c’erano bambini, o donne incinte. Vedevo gemelli dappertutto. Ero, perfino, in uno stabilimento balneare che si chiama I Gemelli, gestito da due cinquantenni che ormai conoscevo e salutavo e con cui chiacchieravo spesso ma non distinguevo mai.
Ero appena uscita dall’ospedale. Mi ero quasi dissanguata. La trasfusione che mi avevano fatto aveva alzato di sì e no un punto la mia emoglobina. Avevo quasi perso l’utero. C’era il covid, anche se non al suo picco massimo, e nessuno era potuto venire a trovarmi in ospedale. Guardavo il mare e pensavo: ho perso il senso.
Quel giorno, però, in spiaggia non c’era quasi nessuno. Era brutto tempo. Io mi stringevo nel bomber che porto sempre con me, in estate, perché sono freddolosa. Il mio compagno, steso sul lettino accanto a me, leggeva. Cerco di guardare meglio nel ricordo. Mi giro verso di lui. Cosa legge? Non riesco a vederlo. Vedo solo il mio compagno steso, le braccia piegate a tenere in mano un libro. E quel libro è come uno scudo, che lui usa, per distaccarsi da me. Un separé tra lui e tutto il mio dolore. Un separé tra lui e me, che ormai non sono più una donna; sono solo dolore. Quel libro per me è lui che mi dice: basta, non ne posso più. E io penso: quanto vorrei essere chiunque al mondo, tranne me. Leggi tutto…

VINCENZO LATRONICO racconta LE PERFEZIONI (Bompiani)

Le perfezioniCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine, VINCENZO LATRONICO racconta il suo romanzo LE PERFEZIONI (Bompiani)

Tra i dodici candidati all’edizione 2023 del Premio Strega

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di Vincenzo Latronico

Ho cominciato a pensare a Le Perfezioni nel gennaio del 2020. Ero stato invitato in residenza alla Fondazione Santa Maddelena, in Toscana. Volevo scrivere un romanzo su come fossero cambiate le nostre vite con la trasformazione digitale – i social media, soprattutto. Era un tema a cui pensavo da anni. Molti scrittori e molte scrittrici di grandissimo talento si sono misurati con quel tema, eppure in modi che mi hanno sempre lasciato insoddisfatto.
I grandi narratori classici – su tutti Franzen – hanno spesso prodotto libri tecnicamente ineccepibili ma smorti, come Purity: inserendo Internet nel colossale macchinario narrativo balzachiano che Franzen ha dispiegato con tanta maestria in Libertà, il macchinario si rompe. Ci sono poi romanzi “non classici”, i cosiddetti “internet novel”, come quelli di Lauren Oyler, Jaret Kobeck, Patricia Lockwood: romanzi la cui forma stessa cerca di adattarsi alla natura magmatica e informe di ciò di cui parlano. Si tratta – almeno in questi tre casi – di romanzi ottimi: ma sono romanzi che si collocano unicamente al di qua della trasformazione digitale. Non la spiegano: la illustrano, la danno per scontata. Raccontano il mondo di oggi dall’interno. Leggi tutto…

ROMANA PETRI racconta RUBARE LA NOTTE (Mondadori)

Rubare la notte - Romana Petri - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine, ROMANA PETRI racconta il suo romanzo RUBARE LA NOTTE (Mondadori)

Tra i dodici candidati all’edizione 2023 del Premio Strega

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di Romana Petri

Mio padre Mario Petri, quando ero bambina mi leggeva, recitava e interpretava di tutto. Avveniva di sera, quando ero già a letto, e probabilmente con l’intento di farmi dormire. Ma dormire era impossibile perché, dopo tutto quel teatro, quando mi dava il bacio della buona notte e spegneva la luce, io di certo non ero pronta a dormire, bensì a rivisitare tutto quello che avevo appena ascoltato e visto. È così che ho ricevuto i primi rudimenti dei grandi classici latini e greci e della narrativa. Tra i tantissimi c’è stato anche Il Piccolo principe, questa fiaba criptata che più la leggi e più ti cambia volto davanti agli occhi. Credi di aver capito una cosa, ma alla successiva rilettura quel che ti sembrava di aver compreso si “rimisterizza”. Una fiaba che ha venduto 170 milioni di copie nel mondo, che è stata tradotta in 434 lingue e dialetti (ci sono dialetti che non hanno di scritto null’altro se non questa opera di Saint- Exupéry): come ha fatto questa fiaba dai temi così terribili, e dove alla fine il protagonista bambino muore, ad aver avuto tanto successo? La risposta è che in questa storia ci sono solo quesiti e non risposte e che per questa ragione è ipnotica, perché la grande letteratura non consola mai, inquieta, mette in uno stato di allarme, ti obbliga a trovare risposte e a rimangiartele la volta dopo. Lo dico con cognizione di causa perché come insegnante di lingua e letteratura francese ho fatto leggere la storia di questo bambino capriccioso e del suo compagno di viaggio, che altri non è se non lui stesso cresciuto, ogni anno per tanti anni. Perché il piccolo Principe abbandona il suo pianeta? Perché di tutta la Terra conosce solo il deserto?
Cosa lo uccide? Perché si uccide? Leggi tutto…

PIERSANDRO PALLAVICINI racconta IL FIGLIO DEL DIRETTORE (Mondadori)

Il figlio del direttore - Piersandro Pallavicini - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine, PIERSANDRO PALLAVICINI racconta il suo romanzo IL FIGLIO DEL DIRETTORE (Mondadori)

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La prima tessera del Direttore

di Piersandro Pallavicini

Quando ripenso ai libri che ho scritto, e ripenso in particolare a come sono nati, mi trovo davanti un solido muro indistinto. Solo qualche volta in questo muro riesco a individuare un mattone, o forse sarebbe meglio dire una tessera del mosaico, quella che ha dato il via al tutto, e intorno a questa prima tessera riesco a cogliere anche quelle che vi si sono sistemate intorno, aderendo alla sua forma e sviluppandola. Qualche altra volta invece, quel mattone, quella tessera, non c’è più, è scomparsa. Perché quando scrivo è un continuo entrare e uscire di idee dalla tessitura, e di scene, situazioni, snodi, personaggi, temi. La scintilla che ha dato il via a tutto, intendo dire, può essere cancellata dal fuoco che essa stessa ha generato.
Funziono così, scrivo da un punto di partenza, da un’illuminazione, e poi vediamo dove si va a finire. Nessuna scaletta, non ce la farei a scrivere costretto in uno schema predefinito, non mi divertirei, lo sentirei come un mestiere, un lavoro, perderei tutto il piacere dell’invenzione, dell’improvvisazione, che per me è l’unica ricompensa per tutta la fatica che ci costa scrivere. Leggi tutto…

DANIELE MENCARELLI racconta FAME D’ARIA (Mondadori)

Fame d'aria - Daniele Mencarelli - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine, DANIELE MENCARELLI racconta il suo romanzo FAME D’ARIA (Mondadori)

Il romanzo sarà presentato a Roma, al Teatro Manzoni, il 3 febbraio alle h. 18 (vedi locandina in basso)

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di Daniele Mencarelli

Penso alla letteratura come a uno sguardo che sa cogliere i tempi del sempre e del presente. Da una parte i sentimenti connaturati all’esistenza, come il tempo, l’amore e la morte, la ricerca spirituale, dall’altra i fenomeni del presente, della propria epoca, al contrario transitori, in perenne trasformazione.
Fame d’aria nasce da questo incrocio, che ovviamente ha ricadute sulla materia di cui è fatta la letteratura. La lingua.
Al centro della storia due questioni capitali, che ci accadono costantemente sotto gli occhi.
Il primo è l’abbandono. È una sensazione che sento spesso, avendo la fortuna di girare l’Italia per raccontare i miei libri. I centri storici di tanti paesi, intere zone industriali. L’Italia in certi momenti sembra un paese abbandonato, spopolato, spolpato dalla crisi e da un sistema che non ha saputo in alcun modo reagire ai travagli di questi ultimi anni. Ciò che è ancora più grave è l’abbandono umano, ovviamente degli ultimi, di chi non ha risorse economiche e che si trova ad attraversare un momento di crisi. Come può essere una malattia, o una detenzione. Leggi tutto…

TEA RANNO racconta UN TRAM PER LA VITA (Piemme)

Un tram per la vita - Tea Ranno - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine, TEA RANNO racconta il suo romanzo UN TRAM PER LA VITA (Piemme) – In libreria da oggi, 17 gennaio

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Mille treni piombati per la morte, un tram per la vita

di Tea Ranno

Certe storie ti vengono a cercare. Molto spesso ti trovano distratta: stai dormicchiando, stai con la mente dentro un libro che ti scarrozza altrove, stai guidando e non vedi se non i motorini che ti guizzano intorno, stai sbucciando una cipolla e hai gli occhi pieni di lacrime… Quelle, però, mica s’arrendono: “Ehi, tu, ascolta! Ehi…”.
Niente, sei svagata, non sintonizzata sulla loro frequenza. E vivi e ridi e leggi e piangi e porti avanti giornate come le altre fino al momento in cui la più prepotente di esse – quella che ti ha scelto – non ti molla una sberla che azzera il contorno e ti apre alla visione. E annaspi, e tremi: per la bellezza certo, ma anche per l’enorme responsabilità: “Come faccio” chiedi “io che vengo da un’altra terra, che appartengo a un altro tempo, che di quel tempo e dei fatti che vi accaddero ho solo un’infarinatura – come direbbe un professore pedante – a darti voce?”.
Ti pare che quella risponde? Ti è caduta dentro e ora sono affari tuoi.
Quindi?
Quindi aspetti, tenti ancora di nicchiare, di far finta che non ti riguardi.
Impossibile. Sei dentro un motore emotivo che non ti permette di dormicchiare, leggiucchiare, sbucciare cipolle, e manco di dormire, leggere, evitare le cipolle: ti vuole tutta sua, questa storia che ti ha dato la caccia, quindi datti una mossa, signora, prendi carta e penna e comincia.
Comincia? E da dove? Leggi tutto…

FRANCO FORTE racconta KAROLUS (Mondadori)

Karolus. Il romanzo di Carlo Magno - Franco Forte - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine, FRANCO FORTE racconta il suo romanzo KAROLUS. IL ROMANZO DI CARLO MAGNO (Mondadori) – In libreria da oggi, 17 gennaio

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IL TEMPO DEL PRIMO SANGUE

di Franco Forte

Da anni scrivo romanzi storici (ormai più di una ventina) e nelle mie lunghe ricerche per ricostruire i periodi di cui mi sono occupato – dall’antica Roma al Medioevo per finire, con il mio ultimo romanzo “Karolus” (Mondadori), al punto di svolta della civiltà europea, con l’avvento di Carlo Magno – mi sono imbattuto in quello che era considerato un concetto essenziale, il Primo Sangue.
Un concetto che si applicava con la stessa importanza sia agli uomini sia alle donne, soprattutto di un certo lignaggio, e che determinava l’ingresso nell’età adulta, seppure fossero molto diverse le modalità con cui questo avveniva, e le implicazioni che ne derivavano.
Per un uomo, il Primo Sangue era il momento dello scontro, e di solito era determinato dalla prima battaglia a cui si partecipava. Non era detto che si dovesse versare davvero il sangue di qualche avversario, o perderne del proprio; l’importante era far parte di uno scontro che avesse feriti e morti sul campo di battaglia. A quel punto ci si guadagnava l’appellativo di “uomo” in tutti i sensi, e si guadagnava il rispetto degli altri maschi, oltre al diritto di avere al fianco una spada. Leggi tutto…

SILVANA LA SPINA racconta ANGELICA (Neri Pozza)

Angelica - Silvana La Spina - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: SILVANA LA SPINA racconta il suo romanzo “Angelica” (Neri Pozza)

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di Silvana La Spina

Tutti conosciamo il personaggio di Angelica del Gattopardo, ma proprio perché lo conosciamo non sappiamo realmente chi è. Una ragazzetta furba? Una volgare e disinibita giovane donna, che conosce il mondo?
Nel film di Visconti, con la faccia della bellissima Claudia Cardinale, si presenta come una giovane che sa bene quello che fa e persino come sedurre il principe di Salina.
Insomma, quante Angeliche ci sono?
Ogni tanto lei mi appariva nell’inconscio e poi puf andava via. Ma restava la sua traccia luminenscente come quella di una lumaca.
Poi da una chiacchierata con Beppe Russo l’idea: vorrei scrivere la vera storia di Angelica.
Vera? Fa lui, ma è un personaggio!
E allora? Un personaggio non può essere vero?
Sì, certo, conviene anche lui.
E allora fallo, dice ridendo.

E l’ho fatto, appunto. Anzi l’ho scritta.
Ho cominciato con una ragazzetta come tante, ma che non vive una vita come tante. Perché come dice l’organista nel romanzo e ripete anche nel film, Angelica non è una bambina amata dalla madre.
A quel punto per me non solo non era amata, ma addirittura odiata. Leggi tutto…

ALESSANDRA SELMI racconta AL DI QUA DEL FIUME (Nord)

Al di qua del fiume. Il sogno della famiglia Crespi - Alessandra Selmi - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: ALESSANDRA SELMI racconta il suo romanzo “Al di qua del fiume. Il sogno della famiglia Crespi” (Nord)

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di Alessandra Selmi

Questo romanzo è un dono d’amore, un sussurro dall’aldilà, un consiglio ascoltato troppo tardi o, più probabilmente, al momento giusto.
Saranno passati dieci anni, forse quindici da allora. La mia nonna Piera – donna fatta di tungsteno, su cui la vita si è accanita invano – è sempre stata una grande amante dei viaggi, che si vantava di aver girato tutto il mondo senza conoscere una parola d’inglese, usando il dialetto brianzolo. Quando non poteva andare lontano, viaggiava leggendo, frequentando cineforum e circoli culturali, o si concedeva qualche gita fuori porta. Fu così che andò a Crespi d’Adda: forse era con il circolo bandistico locale o con l’associazione tal dei tali o con il club di non so cosa. Un pomeriggio, di molti, molti anni fa.
Tornata a casa, come ogni volta, venne a ragguagliarmi.
«Devi andare a vederlo» mi disse. «Vedessi che posto!». Poi si perse nel racconto delle casette tutte uguali stese davanti alla fabbrica ormai silenziosa, la chiesa, il cimitero…
Non era un consiglio. Mia nonna non consigliava: ordinava e basta, tu dovevi solo obbedire. Leggi tutto…

MATTEO NUCCI racconta SONO DIFFICILI LE COSE BELLE (HarperCollins Italia)

Sono difficili le cose belle - Matteo Nucci - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: MATTEO NUCCI racconta il suo romanzo “Sono difficili le cose belle” (HarperCollins Italia)

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di Matteo Nucci

Questo è un libro che non doveva essere un libro. O meglio, non doveva essere ciò che oggi è un libro, ossia quel prodotto che appare nelle librerie e che ha un prezzo, un editore, una copertina e che insomma è l’esito di un processo in cui sono all’opera molte persone, oltre a chi lo ha scritto. No, questo doveva essere un regalo. E un regalo è stato. In una copisteria di Borgo Pio, a Roma, per il Natale 2020, mi feci stampare nel formato del libriccino alcune copie della storia che avevo scritto quasi due anni prima, a inizio 2019, e che avevo intitolato, seguendo un’idea antica che percorre i miei libri, Sono difficili le cose belle. Lo regalai alla nipote che era protagonista del racconto, Arianna, anche se era dedicato sostanzialmente a tutte e cinque le figlie delle mie due sorelle.

Quando scartò il pacchetto, sotto l’albero di Natale che mia madre adorava preparare per le sue amatissime nipoti e che da tre anni mio padre riproduceva con dedizione assoluta, Arianna restò senza fiato, poi si commosse e mi guardò con un amore che con me non aveva mai avuto. Arianna infatti è sempre stata in lotta contro di me. Non avendo figli, io adoro dedicarmi a queste esponenti di un gineceo debordante e ovviamente dominante. Dunque, come mia estrema amorevole difesa, le perseguito, le vizio e le ossessiono, preparo sorprese e dispetti, e se c’è una cosa che dà loro fastidio ovviamente insisto. Tre delle cinque lo sanno e se ne fregano. Due di loro invece no, non ci sono mai riuscite. Sofia è l’altra nipote che se la prendeva per questi miei atteggiamenti persecutori. Leggi tutto…

WU MING racconta UFO 78 (Einaudi)

Ufo 78 - Wu Ming - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: WU MING racconta il suo romanzo “Ufo 78” (Einaudi)… attraverso la traccia di un video mai realizzato

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TRACCIA PER UN VIDEO CHE ABBIAMO DECISO DI NON REALIZZARE

di Wu Ming

[Scorrono per tutto il tempo vecchi filmati di Ufo, intervallati dalle immagini mostrate volta per volta. Musica: Wu Ming Contingent, Italia mistero kosmiko]

Ufo 78 cominciò a prendere forma molti anni fa. Il primo nucleo risale al 2006, quando insieme al collega Giuseppe Genna [foto di Genna] ci lanciammo in un’improvvisazione narrativa che chiamammo Mater Materia, incentrata sugli anni Settanta.

I nostri anni Settanta di bambini sognatori: la fissazione di massa per gli Ufo [una copertina del Giornale dei misteri], il paranormale, il «misterioso»; gli incontri ravvicinati del terzo tipo [locandina del film di Spielberg], il Triangolo delle Bermude; il “sensitivo” Uri Geller [foto di Geller] che piegava cucchiai col pensiero… e i libri del “fantarcheologo” Peter Kolosimo [foto di Kolosimo], che si vendevano a carrettate. Erano in ogni casa, le nostre e quelle dei nostri amici: Astronavi sulla preistoria, Odissea stellare, Fratelli dell’infinito[copertine dei libri] Leggi tutto…

ANDREA VITALI racconta COSA È MAI UNA FIRMETTA (Garzanti)

Cosa è mai una firmetta - Andrea Vitali - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: ANDREA VITALI racconta il suo romanzo “Cosa è mai una firmetta” (Garzanti)

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di Andrea Vitali

Chiamarlo condominio mi suona male, anche se di fatto lo sarebbe, anzi lo è. Preferisco caseggiato tuttavia perché l’ho battezzato così sin dalle prime battute di “Cosa è mai una firmetta “, eleggendolo a protagonista vero e proprio della storia. E non un caseggiato qualunque, magari preso a caso tra i tanti o addirittura immaginato, nossignore! Il Caseggiato in oggetto (la Ci maiuscola è dovuta in quanto protagonista della narrazione) è vivo e vegeto e lo posso testimoniare senza tema di smentita perché lo conosco, l’ho conosciuto fino dalla più tenera età. La differenza, sostanziale, sta nel fatto che per fini narrativi ho dovuto imbruttirlo, conciarlo un po’, renderlo fatiscente come nella realtà non è mai stato. Ma andiamo per ordine. Ho appena scritto di averlo conosciuto fin da bambino e lo confermo. Ci abitava infatti mia nonna materna e tanto io quanto i miei fratelli eravamo abituati a passaggi pressoché quotidiani per salutarla o fermarsi a pranzo, talvolta anche a cena: esperienza per me fondamentale, addirittura formativa. Non sto esagerando. Quel Caseggiato infatti fu un fertile terreno per far nascere le prime fantasie oltre che campo di gioco e di scoperte. Le famiglie che lo abitavano infatti erano quasi tutte, chi più chi meno, legate da vincoli parentali, le porte dei loro appartamenti erano sempre aperte tanto ai condomini quanto a coloro che li visitavano. Leggi tutto…

FEDERICA DE PAOLIS racconta LE DISTRAZIONI (HarperCollins Italia)

Le distrazioniCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: FEDERICA DE PAOLIS racconta il suo romanzo “Le distrazioni” (HarperCollins Italia)

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di Federica De Paolis

Quando mia figlia aveva circa due anni, frequentavo un parco di quartiere. C’era una coppia che si dava sempre il cambio, uno entrava l’altra usciva. Si davano il cambio cogliendo il figlio all’improvviso. Probabilmente per evitare di farlo piangere: trovare il padre al posto della madre o viceversa, faceva sorridere il bambino. Qualche volta l’abbiamo fatto anche io e il mio compagno, lo chiamavamo “la staffetta”. Un giorno “la staffetta” per la coppia di sconosciuti, non ha funzionato, come se non avessero colto l’attimo, non si fossero capiti. Li abbiamo visti andare in direzioni opposte, e lasciare il bambino solo. Non è successo nulla, il parco era pieno di gente, abbiamo subito richiamato il padre e la madre… ma quel movimento mi si è conficcato nella testa. Ho passato quasi dieci anni a pensare a quell’istante. E se ci scrivessi una storia? mi dicevo. Com’è possibile, che anche per un solo istante, padre e madre abbiano contemporaneamente mollato il colpo. Che cosa è successo? Che tipo di relazione c’era tra quei due?
Poi, tre anni fa, ho cominciato a lavorare per una trasmissione. Un format semplice, si dovevano raccontare storie di fecondazione assistita, una con esito positivo, una con esito negativo. Ho iniziato a intervistare delle coppie e ho scoperto, attraverso le loro storie, che il percorso della fecondazione assistita era stato durissimo, molti di loro durante quei mesi avevano finito per allontanarsi, addirittura una coppia si era lasciata una settimana prima della nascita della figlia. Perché? Leggi tutto…

CLAUDIO PIERSANTI racconta QUEL MALEDETTO VRONSKIJ (Rizzoli)

Quel maledetto Vronskij - Claudio Piersanti - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: CLAUDIO PIERSANTI racconta il suo romanzo “Quel maledetto Vronskij” (Rizzoli)

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“Quel maledetto Vronskij” è nella dozzina dei libri finalisti all’edizione 2022 del Premio Strega

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Come nasce il mio maledetto Vronskij

di Claudio Piersanti

Ho avuto la fortuna di conoscere e di essere amico di poeti e scrittori importanti (uomini e donne, più o meno in pari misura). Da ognuno ho imparato qualcosa anche se nessuno di loro avrebbe voluto essere definito maestro. Un maestro è un vero maestro quando non sa di esserlo. Gli insegnamenti sono cosa diversa dai consigli, che non ho chiesto né mi sono stati propinati. La prima cosa che ho imparato è che nessuno può aiutarti. Il lavoro consiste in questo: una persona e un foglio bianco. Come è noto ci sono diverse tonalità di bianco. Nel mio caso il foglio deve essere molto bianco. Comincio a scrivere quando mi sono liberato dai miei soliti pensieri, dai ricordi del libro precedente (che non rileggo mai dopo la stampa), insomma quando il foglio è bianco davvero. Non accumulo appunti, non ho mai scritto una scaletta in vita mia: il lavoro preliminare consiste nel creare un vuoto. Molti anni fa incontrai le parole che descrivevano esattamente quel che intendevo fare. Le ripeto spesso perché per me valgono più di un manifesto di poetica. “Tra le infinite maniere di dar principio a un libro, che oggigiorno sono in uso in tutto il mondo conosciuto, ho fiducia che la mia sia la migliore; e sono certo che è la più pia, perché comincio con lo scrivere il primo periodo, e mi affido a Dio Onnipotente per il successivo.” È la splendida voce del Tristram Shandy (gentleman) di Sterne. Qualcuno dirà: ma è un autore del ‘700! Ecco, nella poesia il tempo è un personaggio. Si produce un’alterazione del tempo: in quello di chi scrive e in quello di chi legge. Leggi tutto…

GILDA POLICASTRO racconta LA PARTE DI MALVASIA (La nave di Teseo)

Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: GILDA POLICASTRO racconta il suo romanzo “La parte di Malvasia” (La nave di Teseo)

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Il romanzo è stato candidato da Romana Petri all’edizione 2022 del Premio Strega

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di Gilda Policastro

La prima volta che ho pensato a Malvasia è stato aprendo un cassetto: c’era un’agenda, con degli appunti, la grafia era di mia madre. Appunti non memorabili, annotazioni del quotidiano, liste, ricorrenze, appuntamenti medici. Per mia madre, da un certo punto in poi, la vita era scandita da quei microeventi, non c’era altro da registrare. Non è che sia stato questo, in verità, a colpirmi. Ma la sua grafia, le vocali sempre un po’ compresse e orientate a destra, i gambi delle p e le t che svettavano, toccando la linea di sotto o di sopra. Chi scrive così, adesso, ho pensato. Questa grafia non c’è più. Non c’è più la voce, se non nei filmini (così si chiamavano i video amatoriali nelle infanzie predigitali), mentre i morti di oggi e di domani saranno almeno nei vocali di WhatsApp. Malvasia è una donna morta: quella donna è (forse) mia madre. O tutte le donne morte: e gli uomini, anche. Ecco perché da un certo momento del libro, in cui Malvasia viene trovata morta e Gippo è incaricato dal commissario di seguire il caso, i due personaggi si sovrappongono, si confondono, si «incardinano» (è il termine che ho usato nel testo). La domanda su Malvasia non è chi l’ha uccisa ma chi è, e, anzi, perché è morta. La storia procede per avvitamenti, si svolge il nastro della memoria e si recuperano (chi racconta, di volta in volta, recupera) pezzi di infanzia, momenti familiari condivisi, ricordi rappezzati o del tutto inventati, fratture, dolori e non detti, momenti minuti di insignificanza e diagnosi fatali, spartiacque tra un prima e un dopo, che però non sono irreversibili. Leggi tutto…

JACOPO DE MICHELIS racconta LA STAZIONE (Giunti)

Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: JACOPO DE MICHELIS racconta il suo romanzo “La stazione” (Giunti)

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di Jacopo De Michelis

“Possente come una fortezza, solenne come un mausoleo, enigmatica come una piramide egizia”, la stazione Centrale di Milano, nella quale ho ambientato il mio thriller, risulta ben più che una semplice scenografia sul cui sfondo accadono le vicende narrate. Ne è a pieno titolo uno dei personaggi, forse addirittura la vera protagonista.
Se la prima scintilla del romanzo mi si è accesa in testa nel periodo stesso in cui si svolge – i primi anni duemila, poco prima della grande ristrutturazione che ha trasformato radicalmente la Centrale – mentre leggevo un articolo su quello che sarebbe diventato noto come il “binario 21”, il binario del vecchio scalo merci sotterraneo da cui durante la Seconda guerra mondiale partivano in segreto i convogli carichi di deportati diretti verso i lager nazisti, le sue radici affondano ancora più indietro, nell’oscura fascinazione che quell’edificio tetro e colossale all’ombra del quale sono nato e cresciuto – casa dei miei era lì a due passi – ha esercitato su di me fin da bambino. Leggi tutto…

REMO RAPINO racconta CRONACHE DALLE TERRE DI SCARCIAFRATTA (minimum fax)

Cronache dalle terre di Scarciafratta - Remo Rapino - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: REMO RAPINO racconta il suo romanzo “Cronache dalle terre di Scarciafratta” (minimum fax)

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di Remo Rapino

Ma come stabilire il momento esatto in cui comincia una storia? Tutto è sempre cominciato già da prima, la prima riga della prima pagina d’ogni romanzo rimanda a qualcosa che è già successo fuori dal libro. Oppure la vera storia è quella che comincia dieci o cento pagine più avanti e tutto ciò che precede è solo un prologo. Così Italo Calvino in Se una notte d’inverno un viaggiatore, 1979.
La mia gratitudine non può che andare al guasto improvviso del motore di una FIAT UNO che mi ha fatto conoscere, molti anni fa, un disperso paese dell’entroterra abruzzese. Uno di quei luoghi che scopriamo per caso, che, a volte, ci attirano solo per il loro nome. Infine alle quattro persone incontrate in quel paese, e di cui non ho mai saputo i nomi. Dopo gli uomini vennero le parole e, con queste, la memoria di altri luoghi: il paese di mia madre in particolare, dove ho trascorso molte estati: tra quelle colline mille storie. Da un paese incontrato per caso a un paese di anni lontani. Ricordando mi accorgevo, sempre più che anche le minime storie possono racchiudere interi universi. Ancora Calvino. Bello che da un libro vengano fuori le tracce di una mappa, una caccia al tesoro di altre pagine, altre storie. Così nasce un libro. Un libro è sempre un essere vivente. I libri si fanno, certo, con ricerche e documenti, ma nascono soprattutto dalle voci. Solo che i libri sono timidi, allora, bisogna farli parlare, ascoltarli, farne voci, appunto. E poi le storie non finiscono mai veramente, anche se fingono di finire. Invece le storie vanno sempre avanti. Leggi tutto…

BRUNELLA SCHISA racconta ANATOMIA DI UN MOSTRO (HarperCollins Italia)

Anatomia di un mostroCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: BRUNELLA SCHISA racconta il suo romanzo “Anatomia di un mostro” (HarperCollins Italia)

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di Brunella Schisa

Ho scritto diversi romanzi storici con protagoniste femminili: dallo scandalo del Collier di Maria Antonietta, alla pittrice impressionista Berthe Morisot, all’assassinio della Contessa Lara, primo caso di femminicidio mediatico alla fine dell’800. Mi è sempre piaciuto studiare la storia, entrare nelle vite degli altri, in epoche lontane. Dopo l’ultima fatica con La Nemica, il romanzo sulla Rivoluzione francese, ho sentito che dovevo cambiare genere per evitare che mi si attaccasse addosso l’etichetta di scrittrice di romanzi storici. Avevo bisogno di una nuova esperienza, di esplorare altri terreni, e magari fare anche meno fatica nella ricerca. Mi sono detta: una storia con un plot e personaggi inventati sarà molto più semplice. Mi sbagliavo. La verità è che non si può mai improvvisare. Ogni genere ha le sue regole e ogni romanzo una legge imprescindibile: essere credibile. Convincere il lettore. E poi, a dirla tutta, i personaggi del mio romanzo non sono del tutto inventati. Mi sono liberamente ispirata a persone e a esperienza reali. Come diceva Giuseppe Berto: “Uno scrittore è sempre un po’ autobiografico”. Leggi tutto…

MARIO DESIATI racconta SPATRIATI (Einaudi)

Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: MARIO DESIATI racconta il suo romanzo “Spatriati” (Einaudi)

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di Mario Desiati

Scrivo Spatriati dall’ottobre del 2015 al luglio del 2019. È un tempo lungo, lunghissimo forse per un romanzo di trecento cartelle. Lo riscrivo numerose volte perché opero attraverso il meccanismo delle stesure. È un metodo molto faticoso, e quando ne parlo con altri scrittori o editori, fanno tutti la faccia perplessa e mi dicono “quanto fatica sprecata”. Le stesure mi consentono di provare e riprovare finché non trovo una voce della storia che trovo convincente. Non riuscirei mai a scrivere un romanzo senza aver indovinato la voce. Anche quando mi confronto nel mio lavoro di editor con gli scrittori con cui collaboro, il grande tema è quello: hai trovato la voce? La voce è il chi e il come. Spesso la voce arriva subito, ma altre volte ci vogliono i tentativi. E possono essere tentativi numerosi. Moravia diceva che se non ti viene da scrivere devi lasciar perdere, e lui si obbligava a farlo ogni mattina alle sei quando si svegliava, mettendosi alla scrivania per mantenere il ritmo e non perdere l’ispirazione. Credo un grande esempio per tutti coloro che scrivono romanzi.
Ero una persona diversa nell’ottobre del 2015 rispetto a quella di quattro anni dopo, e credo che la mia identità in cambiamento abbia influenzato la scrittura. Sapevo esattamente che il romanzo si sarebbe chiamato Spatriati e sapevo che tutte quelle sfumature sul significato della parola Spatriato sarebbero entrate nella storia. Nel dialetto del mio paese, il martinese, spatriato vuol dire non solo colui che è andato via, ma anche un individuo non catalogabile, fuori dagli schermi, irregolare, a volte fluido, altre volte sciatto. Insomma una parola che ha diverse nuance e molte di queste sono negative. Leggi tutto…

SIMONA VINCI racconta L’ALTRA CASA (Einaudi)

Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: SIMONA VINCI racconta il suo romanzo “L’altra casa” (Einaudi)

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di Simona Vinci

Come ti muovi dentro una casa? Dipende se la casa è tua, se ci hai abitato e dunque la conosci in ogni angolo, dettaglio, anfratto, finitura; se sai distinguere la luce e l’ombra che girano intorno all’edificio a tutte le ore del giorno e mutano, all’interno, luminosità e atmosfera; se riconosci gli scricchiolii improvvisi degli infissi che si gonfiano e si sgonfiano per l’umidità o il calore quando la temperatura cambia, i rumori interni di avvio e riavvio della caldaia, lo scorrere dell’acqua nei tubi che la percorrono per onorare le esigenze umane o se di quella casa sei solo un ospite. Diverso è il tuo rapporto di intimità con la casa se invece non hai mai passato ore affacciato alle sue finestre o seduto su una delle sedie che arredano il soggiorno. Se tra quelle mura non hai mai pianto, amato, sofferto. Se non è accaduto, quella casa è un’estranea che devi imparare a conoscere: quanti giri di chiave, quale movimento preciso e con quanta forza per sbloccare una maniglia o l’anta di uno scuro. Una casa è come una persona, complicata, piena di segreti e di insidie, luce e oscurità, può essere sincera oppure mentirti, apparirti remissiva e nascondere diabolici trabocchetti. Tutte cose che si imparano con il tempo, con la consuetudine e forse, del tutto, mai. Leggi tutto…

SILVANA LA SPINA racconta L’UOMO DEL VICERÉ (Neri Pozza)

Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: SILVANA LA SPINA racconta il suo romanzo “L’uomo del Viceré” (Neri Pozza)

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di Silvana La Spina

Perché ho scritto questo libro?
Difficile da dire. Il Settecento è un secolo che già in passato è stato nelle mie corde, vi ho ambientato infatti ‘La creata Antonia’, ma non basta. Il Settecento è stato anche l’ossessione di Leonardo Sciascia. Che da buon illuminista cercava di capire perché l’illuminismo siciliano è quasi inesistente a confronto di quello napoletano. Chè anzi, quando a Napoli si ebbe la rivoluzione, il re e la famiglia scappò proprio a Palermo, accolto con tutti gli onori.
Eppure per la prima volta, alla fine del Settecento, il governo borbonico mandò a Palermo un vicerè veramente illuminista. Parliamo del Caracciolo. Che era stato ambasciatore a Londra e a Parigi, dove aveva conosciuto le più belle menti di Europa. Leggi tutto…

PAOLO COGNETTI racconta LA FELICITÀ DEL LUPO (Einaudi)

Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: PAOLO COGNETTI racconta il suo romanzo “La felicità del lupo” (Einaudi)

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di Paolo Cognetti

Ho cominciato a scrivere La felicità del lupo lontano dalla montagna. Per mesi non ero andato oltre la prima pagina, pur ricorrendo alla vecchia disciplina di alzarmi presto, uscire di casa, trovare un bar e lavorare fino a mezzogiorno, ma scrivevo e riscrivevo quelle poche righe senza essere capace di proseguire. Questo a Milano, nell’autunno del 2019. Quand’ero stanco di girare a vuoto prendevo e andavo su, nella baita, con quella libertà per me fondamentale di prendere-e-andare-ogni-volta-che-mi-va, domenica o lunedì non importa, in un paio d’ore mi ritrovavo nella mia casetta di legno e pietra. La mattina uscivo a camminare nel bosco, tornavo dentro al caldo della stufa, mettevo su il caffè, aprivo il quaderno e di nuovo m’incagliavo. Che cosa c’era di tanto difficile nella storia che volevo scrivere? Era una storia d’amore, questo lo sapevo bene. Avevo tutta la visione di come sarebbe andata. Ma credo che il problema fosse proprio che avevo troppa visione, la vedevo tutta intera come un pianeta nel telescopio, e la osservavo così, nel telescopio, ormai da qualche anno, in attesa di mettermi a scriverla. Adesso che il momento era arrivato non riuscivo ad atterrare sul pianeta e a muovere i primi passi per esplorarlo. Dormivo male – le sere e le notti d’autunno sono lunghe quando stai da solo in baita, i boschi ingialliti ti mettono una gran nostalgia – e dopo un po’ mi arrendevo: Milano, sveglia, bar la mattina, yoga nel pomeriggio, poi tornare su e scoprire che ha nevicato, di notte i cannoni sparano e passano i gatti delle nevi, sono i riti dell’inverno che comincia. Intorno alla baita si preparavano le piste da sci per Natale. Leggi tutto…

GIUSEPPE CATOZZELLA racconta ITALIANA (Mondadori)

Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: GIUSEPPE CATOZZELLA racconta il suo romanzo “Italiana” (Mondadori)

Con “Italiana”, Giuseppe Catozzella ha vinto il Premio Manzoni 2021

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di Giuseppe Catozzella

Credo di aver cominciato a scrivere Italiana da bambino, quando d’agosto nella grande casa di pietra dei miei nonni, al Sud, alla controra mia nonna mi raccontava a voce bassa, per non svegliare gli altri che riposavano, le storie del paese, della sua infanzia e di un’ava che aveva combattuto nei boschi e sulle montagne quella che lei chiamava guerra civile italiana, per lasciare a noi oggi, diceva, un paese più giusto. Il nome brigantessa lo usava raramente, io gliene chiedevo conto perché ne ero molto colpito, e come fanno i bambini lo ripetevo per saggiarne la pericolosità. Era una parola pericolosa infatti, da non pronunciare fuori casa, da tenere per la storia privata della famiglia. Certo non capivo tutto quello che mia nonna mi raccontava, però capivo benissimo lo strano luccichio dei suoi occhi, che contenevano un misto di vergogna e orgoglio. Solo dopo, negli anni, ho scoperto che quella misteriosa ava la guerra civile doveva averla persa. Quei racconti, così intimi e così privati, incidevano nella mia pelle la vera storia della mia famiglia: era la storia di una sconfitta. Poi, ma ero molto più grande, già al primo anno di Filosofia, ho scoperto la seconda storia di sconfitta iscritta nella genealogia familiare, e questa volta dall’altro lato, quello paterno. Un prozio, Gaetano Ambrico, che io vedevo a casa di mia nonna, era stato l’onorevole Ambrico, tra i fondatori della Democrazia Cristiana, uomo che suscitava in me uno strano effetto perturbante per essersi strappato alle origini contadine e aver preso quattro lauree. Incarnando la sinistra del suo partito era stato uno dei propugnatori dell’Inchiesta sulla miseria del primo parlamento italiano del secondo Dopoguerra. Leggi tutto…

MARCELLO SIMONI racconta IL MISTERO DELLE DIECI TORRI (Newton Compton)

undefinedCome nasce un libro? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: MARCELLO SIMONI racconta la sua raccolta di racconti “Il mistero delle dieci torri” (Newton Compton)

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di Marcello Simoni

Immaginate un castello con dieci torri, e all’interno di ogni torre un personaggio con una storia da raccontare. Potrebbe essere che alcuni di questi personaggi vi siano familiari, essendo già comparsi in qualche mio romanzo. Altri, invece, non li avete mai conosciuti. Non si conoscono bene nemmeno loro, a ben pensarci, dal momento che hanno avuto appena il tempo di vivere tra le righe di un racconto per poi dissolversi come una nuvola dopo un a capo.
Mi riferisco ai racconti che ho scritto per diversi giornali e antologie, carta ormai irreperibile, affastellata in qualche cantina o forse finita per essere usata, come si faceva una volta con le pagine dei romanzi d’appendice di Dumas e Stevenson, per avvolgere il pesce e gli ortaggi al mercato.
In un certo senso questa similitudine mi lusinga.
Ma il pensiero di quei dieci racconti gettati al vento come foglie secche, senza che nessuno potesse più leggerli, mi rattristava anche un po’.
E poi, dentro quei racconti c’è pure la mia storia!
La storia di come il mio stile di scrittura e il mio modo di concepire il passato, il mare e l’immaginario si sono evoluti nel corso degli anni. Ed è stato perciò non senza imbarazzo e con un certo spirito autocritico che li ho ripescati da un cassetto, selezionati, ordinati secondo un criterio cronologico e in parte rimaneggiati, riflettendo su cosa lasciare inalterato e cosa, invece, modificare con qualche pennellata. Perché per certi versi, in quei racconti, non mi riconoscevo più. Se in alcuni di essi ho ritrovato senza indugio la vena narrativa che sto seguendo tuttora, in altri mi sono imbattuto in un narratore più giovane, irruento e dal linguaggio magmatico, desideroso di sperimentare il genere e di sviluppare le sue possibilità come chi si scopre per la prima volta libero di navigare.

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LUCA RICCI racconta GLI INVERNALI (La nave di Teseo)

Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: LUCA RICCI racconta il suo romanzo “Gli invernali” (La nave di Teseo)

E ne approfitta per fare il punto sulla sua quadrilogia delle stagioni

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di Luca Ricci

All’inizio di questa storia, che è una lunga storia tutt’ora in corso, ci sono due racconti brevi. Il primo racconto l’ha scritto Guy de Maupassant nel 1884 e s’intitola La chevelure e il secondo l’ho scritto io nel 2016 e s’intitola Dedizione? La chevelure è un feticcio magico per me o una sorta di bizzarra lettera d’assunzione: leggendolo da ragazzo nottetempo sulle spallette del lungarno pisano mi svelò la mia vocazione letteraria (per rendere l’idea: l’edizione Oscar Mondadori in cui lo lessi per la prima volta ha come segnalibro il mio foglio rosa per la patente di guida); Dedizione? nasce proprio per omaggiare quel racconto di Maupassant, seguendone la dinamica narrativa a climax – lo scivolare nella follia da parte del protagonista. Tutto bene, si dirà, un cerchio che si chiude. Il punto è che in genere dopo aver scritto un racconto non ci torno più sopra, convincente o meno che mi sembri volto pagina. Dedizione? invece non mi si toglieva dalla mente, dovevo tornare a rileggerlo, ripensarlo, indagarlo. Mi sentivo come il protagonista della storia, solo che al posto della fissazione per la foto di Jeanne Hébuterne io mi ero ossessionato del mio stesso racconto. A quel punto – con quel grado di consapevolezza – è stato quasi naturale rimettersi a tavolino per cercare di trasformare Dedizione? in un romanzo: per la prima volta nella mia vita di scrittore volevo più pagine per una delle mie storie. Se il periodo dell’anno nel quale si svolgeva il racconto era sospeso, con il passo lungo del romanzo mi è stato chiaro fin da subito che avrei fatto coincidere l’intera azione con un’unica stagione: l’autunno, il periodo dell’anno per antonomasia dello sfacelo (fisico ma soprattutto mentale, nel caso del mio protagonista). Gli autunnali è nato così, attraverso questi passaggi analogici, in pochi mesi di trance a ridosso dell’estate del 2017. Leggi tutto…

MARILÙ OLIVA racconta LE SULTANE (Solferino)

Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: MARILÙ OLIVA racconta il suo romanzo “Le Sultane” (Solferino)

Il romanzo esce oggi, 4 novembre 2021

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di Marilù Oliva

Premetto che mi riservo di utilizzare l’aggettivo vecchio senza accezioni negative, ma solo caricandolo della sua portata di esperienza. La differenza tra antico e vecchio, nel nostro dizionario e nella nostra mentalità, è più meno legata al lascito del tempo: le stagioni passano sopra ciò che diventerà antico e lo impreziosiscono; trascorrono invece sopra ciò che verrà definito vecchio e lo sciupano.
Ecco, stavolta vorrei confondere i due attributi.
La domanda che mi rivolgono più spesso è: «Perché hai scritto un libro sulla vecchiaia?».
Io rispondo che Le Sultane non è solo un libro sulla vecchiaia: è soprattutto un libro sulla vita, vista attraverso gli occhi di tre donne anziane rese sia soggetto che tramite della narrazione. Attorno a loro si dipanano figure che vorrei restituissero al lettore un quadro realistico – ma anche grottesco – di quello che può essere il quotidiano, un quotidiano di una qualsiasi periferia, un palazzo popolare fatiscente, tre parche che tirano i fili e gli altri inquilini, i parenti, i conoscenti più o meno adulti, come burattini inconsapevoli.
Ho inoltre tentato un tributo a quelle che chiamo le “categorie non protette”, ovvero le fasce di persone più fragili, più a rischio – gente che dovrebbe essere tutelata, verso la quale si dovrebbe prestare più riguardo ma che inevitabilmente finisce per essere trascurata. La nostra è un’epoca in cui in cui sfiorire è ritenuto quasi inopportuno e in cui la vecchiaia al femminile viene accettata solo se deformata in immagini pubblicitarie, la vecchia sbiancapanni o la vecchia incontinente. Per non parlare del corpo delle vecchie: un vero e proprio tabù. Leggi tutto…

VIOLA ARDONE racconta OLIVA DENARO (Einaudi)

Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: VIOLA ARDONE racconta il suo romanzo “Oliva Denaro” (Einaudi)

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 di Viola Ardone

La voce di questa ragazzina di quindici anni, Oliva Denaro, è la prima cosa che ho sentito, in questa storia. Aveva bisogno di raccontarsi perché aveva tanti dubbi, tante paure, ma anche un sacco di emozioni e ancora molta voglia di giocare, anche se si era appena affacciata all’età adolescenziale.
L’ho immaginata in un paesino della Sicilia nel 1960 perché volevo seguire il percorso iniziato già con Il treno dei bambini, un’esplorazione nella nostra storia recente per capire meglio il presente. E poiché io capisco immaginando storie e raccontandole, ho deciso di scriverci un romanzo. Il romanzo di un desiderio negato, di una violenza fisica e psicologica che ancora e da millenni si abbatte sulle donne, in tutto il mondo, a diverse latitudini. Una violenza che forse è antica quanto è antico il mondo e contro cui le donne, a ogni latitudine, hanno provato a ribellarsi. Ma Oliva non è una ribelle, è poco più che una bambina, rispetta le regole che sua madre le ha insegnato, prima tra tutte quella che dice: “la femmina è una brocca, chi la rompe se la piglia”. Non ha “grilli per la testa”, ama studiare ma non si immagina in un futuro diverso da quello che gli adulti di famiglia hanno immaginato per lei. Vuole essere come le altre, la madre, la sorella maggiore, le amiche ma non ci riesce perché qualcuno decide per lei, perché il figlio del pasticciere si incapriccia di lei e la prende con la forza, contro la sua volontà, convinto del fatto che il proprio desiderio sia sufficiente per entrambi, che il consenso della donna non abbia alcun valore. Leggi tutto…

ALBERTO ROLLO racconta IL MIGLIOR TEMPO (Einaudi)

Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: ALBERTO ROLLO racconta il suo romanzo “Il miglior tempo” (Einaudi)

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Una strada davanti.
Dal laboratorio di scrittura di Il miglior tempo.

di Alberto Rollo

C’era l’immagine di un giovane, un’immagine non ancora delineata ma in cui intravedevo tutto quello che mi suscita curiosità, ammirazione, dispetto, sgomento, perplessità nei ventenni che ho modo di frequentare, mia figlia compresa.
C’era questa immagine che si agitava e prendeva contorni suoi. Mi rendevo conto che alla figura concepita in autonomia si sommava la memoria di Christopher McCandless (Nelle terre estreme. Into the wild) così come lo raccontano Jon Krakauer nel libro del 1997 e Sean Penn nel film tratto da quella ricostruzione. Christopher non aveva la mia simpatia, né mi era chiaro come stimolasse una equivoca empatia in moltissimi ragazzi di buona famiglia che ne avevano fatto il loro idolo. Che lo volessi o meno, la figura che avevo in mente io aveva qualcosa di quella spinta verso l’estremo, apparteneva allo stesso caos, allo stesso dissesto interiore, allo stesso narcisismo sacrificale.  E così ho cominciato a scrivere di Filippo “Cantor” Castelli. Leggi tutto…

ERALDO AFFINATI racconta IL VANGELO DEGLI ANGELI (HarperCollins Italia)

Il vangelo degli angeli - Eraldo Affinati - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: ERALDO AFFINATI racconta il suo romanzo “Il Vangelo degli angeli” (HarperCollins Italia)

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di Eraldo Affinati

Questo mio ultimo libro, Il Vangelo degli angeli, scaturisce dall’emozione che provo a scuola. Mi spiego. Ho sempre insegnato italiano ai ragazzi difficili, prima negli istituti professionali romani, poi agli immigrati delle scuole Penny Wirton: quando vedo i loro occhi brillare mi chiedo: ma è tutto qui? Non abbiamo altro? Penso che ogni essere umano giunga, in modi diversi, a questo bivio. Se ti fai una domanda così, sei già dentro una dimensione spirituale.

Accostandomi alla straordinaria vicenda del Nazareno, ho voluto attribuire valore fondativo all’incontro con i miei studenti. Non sono un teologo, ma credo che il cristanesimo scaturisca dal sentimento dell’amicizia disinteressata.

Piccolo sunto bibliografico.
Esordii quasi trent’anni fa con Veglia d’armi, una riflessione su Lev Tolstoj, uno dei più grandi scrittori cristiani di tutti i tempi. Campo del sangue, il mio diario di viaggio ad Auschwtiz del 1997, annunciava sin dal titolo un’allusione al tradimento di Giuda. Nei testi su Dietrich Bonhoeffer e don Lorenzo Milani ho attraversato il Vangelo contromano. Altre opere dedicate alla scuola (La città dei ragazzi, Vita di vita, Elogio del ripetente, Tutti i nomi del mondo, Via dalla pazza classe, I meccanismi dell’odio, scritto con Marco Gatto) confermano l’intreccio fra letteratura e pedagogia. Leggi tutto…

ILARIA TUTI racconta FIGLIA DELLA CENERE (Longanesi)

Figlia della cenere - Ilaria Tuti - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: ILARIA TUTI racconta il suo romanzo “Figlia della cenere” (Longanesi)

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di Ilaria Tuti

La pandemia ci ha tolto molto, ma in alcuni casi è anche riuscita a restituire qualcosa di prezioso: il tempo.
L’anno scorso mi sono ripresa il mio tempo. Ho riassaporato la calma della casa, il mutare dei colori in giardino, l’assenza di impegni che nei due anni precedenti mi avevano portata sempre più spesso lontano dalla famiglia. Mi sono riappropriata dei miei spazi, fatti anche di silenzi, di piante da curare, da animali da accudire, di una bambina felice da crescere, di un marito desideroso, come me, di rallentare la corsa.
Sembra un paradosso, ma quando scrivere diventa una professione, allora è proprio scrivere che si fa arduo, dovendo dividersi continuamente tra impegni che ruotano attorno ai libri, ma che non aiutano a crearli.
E mentre attorno a me, a noi, lo spazio sembrava rimpicciolire, delimitato da restrizioni fisiche e paure, quello interiore cominciava a dilatarsi. Leggi tutto…

PAOLO NORI racconta SANGUINA ANCORA (Mondadori)

Sanguina ancora. L'incredibile vita di Fëdor M. Dostojevskij - Paolo Nori - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: PAOLO NORI racconta il suo romanzo “Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostojevskij” (Mondadori), finalista al Premio Campiello 2021

[Foto dell’autore, in basso, di Claudio Sforza]

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di Paolo Nori

Uno dei responsabili del fatto che ho scritto Sanguina ancora (L’incredibile vita di Fëdor Michajlovič Dostoevskij) è Antonio Pennacchi, che è anche uno dei personaggi del libro.
Un pomeriggio di una decina di anni fa, sono nella mia cucina, mi suona il telefono, rispondo, una voce mi dice: «Buongiorno, sono Antonio Pennacchi». «Oh, buongiorno», gli dico io, e lui mi dice che, insomma, ha letto dei romanzi che ho scritto e son proprio bravo, secondo lui. Che è una cosa che a me è successa solo con Antonio Pennacchi; non si fa così, di solito, e Pennacchi, una delle cose belle che aveva, se ne fregava, di come si fa.
Dopo ci vediamo, lo vado a trovare a Latina, lo invito in Emilia a far delle cose e, tutte le volte che mi vede, lui mi dice che dovrei scrivere una cosa un po’ più grossa. Leggi tutto…

PAOLO MALAGUTI racconta SE L’ACQUA RIDE (Einaudi)

Se l'acqua ride - Paolo Malaguti - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: PAOLO MALAGUTI racconta il suo romanzo “Se l’acqua ride” (Einaudi), finalista al Premio Campiello 2021

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di Paolo Malaguti

Sulla copertina di un libro, assieme al titolo, si trova normalmente il nome dell’autore, ma questa convenzione, si sa, non rispecchia la realtà dei fatti. E non solo perché dietro a una pubblicazione c’è il lavoro di un’intera squadra (editor, grafici, addetti stampa e così via), ma perché, per quanto individuale e solitaria possa essere l’azione della scrittura, sono convinto che ogni autore arrivi a costruire un testo (narrativa, saggistica, poesia) sulla scorta di più incontri. Nel mio percorso questo principio si è sempre rivelato valido, mai però come in quest’ultimo romanzo, “Se l’acqua ride”.
Provo a procedere in ordine cronologico, e parto dal luogo in cui ho ambientato il romanzo, ossia la fetta di pianura padana compresa tra Padova, Venezia, Ferrara e il delta del Po. In questo quadrilatero sghembo di acqua e terra ho le mie radici. I miei nonni paterni erano di Ferrara, quelli materni della bassa padovana. Mi piace la pianura, in particolare la campagna piatta e apparentemente uguale che prelude all’Adriatico. Mi piace la nebbia nelle mattine d’inverno lungo i canali e gli argini, mi piace il sole a picco nelle canicole estive sui campi secchi dopo la mietitura. In età adulta è arrivato l’amore per la montagna, ma quello è un punto approdo, non di partenza, e la faccenda cambia.

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GAIA MANZINI racconta NESSUNA PAROLA DICE DI NOI (Bompiani)

Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: GAIA MANZINI racconta il suo romanzo “Nessuna parola dice di noi” (Bompiani)

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di Gaia Manzini

Il romanzo è nato da una voce che mi inseguiva. Era la voce di una ragazza. Avevo voglia di assecondare questa voce che assomigliava alla mia da giovane, avevo voglia di scrivere in prima persona e dire “io”.
Ho lavorato per dieci anni in un’agenzia di pubblicità come copywriter. Mi sembrava fosse un buon proseguimento per la mia laurea in lettere. Quello che mi aveva colpito fin da subito era l’atmosfera che si respirava in un reparto creativo: l’assenza di qualsiasi formalità e l’incoraggiamento alla regressione come processo necessario per accedere al proprio io fanciullo. In agenzia si stringeva subito amicizia, si trovavano degli alleati e dei complici non solo nel lavoro ma anche nella vita.
È quello che succede ad Ada, la mia protagonista. Trova il suo primo lavoro in un’agenzia pubblicitaria di Milano e lì conosce Alessio: lavorano insieme, si scambiano confidenze, paure e ambizioni. Ma soprattutto Alessio fin da subito crede in lei, nelle sue capacità, nella forza della sua immaginazione. Mi ricordo perfettamente la sensazione che si prova spesso da giovani: quella di rinascere dentro le parole degli altri, quando ci restituiscono un’immagine di noi che neanche pensavamo di avere. Ada non ha mai pensato di essere talentuosa, non ha mai pensato di meritarsi le attenzioni del mondo, e invece grazie ad Alessio si sente rinascere: le sue parole la fanno nuova. È una sensazione bellissima, come quando ci sentiamo sospinti dal vento; e in effetti la prima pagina che ho scritto di questo romanzo, e che poi ho tolto dalla versione finale, era una scena che raccontava di Ada e Alessio investiti dal vento durante una giornata al mare, in cima a un belvedere. Allargano le braccia e mimano il volo dei gabbiani. Si sentono due ragazzini, ridono senza sentire le reciproche voci. Leggi tutto…

MARIA GRAZIA CALANDRONE racconta SPLENDI COME VITA (Ponte alle Grazie)

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: MARIA GRAZIA CALANDRONE racconta il suo romanzo “Splendi come vita” (Ponte alle Grazie), presentato all’edizione 2021 del Premio Strega da Franco Buffoni

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di Maria Grazia Calandrone

Avere una storia come la mia ed essere scrittrice significa sentirsi ripetere per anni «Perché non la scrivi?», significa avere più di una proposta editoriale per un’autobiografia da scrivere e significa, però, dover trovare il tono giusto per parlare di sé senza parlare di sé, perché la mia intenzione è sempre stata quella di adoperare la mia storia per raccontare una relazione universale o, più modestamente, almeno sociale.

Ho fatto un primo tentativo qualche anno fa, rimanendo calata nel mio punto di vista per raccontare i cambiamenti dell’Italia, in particolare di Roma, la mia città. Ma il risultato sembrava una copia addensata, mediterranea, dell’idea acuminata di Annie Ernaux. A Roma ci sono troppe ombre, l’aria è troppo profonda, occorreva più io, perché a Roma l’io è completamente superfluo, irrisorio, è una città che ha visto nascere, passare e morire troppe vite, per dolersi o gloriarsi davvero di una singola esistenza. Sotto gli occhi di Roma i nostri drammi sono molecole di un gran fiume vitale che da millenni attraversa l’essere, senza parola. A Roma cambiano peso e prospettiva dell’identità, la terza persona Ernaux non funziona, suona meccanica e artificiosa: qui il nostro io deve venire esposto, perché non ha importanza. Qui si tratta di dare il cattivo esempio. Leggi tutto…

ALICE URCIOLO racconta ADORAZIONE (66thand2nd)

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: ALICE URCIOLO racconta il suo romanzo “Adorazione” (66thand2nd), presentato all’edizione 2021 del Premio Strega da Daniele Mencarelli

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di Alice Urciolo

Quando ho iniziato a scrivere Adorazione non sapevo né dove né come sarei arrivata alla fine del percorso, la mia unica guida era un nucleo di temi e di argomenti di cui sentivo l’esigenza di parlare. Adesso, a percorso concluso, la sensazione è quella di aver messo in campo quel nucleo, che i personaggi l’abbiano raccolto, e che poi mi abbiano guidato loro attraverso la scrittura. Insomma, il romanzo ha preso forme diverse sotto i miei occhi e mi ha chiesto di adeguarmi a queste nuove forme.
Ho iniziato a scrivere Adorazione in prima persona: la voce narrante e il punto di vista erano quelli di Diana, una ragazza di sedici anni con una grande voglia a ricoprirle la gamba destra, che lei ha reso il simbolo di tutte le sue insicurezze. Poi, man mano che il mondo attorno a Diana cresceva, che si delineava l’ambientazione – Pontinia, Latina, Sabaudia – e soprattutto acquisivano un profilo definito i personaggi che vi abitavano, il romanzo stesso ha iniziato a cambiare. Leggi tutto…

ROBERTO VENTURINI racconta L’ANNO CHE A ROMA FU DUE VOLTE NATALE (SEM)

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: ROBERTO VENTURINI racconta il suo romanzo “L’anno che a Roma fu due volte Natale” (SEM), presentato all’edizione 2021 del Premio Strega da Maria Pia Ammirati

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di Roberto Venturini

Fiorello: ‘Non ho parole per commentare un atto così vile’. Baudo: ‘Indignato e dispiaciutissimo’.
Queste le dichiarazioni a freddo all’indomani del ratto della salma di Mike Bongiorno dal cimitero di Arona, nel gennaio del 2011.
Se a questa altezza cronologica le molteplici motivazioni che ormai più di tre anni fa mi hanno sollecitato a scrivere il mio ultimo romanzo mi appaiono in larga parte nebulose e decisamente meno presenti e chiare alla memoria, ricordo però perfettamente, questo sì, uno dei due grandi moventi responsabili della genesi de L’anno che a Roma fu due volte Natale.
Un po’ mi vergogno, non lo nego, ma è stato un morboso interesse per il fatto di cronaca che vide protagonista la bara del Mike nazionale – all’anagrafe Michael Nicholas Salvatore Bongiorno – ad aver innescato la miccia. Fin da subito è scattata in me la curiosità rispetto a un’azione a tutta prima deplorevole e irrispettosa dal punto di vista etico ma che, scartata l’ipotesi del furto allo scopo di estorsione e ricettazione (non fu mai chiesto un riscatto alla famiglia Bongiorno), ha rivelato la natura profondamente simbolica di questo abominevole atto criminale. Leggi tutto…

PAOLO ZARDI racconta MEMORIE DI UN DITTATORE (Perrone)

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: PAOLO ZARDI racconta il suo romanzo “Memorie di un dittatore” (Perrone), presentato all’edizione 2021 del Premio Strega da Paolo Di Paolo

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di Paolo Zardi

La nascita di un romanzo, la sua esistenza autonoma, compiuta, e indipendente dall’autore, sono i frutti misteriosi di un processo che si svolge in un mondo sotterraneo, buio e inaccessibile che è la mente di chi quel romanzo lo ha scritto. Nel tentativo di ricostruire, a posteriore, i passi che ho seguito per arrivare alle Memorie di un dittatore, credo di dover tornare indietro fino alla quinta ginnasio quando, per la prima volta, incappai nella curiosa e sorprendente storia di Eliogabalo, un ragazzo di quattordici anni che, per una serie fortuite di cause, era salito al vertice di quello che allora era l’impero più grande del mondo. I quattro anni in cui detenne il potere furono caratterizzati da eccessi e follie di ogni tipo, incomprensibili e inaccettabili perfino per quella società romana già avviata verso la decadenza; la sua avventura si concluse come per la stragrande maggioranza degli imperatori romani: venne ucciso dai pretoriani e sostituito dal cugino Alessandro Severo, che a sua volta sarebbe stato ucciso dai suoi soldati tredici anni dopo. Quella storia aberrante, tragica e ridicola allo stesso tempo, poneva una domanda che per me sarebbe diventata centrale: quali qualità specifiche possiedono le persone che conquistano il potere? Leggi tutto…

LISA GINZBURG racconta CARA PACE (Ponte alle Grazie)

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: LISA GINZBURG racconta il suo romanzo “Cara pace” (Ponte alle Grazie), presentato all’edizione 2021 del Premio Strega da Nadia Terranova

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di Lisa Ginzburg

“Decido che assolutamente devo andare a Roma”. Per molto tempo la frase mi ha ticchettato nella testa: era l’embrione del mio romanzo, ma io ancora non lo sapevo. Per il momento (e così è rimasta per molto tempo) si trattava di una sola, singola enunciazione – il suo ritmo, una metrica che cadenzava un grumo di idee e nostalgie delle quali non avevo ancora dipanato nessun bandolo. Mi succede che certe parole o espressioni mi risuonino in testa in maniera anche ossessiva: spesso preludono a qualcosa che scriverò, ma questa volta in quelle diciotto sillabe si annidava un romanzo, una vicenda intera che covavo senza essermene accorta. A essere più esatta, di raccontare la storia di due sorelle lo desideravo da tempo, ma secondo quale intreccio mi sfuggiva del tutto. È stata quella prima frase, con il suo ingombrante ricorrere, a illuminarmi la strada: come un faro.
Poi, spira successiva di quel mandala composto di circolarità successive che la genesi di un romanzo sa essere, s’è imposta alla mente Maddalena, una delle sorelle protagoniste di Cara pace e sua voce narrante. Ancor prima del suo personaggio, ho “visto” il particolare sguardo da lei posato sulla sorella minore, Nina, i suoi eccessi e le intemperanze. Così, dopo una frase, il suo ritmo e l’imperativo che contiene in sé (un monito a tornare a casa, cioè al luogo originario dove tutto è incominciato – mettendo in atto così un redde rationem con il tempo, accorciando le distanze geografiche e ricomponendole, una decisione esistenziale prima ancora che di viaggio), la seconda dimensione che si è configurata nel pensiero è stata psicologica. Narrare due sorelle diversissime nel carattere, le traiettorie dei loro sguardi simmetrici, i contorni di un legame che da subito ho pensato come simbiotico, complesso, stratificato. Leggi tutto…

STEFANO CORBETTA racconta LA FORMA DEL SILENZIO (Ponte alle Grazie)

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: STEFANO CORBETTA racconta il suo romanzo “La forma del silenzio” (Ponte alle Grazie), presentato all’edizione 2021 del Premio Strega da Lorenza Foschini

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di Stefano Corbetta

Ho scritto la prima stesura de La forma del silenzio nell’ottobre del 2017, mentre ero convalescente per un incidente a una gamba. Mi trovavo in un parcheggio dopo una serata con amici. All’improvviso, per una distrazione del conducente, un’auto con la portiera aperta ha fatto un balzo all’indietro e lo spigolo di lamiera mi ha perforato il polpaccio scaraventandomi a terra.
Dopo aver passato la notte in ospedale, sono rientrato a casa con l’ordine di restare a letto per almeno tre settimane: immobilità assoluta, pena la compromissione permanente del tendine. Nella completa solitudine della mia camera, imbottito di antidolorifici, trascorrevo le ore della giornata guardando film per neutralizzare l’immagine dello squarcio che avevo sempre davanti agli occhi e che mi causava incubi dai quali uscivo con la sensazione di non avere più la gamba. È stato in quei giorni che mi sono imbattuto in Arrival, il film di Denis Villeneuve basato sul racconto The story of your life di Ted Chiang in cui una perfetta Amy Adams interpreta Louise Banks, una linguista ingaggiata dal governo americano per cercare di aprire un canale comunicativo con gli eptapodi, extraterrestri silenziosi simili a calamari giganti che nel film si esprimavano disegnando nell’aria cerchi d’inchiostro dal significato oscuro. Leggi tutto…

ALESSANDRO RAVEGGI racconta GRANDE KARMA (Bompiani)

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: ALESSANDRO RAVEGGI racconta il suo romanzo “Grande karma. Vite di Carlo Coccioli” (Bompiani), presentato all’edizione 2021 del Premio Strega da Giorgio Van Straten

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di Alessandro Raveggi

Penso che Grande karma come romanzo sia nato da un’impossibilità, e forse tutti i miei romanzi vorrei che lo fossero, nati da un’impossibilità. Si scrive sempre perché si percepisce un contrasto, un attrito, una abrasione, con qualcosa là fuori. E da lì inizia la caccia. E lo scrittore Carlo Coccioli era per davvero molto Là Fuori, “ovunque là fuori nel mondo” come scrisse a suo nipote, un ente misterioso, fantasmagorico, un santone immortale, un’esistenza inesauribile di cui era fin dall’inizio impossibile fare un monumento. Quanto piuttosto un mosaico di documenti, vite, fogli sparsi, chiamiamolo un retablo di vite e chincaglierie: dall’infanzia toscana poi e libica dopo, dalla gioventù partigiana agli allori del giovane écrivain italien a Parigi paragonato a Camus fino all’esilio messicano durato 50 anni, facendo gimkana tra una cinquantina di pubblicazioni importanti, alcune straordinarie, oltre a centinaia di autotraduzioni allo spagnolo e francese, e traduzioni in inglese, tedesco, olandese, ecc. Questo è Carlo Coccioli, nato a Livorno nel 1920, e morto a Città del Messico nel 2003. Una vita tutto sommato felice, quella di un grande dimenticato del nostro Paese. Leggi tutto…

DIEGO MARANI racconta LA CITTÀ CELESTE (La nave di Teseo)

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: DIEGO MARANI racconta il suo romanzo LA CITTÀ CELESTE (La nave di Teseo)

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di Diego Marani

Il personaggio principale di questo romanzo è la città di Trieste in tutta la sua complessità. Città di frontiera, città contesa, città cosmopolita, città multilingue, città portuale, Trieste ha tutti i connotati del luogo di contrasto, della città-mondo che non può appartenere a nessuna patria perché è essa stessa un mondo, una fautrice di identità, un mosaico di patrie, una collezione di diversità. Il protagonista che viene dall’Italia profonda, uniforme e indistinta, scopre qui le contraddizioni dell’idea di patria, le ipocrisie della nazione, la falsità di ogni bandiera e si avventura in una ricognizione di questa realtà che è in parte rudere del passato, in parte accanita sopravvivenza di qualcosa che non vuole morire.
La storia si situa nel tempo della cortina di ferro, quando su Trieste incombeva anche la minaccia della frontiera politica, il ricordo mai sopito dell’occupazione iugoslava, dei massacri e delle vendette, delle persecuzioni e delle epurazioni etniche. La storia personale del protagonista si ingarbuglia così nella storia della città che dapprima gli sembra inospitale proprio perché non rientra nell’immagine che ne dà la mitologia dello Stato-nazione, si sottrae al luogo comune e si barrica ad ogni comprensione. Leggi tutto…

ANTONELLA LATTANZI racconta QUESTO GIORNO CHE INCOMBE (HarperCollins Italia)

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: ANTONELLA LATTANZI racconta il suo romanzo QUESTO GIORNO CHE INCOMBE (HarperCollins), libro candidato all’edizione 2021 del Premio Strega da Domenico Starnone

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di Antonella Lattanzi

Mi capita una cosa strana. Mi capita con tutti i miei libri. Quando cerco di ricordare quando e come mi è venuta l’idea per un personaggio, quando e come ho deciso il finale, o di tornare con la mente al tempo, per esempio, della creazione della struttura, dello studio sui personaggi. Non ricordo quasi nulla.
Vedo solo degli sprazzi. Ma non ricordo mesi e mesi passati a strutturare, studiare schemi, spostare colpi di scena, inventare personaggi. Nebbia. E in mezzo a quella nebbia, delle immagini.
Un’immagine. Un’estate barese in cui sono tornata a casa dei miei per le vacanze. Sto lavorando sul balcone a Devozione, il mio primo romanzo. A un certo punto, nella calura totale (io ho sempre freddo, quindi per me l’espressione “calura totale” vuol dire “metto comunque un giacchettino”), comincia a cadere, dal cielo, la neve. Chiamo mio padre. Esce sul balcone. Vede anche lui la neve. Io penso: finalmente ecco l’evento straordinario che aspetto da una vita. E lo sto vivendo qui, dove sono nata. Leggi tutto…

MIMMO GANGEMI racconta IL POPOLO DI MEZZO (Piemme)

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: MIMMO GANGEMI racconta IL POPOLO DI MEZZO (Piemme), libro candidato all’edizione 2021 del Premio Strega da Raffaele Nigro

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di Mimmo Gangemi

Nelle giornate di levantina, con il vento che si abbatteva a folate possenti fischiando i muri nel rimbalzarvi sconfitto e sciamando la pioggia di qua e di là al modo di un banco di acciughe, sedevamo attorno alla corona circolare, di legno e con il braciere di rame nel buco in mezzo, il carbone ardente sottomesso alla cenere per allungarne la durata, i piedi sui bordi e le mani protese al centro a raccogliere il calore. E ascoltavamo estasiati le divagazioni degli adulti. Il nonno snodava lenta la voce da fumatore incallito, roca di un catarro acquoso, quasi tenesse stabile uno scaracchio in fondo alla gola. Si smarriva nella sua America, quella degli albori del secolo scorso. Ci era rimasto tredici anni, sempre a costruire ferrovia. Lo restituì all’Italia la diceria che chi non fosse tornato a servire la patria nella Grande Guerra non avrebbe più potuto farlo.
Da allora è diventata anche la mia America, l’ho costruita attraverso quei racconti, i ricordi faticosi su cui lo scorrere del tempo aveva steso una patina che sfumava in dissolvenza i patimenti e imbrillantava di una lucentezza che non c’era stata la gioventù sacrificata lontano. È spanciato al mondo da lì il mio primo romanzo sull’emigrazione, La signora di Ellis Island. Da lì, pure Il popolo di mezzo, perché mi era debitrice di altro, la memoria.
Seguendo la fatica da schiavi nei cantieri ferroviari, ho impattato sul razzismo addosso ai neri e agli italiani – i non visibilmente negri – colpevoli anche di fraternizzare tra loro, e sui linciaggi, con i nostri emigrati che ne furono vittime innocenti, così a Tampa, a Louisville, a Denver, a Tallulah, così nel 1891 a New Orleans, dove vennero impiccati undici siciliani già assolti per l’omicidio del Chief, il capo della polizia. E mi sono imbattuto nel jazz, la cui origine va a merito dei neri e dei siciliani, in una New Orleans che nel 1910 contava 90 mila abitanti, 12 mila dei quali giunti dalla Sicilia. I neri contribuirono con gli spiritual che accompagnavano la fatica nei cantieri e nei campi di cotone. I siciliani, con gli strumenti a fiato e con le sonorità delle bande tradizionali. Leggi tutto…

CHIARA MEZZALAMA racconta DOPO LA PIOGGIA (Edizioni E/O)

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: CHIARA MEZZALAMA racconta DOPO LA PIOGGIA (E/O), libro candidato all’edizione 2021 del Premio Strega da Jhumpa Lahiri

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di Chiara Mezzalama

Il 13 novembre 2015 ho sentito degli spari. D’istinto ho chiuso le persiane. A poche centinaia di metri da casa si stava consumando la strage del Bataclan. Per la seconda volta in quello stesso anno, il quartiere si è trasformato in un cimitero. Portavo a scuola i figli camminando tra le candele, le corone di fiori, le lacrime, la rabbia e la paura.

Il 30 novembre, sempre a Parigi, era prevista la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la Cop21. Ho seguito una parte dei lavori con un collettivo di giornalisti, giornaliste e militanti arrivati da ogni angolo del globo.
I terroristi volevano che ci chiudessimo in casa, i militanti ecologisti spalancavano le porte del mondo e ci invitavano a prenderci cura di un pianeta rovinato; il nostro. Degli attentati hanno scritto in molti (anche io avevo scritto qualche mese prima Voglio essere Charlie: diario minimo di una scrittrice italiana a Parigi). Della crisi ecologica quasi nessuno. Leggi tutto…

ROMANA PETRI racconta CUORE DI FURIA (Marsilio)

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: ROMANA PETRI racconta CUORE DI FURIA (Marsilio)

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di Romana Petri

L’idea di scrivere questo romanzo è nata molti anni fa, mentre stavo lavorando a I padri degli altri, una raccolta di racconti sulle crudeltà paterne. Volevo inserirlo, poi mi sono resa conto che non sarebbe stato mai un racconto, ma un romanzo. E così ho aspettato, rimandato, provato, rinunciato. E poi scritto tutto di un fiato. Come non avessi scelto io.
Cuore di furia nasce dal desiderio di raccontare due mondi: quello dei padri crudeli, che molto mi affascina, soprattutto quando questa incapacità genitoriale si tramanda, come se il male avesse sempre il potere di non essere mai inquinato dal bene; e quello del padre artista, in questo caso scrittore, e dunque uomo-libro.
Il romanzo è liberamente tratto (molto liberamente) dalla vita del grande scrittore Giorgio Manganelli. Non so se sia stato un padre così terribile come io descrivo Jorge Tripe (questo il nome del mio personaggio), ma non ha molta importanza, Manganelli è un’ispirazione, forse il suo essere così tenebricoso nella scrittura un po’ mi lasciava “ben sperare”.
Ho analizzato l’incapacità affettiva dell’uomo-libro, di quell’individuo che, così preso dalla creazione, dall’evoluzione linguistica del suo scrivere, subisce un’involuzione affettiva dalla quale non può (forse non vuole) tornare indietro. Si chiude nel gigantesco, egotico mondo dell’Io. Gli dicono che è un genio, e credo non vi sia iattura peggiore di quella di essere definiti da troppe persone un genio. Se davvero diventiamo ciò che gli altri vedono in noi, un genio si sentirà un genio. Dunque non adatto a vivere con gli individui comuni (praticamente tutti quelli che non sono lui). Subirà una specie di auto abbandono. Essendo un genio deve stare per conto suo, nessuno sarà mai alla sua altezza. Leggi tutto…

GIULIO MOZZI racconta LE RIPETIZIONI (Marsilio)

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: GIULIO MOZZI racconta LE RIPETIZIONI (Marsilio)

[la foto di Giulio Mozzi, in basso, è di Francesco Terzago]

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di Giulio Mozzi

Le ripetizioni è un romanzo ambizioso. La frase che ho avuta in testa per quasi due anni, diciamo tra l’autunno del 2018 – quando sono stato spinto da Greta Bertella a riprendere in mano certe vecchie carte – e il 30 luglio del 2020 – quando ho consegnato all’editore il romanzo finito – è: «Voglio fare un romanzo impeccabile». Mettetevi nei miei panni. Sono nato nel 1960. Come scrittore ho dato il meglio di me – per comune giudizio – con le raccolte di racconti che ho pubblicate negli anni Novanta: Questo è il giardino, 1993, La felicità terrena, 1996, Il male naturale, 1998; ai quali si può aggiungere, ma il giudizio comune lo mette in secondo piano, Fiction, 2001. Negli anni successivi ho pubblicato, con un ritmo sempre più lento, libri sempre più difficili da classificare: dei prosimetri, come Fantasmi e fughe, 1999, e La stanza degli animali, 2010, un poema, Il culto dei morti nell’Italia contemporanea, 2000, e altri libri in versi; una raccolta di novelle brevissime, Sono l’ultimo a scendere, 2009, e un libro e metà strada tra teatro, novella e poesia, Favole del morire, 2015. Inoltre: fin dal 1993 mi sono dato all’insegnamento di quella cosa che viene orribilmente chiamata «scrittura creativa», e che altro non è che la pratica della letteratura; dal 1998 ho lavorato nell’editoria, soprattutto come scout, facendo da levatrice a qualcosa di più di un centinaio di romanzi. Leggi tutto…

LOREDANA LIPPERINI racconta LA NOTTE SI AVVICINA (Bompiani)

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: LOREDANA LIPPERINI racconta LA NOTTE SI AVVICINA (Bompiani)

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di Loredana Lipperini

La notte si avvicina” racconta un’epidemia di peste che scoppia nel 2008 in un piccolo e inesistente paese delle Marche, Vallescura. Nasce con l’intento di raccontare un flagello, di cui la peste è metafora, e nasce molto prima del flagello vero. Era il 2016. Partecipavo a una residenza letteraria, Sconfinare a Lampedusa, dove ero stata invitata da Evelina Santangelo: scrittori che restano una settimana sull’isola, osservano, la raccontano nell’ultimo giorno. L’idea iniziale era quella di un gemellaggio con Gita al Faro, a Ventotene, ma scopriamo quasi subito che non può essere così. A Ventotene tutto è già avvenuto: il confino di Giulia, figlia dell’imperatore, il carcere borbonico a Santo Stefano, la morte di Gaetano Bresci, Altiero Spinelli, il manifesto per l’Europa.
Ecco, l’Europa. Quando arrivi a Lampedusa capisci che qui tutto sta accadendo, invece, e che c’è un mondo millenario che sta vacillando (il centro vacilla, dice Yeats, e non sapeva quanto fosse profetica questa frase) e una mutazione che non è ancora raccontabile, e che sicuramente in molti, moltissimi, non vogliono neppure provare a raccontare. Leggi tutto…

GIULIA CAMINITO racconta L’ACQUA DEL LAGO NON È MAI DOLCE (Bompiani)

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: GIULIA CAMINITO racconta L’ACQUA DEL LAGO NON È MAI DOLCE (Bompiani)

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di Giulia Caminito

L’acqua del lago non è mai dolce nasce da un racconto, molto breve, che scrissi qualche anno fa, un racconto che ha in comune con il romanzo: il lago, la morte e i limoni.
Quel racconto – piccolo, doloroso – l’ho poi messo da parte, tenuto al caldo, aspettando di essere pronta per rileggerlo, deciderne il futuro.
Come autrice ho sempre prediletto le fughe, i racconti surreali, i romanzi che andavano a pescare nelle pozze delle vicende famigliari. I non detti altrui, le fotografie, i ricordi, le cartine geografiche. Il tempo della scrittura, prima di questo romanzo, era stato per me un confortevole rifugio.
Anche se facevo guerreggiare mentre scrivevo la voglia di trovare uno stile mio – e mio soltanto – con le storie del passato e la grande Storia, ero nascosta, al margine e potevo abbuffarmi di molti libri per delineare e modellare i miei, mi sentivo al sicuro. Leggi tutto…

TULLIO AVOLEDO racconta NERO COME LA NOTTE (Marsilio)

Nero come la notte Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: TULLIO AVOLEDO racconta il suo romanzo NERO COME LA NOTTE (Marsilio), libro vincitore del Premio Scerbanenco 2020.

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LANCIARE FRECCE CONTRO GLI ELICOTTERI

di Tullio Avoledo

All’origine di ogni mio libro c’è un seme.
Può essere una frase, un ricordo, un’immagine.
Può essere, in realtà, qualsiasi cosa.
Tre sono le cose misteriose, per dire, è nato da un osso mezzo rosicchiato. Camminavo con mio figlio Francesco, allora molto piccolo, per un viale di una città di mare, e ho visto quest’osso spuntare da sotto una siepe. Perché Francesco non lo vedesse l’ho spinto col piede sotto i rami. Tornato a casa, mi sono messo a scrivere una storia che aveva come protagonista un giovane pubblico ministero in un tribunale internazionale per crimini di guerra.
Ossa e ruggine e orrore, quello che affiora dalla terra in quel libro, è germinato da quel mio gesto, dal mio nascondere l’osso a mio figlio. Vi si è unito il ricordo irreale dell’estate in cui, disteso al sole sulla spiaggia di Lignano Sabbiadoro, guardavo passare, fra l’indifferenza dei bagnanti, gli aerei USA in volo per bombardare la Bosnia. Poi sono venuti i testi di medicina legale, gli atti dei tribunali veri e le memorie di chi aveva lavorato per identificare i morti delle fosse comuni di Srebrenica e di altri luoghi dell’ex Jugoslavia in cui la pretesa civiltà europea era collassata in un buco nero d’orrore.
Ma all’origine c’era solo un osso spolpato.

L’ispirazione per La ragazza di Vajont sono stati invece la poesia Parole povere di Pierluigi Cappello e alcuni versi di Walther von der Vogelweide sull’inverno. Si può tranquillamente dire che l’ambientazione di quel romanzo freddo e cupo sono di fatto quelle due poesie, cui poi venne ad aggiungersi il quadro Cacciatori nella neve di Pieter Bruegel il Vecchio, che quell’anno vidi, in un freddo pomeriggio di febbraio, al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Pierluigi (per inciso: non è lui lo “Storpio” del romanzo) mi ha prestato anche la passione per il modellismo aereo e per la numismatica romana.

Per Nero come la notte l’origine è l’incontro di tre letture: Leggi tutto…

GIANLUCA MOROZZI racconta ANDROMEDA (Perrone)

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: GIANLUCA MOROZZI racconta il suo romanzo ANDROMEDA (Perrone)

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https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/6/6c/GianlucaMorozzi.jpgdi Gianluca Morozzi

Il conte di Montecristo. È la risposta automatica, no? Ti chiedono “qual è il più grande romanzo sul tema della vendetta?  “Ma Il conte di Montecristo, non è ovvio?”.
Però, prima di addentrarmi nelle pagine degli autori francesi dell’Ottocento, da bambino leggevo gli Urania. Quella bella fantascienza da edicola, con il bianco a evidenziare le straordinarie, evocative illustrazioni di Karel Thole racchiuse in un cerchio. E quegli altri romanzi dell’Editrice Nord, le copertine della Serie Oro…
Destinazione stelle di Alfred Bester, Serie Oro, fu il mio primo balzo (o jaunto?) nell’affascinante, intrigante, irresistibile mondo della vendetta. Mi piacque così tanto che comprai anche un Urania firmato Bester, La tigre della notte, solo per scoprire… che era sempre Destinazione stelle (quei bizzarri equivoci tipo La svastica sul sole / L’uomo nell’alto castello). Siccome ho ricomprato anche l’edizione più recente, posso dire di possederlo in triplice copia.
I miei occhi e il mio cervello fiammeggiavano leggendo dell’ossessione vendicativa di Gully Foyle, un mediocre individuo, una bestia in forma umana, nei confronti di chi l’aveva lasciato a morire. E per riuscire a portare a termine il proprio obiettivo, si superava. Diventava un altro, un anti-eroe così determinato da diventare una creatura semidivina, destinata a guidare l’umanità verso nuovi traguardi. Lui, l’umile meccanico che si aggirava nello scheletro dell’astronave Nomade! “Stava morendo da centosettanta giorni e non era ancora morto…” Leggi tutto…

GIORGIO VAN STRATEN racconta IL MIO NOME A MEMORIA

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: GIORGIO VAN STRATEN racconta il suo romanzo IL MIO NOME A MEMORIA (Brioschi editore)

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di Giorgio van Straten

Il mio nome a memoria ha cominciato a nascere molti anni prima della sua pubblicazione. Mio padre era morto da poco, alla fine del 1988, e un suo biscugino, di cui ignoravo l’esistenza, mi scrisse dicendomi che ero l’ultimo della famiglia a portare il cognome van Straten. Per farmi capire meglio di cosa stesse parlando, mi allegò la fotocopia di un vecchio documento dei primi anni dell’Ottocento in cui un tale Hartog, che viveva a Rotterdam, aveva scelto il proprio cognome (che era anche il mio) di fronte al sindaco della città, a quel tempo possedimento napoleonico. La storia mi colpì, anche perché in Italia i cognomi sono molto più antichi e, soprattutto, non sono il frutto di una scelta, ma nascono da una caratteristica fisica, dal mestiere praticato, dal nome di un antenato, e di solito sono stati imposti dagli altri. L’idea che a qualcuno fosse stato ordinato di sceglierselo, di abbandonare il semplice patronimico – Hartog figlio di Alexander – e che quella scelta avesse finito per coinvolgere inevitabilmente anche me mi emozionava. Leggi tutto…

MARTA BARONE racconta CITTÀ SOMMERSA

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: MARTA BARONE racconta il suo libro CITTÀ SOMMERSA (Bompiani). Libro candidato all’edizione 2020 del Premio Strega

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di Marta Barone

Città sommersaLa storia di come Città sommersa è nato è già dentro il libro. Un padre muore; una figlia non riesce ad attraversare il lutto per le troppe cose non dette e le lacerazioni rimaste aperte e in qualche modo lo lascia da parte, non riesce a guardarlo; un paio di anni dopo quella figlia, che si è trasferita in un’altra città dopo la laurea e che una volta scriveva e aveva pubblicato libri per ragazzi, ma è impantanata da anni in un silenzio fangoso, a cercare di scrivere un libro nato già morto perché basato su delle idee ma senza una storia, torna a casa e quasi per accidente ritrova la memoria difensiva su un processo per partecipazione a banda armata a cui suo padre è stato sottoposto negli anni ottanta. La figlia sa già, molto vagamente, del processo e del carcere: ma dentro quelle pagine, che sono solo un riassunto degli eventi – l’accusa è di aver curato, lui medico operaio, un ferito di Prima linea e di aver “quasi” visitato un’altra terrorista ferita tre anni dopo – si muove un personaggio sconosciuto, interessante, misterioso, che accende una miccia sepolta.
Ora io – che naturalmente sono quella figlia – desideravo sapere qualcosa di quel fantasma sfuggente: e così ho cominciato a cercare persone, a scoprire cose della sua militanza politica nell’estrema sinistra, da Valle Giulia alle lotte operaie e per la casa a Torino, dei suoi amori, delle sue amicizie, del suo bizzarro vagare, della sua generosità e delle sue scelte a volte incomprensibili, di eventi sconvolgenti che dovevano avergli cambiato per sempre la vita e di cui non sapevo nulla, e che mi costringevano a rileggere in una nuova chiave quasi tutto dell’uomo che avevo conosciuto, o creduto di conoscere. Leggi tutto…

LUIGI LA ROSA racconta L’UOMO SENZA INVERNO

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: LUIGI LA ROSA racconta il suo romanzo L’UOMO SENZA INVERNO (Piemme)

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di Luigi La Rosa

La genesi de L’uomo senza inverno (Piemme) è in qualche modo legata a una storia d’amore e probabilmente a un’ossessione. È così che gli scrittori sentono le storie: come idee divoranti, che prendono forma, che guadagnano corpo e consistenza, che impongono di sprofondare, dolcemente, nell’abisso che li circonda.
In questo caso, ricordo ancora quello che gli occhi, nel lontano inverno di sette anni fa, stentavano a mettere a fuoco dalle vetrate del bistrot vicino casa, nella pioggerella del pomeriggio parigino. L’enorme boulevard, la schiera dei platani dai tronchi scuri e massicci, l’ombra che cadeva, lieve come un velo, sul marciapiede bagnato. E i passanti, numerosi, nervosi, affaccendati: tutti un po’ anonimi e di corsa, come nelle meravigliose tele di Gustave Caillebotte, perché in quel gomito di tempo lontano e particolarmente intenso della mia vita era già a lui che pensavo, al genio dimenticato, al pittore perlopiù sconosciuto, un uomo misteriosissimo sulla cui vicenda s’era depositata una spessa coltre di silenzio. Leggi tutto…

GIORGIO FONTANA racconta PRIMA DI NOI

Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: GIORGIO FONTANA racconta il suo romanzo PRIMA DI NOI (Sellerio)

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di Giorgio Fontana

Durante la rotta di Caporetto, un giovane soldato si dà alla fuga e trova riparo in un casolare del Friuli occidentale: qui seduce la figlia del contadino che lo ospita, e quando scopre che è incinta fugge, per poi ritornare sotto minaccia del contadino stesso. Questo è quanto abbia mai saputo di mio bisnonno, che non ho mai conosciuto personalmente. Una decina di anni fa ho iniziato a fantasticare su tale piccolo episodio, che mi pareva racchiudere — come una molla ben compressa e pronta a esplodere — grandi potenzialità narrative: i mesi in trincea come avevano ridotto quell’uomo? Quali emozioni lo legavano alla ragazza? E come aveva gestito i sensi di colpa?
Non possedevo risposta alcuna a queste domande, per fortuna: ho potuto colmare il vuoto con l’esercizio dell’immaginazione. In uno di quei pomeriggi di dieci o undici anni fa intuii, in forma ancora oscura ma perentoria, che partendo da lì potevo raccontare la storia di un’intera stirpe, una famiglia segnata dalla diserzione originaria, e insieme i modi con cui far fronte o ribellarsi alla condanna. Già sapevo che sarebbe stato un libro molto lungo. Un libro di quattro generazioni, con una certa estensione geografica, e la storia d’Italia in filigrana. Avevo l’inizio, intravedevo la fine: si trattava, compito arduo, di colmare lo spazio nel mezzo. Leggi tutto…

CLAUDIA PETRUCCI racconta L’ESERCIZIO

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: CLAUDIA PETRUCCI racconta il suo romanzo L’ESERCIZIO (La nave di Teseo)

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di Claudia Petrucci

È l’inverno del 2016. Da mesi mi insegue la visione nitida di tre persone in una stanza, due uomini, una donna, conosco i loro nomi, so perché si trovano lì; uno di loro, a cui so che vorrei affidare la mia voce, guarda fuori dall’unica finestra: nel suo mondo piove. Anche nel mio mondo piove. Sono a Milano, all’università Statale, aspetto che la leggendaria enorme carpa del laghetto si faccia vedere. Milano è la mia città, eppure vivo già in un’altra, e precedentemente ho vissuto ancora altrove, in un perpetuo allontanamento dall’oggetto del mio desiderio. Milano è la mia acqua, e il primo posto in cui mi sento abbastanza me stessa da raccontare a qualcuno la storia che vorrei scrivere. Tra qualche mese prenderò la seconda decisione che mi ribalterà l’esistenza, non ci sarà più una laurea a cui pensare, niente più viaggi su treni interregionali; non so ancora che chiuderò la porta dell’appartamento in cui ho trascorso i primi quattro anni del mio matrimonio e non la riaprirò mai più. Leggi tutto…

CHIARA VALERIO racconta IL CUORE NON SI VEDE

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: CHIARA VALERIO racconta il suo romanzo IL CUORE NON SI VEDE (Einaudi)

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di Chiara Valerio

Il cuore non si vede comincia in fondo molto tempo fa. O comunque di questo mi sono convinta adesso che da scrittrice ne sono diventata lettrice.
E in realtà non è un romanzo che comincia, è un romanzo che continua.
Nella prima pagina Andrea e Laura infatti si svegliano seminudi nel letto, come succede quasi ogni mattina da molti anni, e, inoltre, nel corso del romanzo, continueranno a stare insieme, non si lasceranno. Non come pensano loro.
Sono adulti, sono sopravvissuti all’adolescenza, agli studi e pure all’inizio, sempre incerto, della vita lavorativa.
Sì, vita lavorativa, nessuno di loro utilizzerebbe la parola carriera.
Dicevo che comincia tempo fa perché i cartoni animati preferiti della mia infanzia erano Jeeg Robot d’acciaio e La principessa Sapphire.
E in entrambi, il determinante narrativo, la ragione e l’origine della storia, era un malfunzionamento cardiaco.
Forse, dovrei dire che nella prima pagina del libro Andrea Dileva, il protagonista di queste vicende, si sveglia senza il cuore, però è vivo. Leggi tutto…

CAMILLA BARESANI racconta GELOSIA

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: CAMILLA BARESANI racconta il suo romanzo GELOSIA (La nave di Teseo)

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di Camilla Baresani

La gelosia è uno stato d’animo morboso, che può diventare ossessivo. Corrompe e poi soffoca ogni slancio sentimentale, prendendone il posto. È un veleno a lento rilascio.
Ho deciso di dedicarle un romanzo quando, ascoltando le confidenze di un amico, ho cominciato a ragionare sulla gelosia maschile, in particolare su quella nei confronti dell’amante. Ossia: un uomo che non può e non vuole concedere l‘esclusiva alla propria amante, perché sposato e magari ancora innamorato della moglie (sebbene in modo diverso da quello degli inizi), si fa prendere da un assillante desiderio di possesso, che lo rende sospettoso di tutto, persino delle amicizie o delle conoscenze della donna con cui ha sviluppato un amore clandestino, fino a rendersi ridicolo, persino ai propri occhi. I due lavorano insieme, e le ore in ufficio sono quelle destinate alla loro vita comune. In un’ansia di possesso sempre crescente, l’uomo vuole controllare l’amante; non sopporta che abbia delle amicizie, che parli con i colleghi, che possa confrontarsi con un’altra figura maschile. La segue, la spia, soffre, e per allontanarla da altri si spinge a prometterle cose che sa benissimo di non voler realizzare, però a forza di mentire comincia a immaginare una realtà parallela, come in un sogno. D’altro canto, l’amante soffre di gelosia ossessiva nei confronti della moglie, la rivale che non sa nulla di lei, la donna cui non è preclusa l’ufficialità del rapporto e che ha una prospettiva di progetti familiari, inclusa l’adozione di un figlio. Col tempo, l’amante comincia a percepirsi come vittima di un complotto. Leggi tutto…

FABIO GEDA racconta UNA DOMENICA

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: FABIO GEDA racconta il suo romanzo UNA DOMENICA (Einaudi – Stile Libero)

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di Fabio Geda

Una domenica è nato in Finlandia lo scorso anno. L’Istituto di Cultura di Helsinki mi aveva invitato per alcuni incontri nelle biblioteche e nelle università, e alla fine di una chiacchierata, credo nella biblioteca di Espoo, una cittadina a ovest della capitale, mi sono fermato a parlare con una signora. L’avevo intravista nel pubblico e avevo immaginato fosse italiana sia per la differenza di incarnato – il suo decisamente più mediterraneo di quello della maggior parte dei finlandesi presenti – sia perché seguiva il mio discorso e non quello dell’interprete.
Fatto sta che alla fine della chiacchierata è venuta a parlarmi. Da vicino sembrava più anziana di quello che avevo pensato all’inizio, fra i settanta e gli ottanta. Mi ha detto di essere di Palermo. Le ho chiesto come mai si trovasse a Helsinki. Per mia figlia, ha risposto. Mi ha raccontato che la figlia lavorava lì da tempo e che lei una volta all’anno prendeva l’aereo e andava a trovarla. Non solo. Aveva anche un figlio. E il figlio lavorava e viveva in Sudafrica. Così una volta all’anno prendeva un aereo per il Sudafrica per andare a trovare anche lui. Per il resto del tempo se ne stava in Sicilia, in attesa che fossero loro, per Natale, o d’estate, a raggiungerla. A Palermo. Dove ormai viveva da sola, perché suo marito era mancato alcuni anni prima. Leggi tutto…

ANTONELLA CILENTO racconta NON LEGGERAI

Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: ANTONELLA CILENTO racconta il suo romanzo “Non leggerai” (Giunti)

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di Antonella Cilento

È successo al principio dell’anno: esce un mio nuovo romanzo, Morfisa o l’acqua che dorme, e m’intervistano. Naturalmente, senza aver letto il libro.  E siccome Morfisa non si può risolvere in una formuletta perché ha aspirazione ampie e complesse, l’intervistatrice porta la conversazione sull’argomento editoria, crisi della lettura, come dobbiamo fare…
Il solito insomma, che, considerando che stiamo parlando di un libro che non ha letto e non leggerà, è una questione cui la domanda autorisponde.
E io mi lascio scappar detto (sbotto) che la lettura muore se la rendiamo scolastica, obbligatoria, una medicina amara ma necessaria, una sostanza nociva ma che fa bene alla società. E che l’unico modo di farla tornare in auge, diciamola tutta, sarebbe vietarla.
Non è la prima volta che lo dico: ho criticato numerosi anni fa’ il sistema con un libro molto detestato da chi ci si riconosceva, Non è il paradiso. Ho invocato l’epidemia di lettura per contagio in un altro libro, Asino chi legge, perché da 27 anni mica faccio la profetessa da salotto: giro l’Italia facendo lezione, ho una scuola creata dal nulla a Napoli, Lalineascritta, allievi portati alla lettura e alla scrittura che appartengono ormai a diverse generazioni, hanno pubblicato con grandi case, lavorano per la tv o l’editoria. Leggi tutto…

ANDREA TARABBIA racconta MADRIGALE SENZA SUONO

ANDREA TARABBIA racconta il suo romanzo MADRIGALE SENZA SUONO (Bollati Boringhieri)

Finalista al Premio Campiello 2019

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di Andrea Tarabbia

Il 20 agosto del 1613, Carlo Gesualdo, principe di Venosa, ricevette, mentre si trovava nel suo castello arroccato sulla collina della cittadina irpina di Gesualdo, la notizia della morte del figlio primogenito: Emanuele era caduto da cavallo e lasciava il padre, che detestava, senza eredi maschi. Pare che, ricevuta la notizia, Gesualdo desse mandato ai suoi segretari di redigere il suo testamento e si chiudesse, per lasciarsi morire di inedia, nella stanza dove da sempre aveva composto la sua musica sbalorditiva. Morì l’8 settembre del 1613, lasciando un feudo, una seconda moglie, Leonora d’Este, che si liberava del peso di un matrimonio di convenienza, di una solitudine sempre più feroce e della lontananza forzata dalle sue terre, sei libri di madrigali a cinque voci che sono uno dei vertici sonori della sua epoca, dei responsorii, dei mottetti e dei canti sacri, e il dubbio che quel cattivo carattere, quell’oscurità che lo circondava, quell’ipocondria manifesta e paralizzante, ma anche il genio che lo aveva attraversato mentre componeva, fossero figli di una notte, quella tra il 16 e il 17 ottobre 1590 quando, ventiquattrenne, insieme ai suoi creati aveva barbaramente ucciso, nei suoi appartamenti di piazza San Domenico a Napoli, la prima, amatissima e splendida moglie, Maria d’Avalos, e il di lei amante, Fabrizio Carafa. Secondo il diritto dell’epoca, era piena facoltà del marito cornuto uccidere moglie e amante purché i due venissero colti di sorpresa (vale a dire: purché non ci fosse premeditazione), e l’assassinio fosse figlio di un impulso, di una rabbia feroce e improvvisa, figlia della sorpresa e del disincanto. Leggi tutto…

CRISTINA MARCONI racconta CITTÀ IRREALE

CRISTINA MARCONI racconta il suo romanzo CITTÀ IRREALE (Ponte alle Grazie)

Libro candidato all’edizione 2019 del Premio Strega

di Cristina Marconi

«All’inizio non si fideranno di te ma dopo un po’ ti lasceranno anche servire ai tavoli, vedrai». Le luci della città illuminavano di bagliori elettrici i capelli castani delle due ragazze sedute davanti a me su un autobus notturno. Odore di patatine fritte con l’aceto, folate di birra irrancidita, un inizio di rissa proveniente dai sedili posteriori. E poi le giovani voci italiane delle due passeggere, così compita quella di chi dava consigli, così timorosa e emozionata quella di chi li stava ricevendo. Mi sono chiesta se qualcuno avrebbe mai raccontato la loro storia prima di scendere anche io al capolinea e dimenticarmi di loro.
Nella mia vita londinese, declinazione personale di un’esperienza sempre più collettiva, ho spesso ascoltato narrazioni plastificate, racconti di sé ponderati e sterili con una sottile nota di autogiustificazione. «Non sono partito perché ero infelice, anzi…». Sintomo di uno sforzo estremo di coronare la propria nuova esistenza di qualcosa che forse, non sempre, era mancato nella precedente: l’equilibrio della soddisfazione. Un esercito di moderati, almeno stando ai racconti, che in realtà stava facendo qualcosa di estremamente smodato come cambiare tutto, accettare di perdere punti di riferimento, di privarsi del riflesso rassicurante dello specchio di casa. E quindi giù a negare ogni nostalgia, giù ad appigliarsi ad argomenti molto razionali per spiegare il proprio percorso, a mostrare costantemente il lato migliore di sé. Poi ogni tanto saltava fuori lo spiraglio di verità, la scivolata rivelatoria, il momento di guardia bassa, da non confondere con la cupa lamentela dei giorni di pioggia, immancabile al ritorno da una qualche vacanza al sud. Ho iniziato a raccoglierli, mi piacevano molto. Leggi tutto…

ELEONORA MARANGONI racconta LUX

ELEONORA MARANGONI racconta il suo romanzo LUX (Neri Pozza)

Libro candidato all’edizione 2019 del Premio Strega

di Eleonora Marangoni

Quando ho iniziato a scrivere Lux ero in un minuscolo paese del Calvados chiamato Crépon, nel giardino di un’antica villa di campagna molto diversa – per geografie e carattere – dall’hotel Zelda che sarebbe poi finito al centro del romanzo, ma provvista dello stesso fascino che ci fa sembrare mesi le ore che passiamo lì dentro, e scambiare per tesori tutti i ninnoli e piccoli cimeli che posti del genere proteggono dal mondo.
Ero alle prese con un altro libro, allora, un saggio su Proust di cui stavo scrivendo gli ultimi capitoli, e ricordo che buttare giù in un mattino quelle poche righe che parlavano d’altro fu l’equivalente di una passeggiata, o di una chiacchierata con un amico che non sentivo da tempo.
I libri che scriviamo – come del resto i libri che leggiamo, a volte – ci tengono in ostaggio, e capita che si senta il bisogno di sfuggirgli, anche solo per qualche ora, anche solo per poi tornare ad amarli e capirli nel modo giusto. Così è stato quel giorno, e quella prima paginetta scritta sul tavolo tra i resti di una colazione durata troppo a lungo fu un’imprevista e purissima boccata d’aria, l’intuizione di un suono di cui un giorno sarei andata in cerca.
A lungo, poi, quelle righe non sono state molto di più. Ho fatto e scritto altro, e per molto tempo quel file è rimasto nel mio computer senza che tornassi ad aprirlo, o a parlarne con chi avevo intorno e mi chiedeva a cosa stessi lavorando. Leggi tutto…

SIMONA LO IACONO racconta L’ALBATRO

SIMONA LO IACONO racconta il suo romanzo L’ALBATRO (Neri Pozza)

[ascolta la puntata radiofonica di Letteratitudine dedicata a “L’albatro”: Simona Lo Iacono in conversazione con Massimo Maugeri]

di Simona Lo Iacono

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Cercavo un libro di commedie di Nino Martoglio.
Come sempre, la ricerca nella mia libreria durava ore. Non appena aprivo un testo, mi immergevo nella lettura e dimenticavo ciò che mi interessava. Non sono mai riuscita a resistere al richiamo dei libri. Troppo implorante per essere trascurato.
Il volume de “Il gattopardo” saltò fuori dalla terza mensola. Un’edizione vecchissima, appartenuta a mia madre. Le pagine erano ingiallite. Tra l’una e l’altra sbucavano fuori resti di petali essiccati, vecchie cartoline, una foto tagliata a metà che ritraeva i miei genitori in viaggio di nozze.
Non ho mai voluto che i libri restassero integri. Li ho sempre sottolineati. Li ho riempiti di resti, di carte, di oggetti.
Mi fa piacere che, quando li apro, dalle pagine affiorino anche residui e antiche nostalgie. Qualche rimasuglio di un momento, qualche spasmo di felicità.
In questo modo mi pare che siano vivi, sempre in procinto di dirmi che hanno un’anima, oltre che mani capaci di consegnarmi frattaglie, cose lacere, inutili, che altri avrebbero buttato.
Avevo letto “Il gattopardo” decine di volte. Non solo perché amavo la fierezza di don Fabrizio, la sua malinconia di scrutatore di stelle. Ma anche perché ero una sostenitrice del ruolo degli animali in letteratura. E spasimavo per il suo cane, Bendicò. Leggi tutto…

VALERIO AIOLLI racconta NERO ANANAS

VALERIO AIOLLI racconta il suo romanzo NERO ANANAS (Voland)

Libro candidato all’edizione 2019 del Premio Strega

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di Valerio Aiolli

Lo chiamavo “il romanzone”. Stava lì. In piccola parte steso su qualche decina di pagine. Virtuali, stampate, corrette, ristampate. In una parte un po’ più grande imprigionato in schemi cronologici e diacronici suddivisi in varie cartelle dai nomi strani. Stampati, corretti, ristampati… Stava in schede di personaggi, in ritagli di giornale. In pacchi di fogli alti trenta centimetri contenenti dispositivi di rinvio a giudizio o motivazioni di sentenze. Ma in gran parte, la parte assolutamente preponderante, stava nella mia testa. O nel mio cuore. O nel mio corpo. Insomma, dove stanno i romanzi quando esistono potenzialmente, come possibilità, ma ancora non sono stati scritti. E quindi, a pensarci meglio, è sbagliato dire che stava da qualche parte. Perché un romanzo esiste solo a partire dal momento in cui lo si scrive.
«Il concepimento è ben poca cosa in confronto al parto» ha scritto Philip Roth. «Intendo dire che, fino a quando non sono state assorbite in una strategia narrativa d’insieme, le mie “idee” […] non [sono] diverse da quelle di chiunque altro. Tutti hanno “idee” per romanzi, la metropolitana è piena di persone che si reggono alle maniglie rigirandosi per la testa idee per romanzi che non riusciranno mai a scrivere. Spesso anch’io sono una di loro».
Quindi per lunghi anni il romanzone “non stava” lì, mentre la strategia narrativa d’insieme che era necessaria a dargli vita veniva a poco a poco componendosi. Non riesco a contare le volte in cui ho pensato che non ce l’avrei mai fatta a finirlo. Leggi tutto…

PIER PAOLO GIANNUBILO racconta IL RISOLUTORE

PIER PAOLO GIANNUBILO racconta il suo romanzo IL RISOLUTORE (Rizzoli)

Libro candidato all’edizione 2019 del Premio Strega

 

di Pier Paolo Giannubilo

La storia di Gian Ruggero Manzoni di San Lorenzo, frazione di Lugo, non sono stato io a cercarla. Un bel giorno si è messa in movimento dalla Bassa Romagna ed è venuta a stanarmi nel mio isolato Molise chiedendomi udienza senza alcun preavviso.
L’aspetto curioso della faccenda è che la stessa cosa mi era già successa anni addietro, quando per una bislacca serpentina del Caso aveva bussato alla mia porta un’altra vicenda reale all’insegna dell’assurdo: l’odissea di Manuele Sertorio – il “bambino-puntaspilli” di Ortona a Mare sopravvissuto miracolosamente negli anni Trenta alle orripilanti pratiche di stregoneria di cui lo avevano fatto oggetto i familiari – che sarebbe poi diventata Corpi estranei, il mio primo romanzo.
Per la seconda volta, mi ritrovavo ad avere accesso, e senza aver preso alcuna iniziativa, ai segreti sconcertanti di un perfetto estraneo la cui vita pareva una sceneggiatura scritta da un pazzo.

Era iniziato tutto così.  Avevo conosciuto Manzoni a un suo reading di poesia nella mia città. Lo accompagnava la sua morosa di allora, madre di sua figlia: Ester, giovane e bellissima ereditiera con trascorsi da pornoattrice suo malgrado, con la quale si era fidanzato quando era il suo professore all’Accademia d’Arte di Urbino, scandalizzando l’ateneo marchigiano già scosso dalle dicerie sulle sue presunte attività di mercenario in ex Jugoslavia. Leggi tutto…

RAFFAELLA ROMAGNOLO racconta DESTINO

RAFFAELLA ROMAGNOLO racconta il suo romanzo DESTINO (Rizzoli)

Libro proposto all’edizione 2019 del Premio Strega

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di Raffaella Romagnolo

Quando lessi Canale Mussolini di Pennacchi, mi colpì la sicurezza con cui l’autore sbatte in faccia al lettore: “questo è il libro per cui sono venuto al mondo”. Che azzardo, pensai, che esagerazione. Lo scrittore è uno come tutti gli altri: che ne sa di cosa gli riserva il futuro? Altre storie lo trascineranno fuori dal torpore e lo obbligheranno a sacrificare pomeriggi di sole, serate con gli amici, notti, albe. E anche i prossimi saranno libri a cui si sentirà chiamato, no?
Poi ho scritto Destino, e ho cominciato a capire. Perchè anche Destino, come Pennacchi dice di Canale Mussolini, è un libro che parla della mia gente. Con una differenza fondamentale: la mia gente non è la mia gente, le mie radici non sono qui. Non una differenza da poco. Leggi tutto…

PAOLA CEREDA racconta QUELLA METÀ DI NOI

PAOLA CEREDA racconta il suo romanzo QUELLA METÀ DI NOI (Giulio Perrone editore)

Libro candidato all’edizione 2019 del Premio Strega

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di Paola Cereda

“Che lavoro fai?” è una delle domande che, di solito, mi fa la gente. Di formazione sono psicologa, ma la passione mi ha portata fin da giovanissima verso il teatro. Che cosa c’entra la scrittura? C’entra eccome. Io ce l’avevo chiaro fin da subito, ancor prima di andare da uno dei miei professori universitari per chiedere la tesi sul teatro: “Psicodramma?”, domandò il docente. No no, dinamiche di gruppo ed estetica del teatro. Il prof mi spedì fuori dalla stanza, urlandomi contro un poco cortese: “Signorina, non mi faccia perdere tempo. Crede di essere al DAMS?”.
Finì che la tesi la feci sull’umorismo ebraico e il mio correlatore, Moni Ovadia, due mesi dopo la laurea, mi chiamò nella sua compagnia multietnica come assistente alla regia. E in quel momento iniziò il mio grande viaggio.

Oggi posso dire che, di mestiere, mi occupo di storie. In parte di storie che scrivo da sola, nella solitudine del mio studio, in parte di storie collettive che costruisco con la compagnia teatrale assaiASAI di Torino che raccoglie circa cinquanta attori con provenienze, età e abilità differenti. Mi occupo di storie anche come formatrice quando, insieme a giovani e adulti, tentiamo di sbrigliare la nostra creatività per dare forma alle idee, alle convinzioni, ai sentimenti. Leggi tutto…

ELEONORA LOMBARDO racconta LA DISOBBEDIENZA SENTIMENTALE

ELEONORA LOMBARDO racconta il suo romanzo LA DISOBBEDIENZA SENTIMENTALE (Cairo editore)

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di Eleonora Lombardo

A cinque anni mio padre il sabato pomeriggio mi portava all’ippodromo della Favorita. Era un “gentleman”, uno che correva con i cavalli da trotto per sport, un driver non professionista che per hobby faceva il farmacista. Correva una corsa che durava più o meno due minuti e il resto del tempo scommetteva sulle altre. Scommetteva per mettere alla prova la sua conoscenza dei trottatori, per giocare d’anticipo sulle strategie dagli altri. Mi annoiavo. Faceva freddo o caldo. Troppo. Mi piaceva solo mangiare il cedro con il sale, i lupini e il panino con le melenzane. Eppure ho continuato ad andarci, inseguendo la promessa di una barbie dopo una tris vinta, poi, crescendo, perché era bello compiacerlo e vederlo vincere. E’ andata avanti così fino al sabato pomeriggio del maggio 2008, a poche settimane dal mio trentesimo compleanno. Quel sabato papà è morto in pista, dopo la prima curva. Sicuramente voleva diventare una leggenda per quell’ippodromo e ci è riuscito. Lo chiamavano il Cobra. Leggi tutto…

CAROLA SUSANI racconta LA PRIMA VITA DI ITALO ORLANDO

CAROLA SUSANI racconta il suo romanzo LA PRIMA VITA DI ITALO ORLANDO (Minimum Fax)

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di Carola Susani

Qualche anno fa, una coppia di amici artisti del legno, Ute Pyka e Umberto Leone, mi ha coinvolto in un progetto, quattro opere e quattro racconti che parlavano d’alberi. C’erano pini abbattuti dai mafiosi, mandarini della conca d’oro, ficus palermitani. A me sono toccati i mandorli selinuntini della signora Varvaro. Sono andata a trovare la signora, e lei mi ha raccontato la storia del suo mandorleto amatissimo, della pasta di mandorla mangiata in tempo di guerra, dell’evoluzione del rapporto con la campagna e della ricerca del petrolio negli anni Cinquanta, che portò alla distruzione del mandorleto, per lei traumatica. Il racconto della signora Varvaro in questi anni ha lavorato dentro di me, ma si è deformato, è cambiato di natura. La signora raccontava il mondo di prima, il mondo contadino, come si racconta delle meraviglie della giovinezza, persino la guerra smetteva di far paura racchiusa com’era in una parentesi d’incanto. Io invece del mondo contadino, nei suoi racconti, ho visto luccicare il momento del passaggio, quello in cui per un istante s’è vista balenare la felicità collettiva, pane e companatico per tutti, luce elettrica, acqua corrente nelle case, benessere diffuso. Tutte cose che poi ci sono state per davvero, c’è stato davvero un mondo nuovo, un mondo di benessere, eppure nel suo compiersi ha deluso, ha tolto qualcosa. Ma il momento che mi ha incantato è stato l’istante prima, quello della speranza; mi è sembrato, oggi – per noi che viviamo la crisi del mondo che è nato allora – più intenso e più poetico del mondo delle lucciole. Leggi tutto…

LUCIA TILDE INGROSSO racconta UNA SCONOSCIUTA

imageLUCIA TILDE INGROSSO racconta il suo romanzo UNA SCONOSCIUTA (Baldini + Castoldi)

Un brano inedito, scritto apposta per Letteratitudine, introduce “Una sconosciuta“, un giallo psicologico in cui nessuno è come sembra. Protagonista compresa.

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di Lucia Tilde Ingrosso

Sono Carmen Tavanti e fino a poche ore fa avevo una vita. Non una vita particolarmente entusiasmante, forse. Ma una vita. Una come tante.
Ho un bravo marito. Un bambino di otto anni, che ancora mi ama. Una ragazza di quindici, che già mi odia. Un lavoro a scuola. Una bella casa con un mutuo ventennale. E una macchina. Ecco, forse, è la mia macchina il problema.
È (era?) una Y rossa del 2003. Quindici anni, in effetti, sono parecchi per un’auto. Però dicono che per i chilometri che faccio è più che sufficiente. Poi la tengo bene: manutenzione e tagliandi a ogni scadenza. E allora perché, quando pigio il pedale del freno adesso non succede niente?
La vita ci abitua che alcuni gesti hanno conseguenze certe. Spingo, si apre. Clicco, mi connetto. Freno, frena. E invece questa volta no. L’eccezione che conferma la regola, il sasso nell’ingranaggio, il colpo di scena in una vita piatta e senza sussulti.
Alla mia destra, sento un rumore. Una via di mezzo fra un gemito e un colpo di tosse. Quanto può essere eloquente anche un banale verso. Ha paura. E ho paura anch’io. Leggi tutto…

VALERIO VARESI racconta LA PAURA NELL’ANIMA

VALERIO VARESI racconta il suo romanzo LA PAURA NELL’ANIMA (Frassinelli)

L’ultima indagine del commissario Soneri

di Valerio Varesi

Gran parte dei miei libri parte da una vicenda di cronaca. Del resto che cos’è la letteratura se non una sintesi della vita che viviamo? Nel caso de “La paura nell’anima”, la vicenda reale che ha fatto da detonatore è quella di “Igor il russo”, titolo rappresentativo della scorribanda criminale di Norbert Feheler, il killer che ha ucciso due persone nella pianura tra Bologna e Ferrara per poi fuggire in Spagna e ammazzare due poliziotti e un contadino. Che cosa ho intravisto in questo tragico episodio? Leggi tutto…

BARBARA BARALDI racconta AURORA NEL BUIO

Autoracconti d’Autore: BARBARA BARALDI racconta il suo romanzo AURORA NEL BUIO (Giunti) – romanzo vincitore del Premio Nebbiagialla 2018

di Barbara Baraldi

La ragazza con la cicatrice sulla tempia prende posto alla scrivania nella stanza degli interrogatori. Per qualche istante si limita a osservare la donna di fronte a lei. Si sofferma sui suoi occhi inquieti, sulle mani affusolate con quasi un anello per dito.
«Vice ispettore Scalviati» si presenta poi.
«Piacere, Barbara Baraldi» ribatte l’altra.
«È stata informata del motivo per cui è stata convocata, signora Baraldi?»
«In effetti no. Il suo collega…»
«Il sovrintendente Bruno Colasanti».
Barbara si schiarisce la voce. «Dicevo, si è presentato alla mia porta con un mandato di comparizione e mi ha condotto a qui, al commissariato di Sparvara. Questo è tutto».
«Lei è una scrittrice di romanzi polizieschi, giusto?»
«Thriller, per la precisione. Ma ho scritto anche altro».
«Cerchiamo di non divagare». Aurora rivolge la sua attenzione al fascicolo sul ripiano. Lo apre e inizia a leggere distrattamente le prime righe. «Mi parli del suo metodo di lavoro».
«Be’, mentre scrivo procedo a visioni. È come se un film mi passasse davanti, descrivo quello che vedo. C’è il lavoro di documentazione, fondamentale in un thriller per descrivere le procedure, e in questo caso ci sono voluti anni di studio, in cui ho approfondito il lavoro di John Douglas sui serial killer e sul criminal profiling. La documentazione da sola, però, non basta. È scavando nella propria esperienza personale che si permette ai personaggi di prendere vita». Leggi tutto…

DAVIDE ORECCHIO racconta MIO PADRE LA RIVOLUZIONE

DAVIDE ORECCHIO racconta la sua raccolta di racconti MIO PADRE LA RIVOLUZIONE (Minimum Fax)

libro finalista al Premio Campiello 2018 (Premio Selezione Campiello)

ritratto

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di Davide Orecchio
Volevo scrivere una raccolta di racconti dedicati alla storia e al mito della rivoluzione russa. Volevo lavorare con gli strumenti della narrazione per esplorare possibilità non accadute, ma sempre partendo dai documenti. Volevo proporre in ogni capitolo  un personaggio – a volte famoso, a volte no – e una situazione, un’epoca del Novecento, un luogo, dalla Russia alla Germania, dall’Italia al Messico. Così ho messo insieme i brani di Mio padre la rivoluzione. Anche qui, come nei miei lavori precedenti (Città distrutte e, in parte, Stati di grazia) ho seguito il percorso dell’ibridazione tra materiali storici – di archivio o da fonti secondarie – e invenzione narrativa. Ho manipolato e usato testimonianze e voci, le ho portate sulla pagina, nel racconto, nella storia; ho provato a governarle col ricorso a diversi registri (epico, mitologico, lirico). Ho affidato spesso il racconto a un noi che vorrebbe collimare col punto di vista della posterità, ossia davvero con noi tutti, i presenti, i vivi, chiamati a misurarci con un passato da risvegliare e interrogare. Così, accanto ai personaggi veri e propri dei dodici capitoli, emerge il tempo, creatura che insemina e genera, dal cui accoppiamento con le madri nascono gli eroi e i mostri della rivoluzione, i titani e i giganti, gli angeli caduti. Ma il tempo che sta in queste pagine prova a corrispondere anche a quello che vive nella mia coscienza; non fa distinzioni tra passato, presente e futuro, non accetta unità di misura e convenzioni di linearità; perché nella coscienza tutto è simultaneo, perché la memoria tiene il passato vicino, lo serba presente. Leggi tutto…

FRANCESCO TARGHETTA racconta LE VITE POTENZIALI

FRANCESCO TARGHETTA racconta il suo romanzo LE VITE POTENZIALI (Mondadori)

romanzo finalista al Premio Campiello 2018 (Premio Selezione Campiello) – vincitore del Premio Berto 2018

di Francesco Targhetta

L’idea de Le vite potenziali nasce nel 2013 dal mio interesse verso i nerd. Ne ero circondato sin dal liceo, ma mi rendevo conto che quel tipo umano, pur tra molte continuità, aveva una collocazione e reputazione sociale ormai diversa rispetto agli anni ‘80/’90: sebbene gli smanettoni rimanessero per lo più introversi, goffi, impacciati e ignorati dalle ragazze, al contempo avevano assunto un ruolo centrale in un mondo sempre più tecnologizzato. Al di là dei casi più eclatanti, da Mark Zuckerberg a Bill Gates passando per Steve Jobs, ossia nerd diventati influenti e iconici a livello mondiale, anche su piccola scala era evidente come i programmatori fossero tra i pochi ad avere infinite possibilità di lavoro e un buon riconoscimento economico. Eppure tra loro continuavano a esserci molti ragazzi timidi, un po’ autistici, visibilmente a disagio nel paradigma che proprio a loro spettava di incarnare. Mi sembrava un attrito fertile dal punto di vista letterario, sicché ho iniziato a frequentare l’azienda di consulenza informatica che un mio carissimo amico gestiva assieme ad alcuni soci a Porto Marghera.
Le vite potenzialiA quel punto è scattata un’altra molla per me decisiva quando si tratta di iniziare un nuovo progetto di scrittura, ossia l’innamoramento per un luogo: Marghera, che, da trevigiano che ci vive a 20 chilometri di distanza, avevo sempre ignorato (perché, d’altronde, andarci?), è stata una scoperta straordinaria, per altre contraddizioni da cui è marchiata in modo evidente. Anzitutto, la convivenza di vecchio e nuovo: scheletri di capannoni e fatiscente archeologia industriale sono affiancati dal polo scientifico e tecnologico del VEGA, dove si lavora sulle nanotecnologie o sulla produzione di beni, come i siti internet, ormai del tutto smaterializzati. Da un lato è un luogo che si va spegnendo, come buona parte del Petrolchimico, dall’altro è un centro di start-up. E poi mi colpiva, a livello più propriamente estetico, la componente sublime del suo paesaggio: la mastodonticità di certi suoi scorci e la sua natura anfibia (le gru e i canali, i carriponte e i tramonti sull’acqua, il profilo delle ciminiere e quello dei campanili di Venezia) la rendevano ai miei occhi un posto unico, mai visto altrove, e vivissimo proprio in virtù dei suoi continui contrasti. Leggi tutto…

GIANLUCA BARBERA racconta MAGELLANO

GIANLUCA BARBERA racconta il suo romanzo MAGELLANO (Castelvecchi)

Il mio Magellano è un novello Ulisse, ma potrebbe anche assomigliare a un personaggio delle leggende di Re Artù.
Un omaggio a Salgàri, indimenticabile compagno della nostra giovinezza.

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di Gianluca Barbera

Circa un anno e mezzo fa, sul principio della primavera, camminavo nei boschi intorno a casa con un amico. Gli parlai del fatto che volevo scrivere un romanzo che raccontasse e in qualche modo condensasse l’epopea dei viaggiatori e degli esploratori del passato. Pensavo di dare vita a un personaggio immaginario che avrebbe concentrato in sé le avventure dei vari Marco Polo, Colombo, Vespucci. Nei mesi successivi lessi molti libri sull’argomento. Tra questi la biografia di Stefan Zweig su Magellano e la Relazione di Pigafetta. Mi resi subito conto che la mia ricerca era terminata. Avevo trovato il mio “eroe”. Volevo con tutte le mie forze scrivere una storia epica e divertente al tempo stesso, una storia di mare e di terra, piena di sale e di vento. Un inno allo spirito libero che è in ciascuno di noi. E quella di Magellano era una storia drammatica già fatta e compiuta, con una struttura narrativa perfetta. Una tragedia che pareva uscita dalla penna di Shakespeare. Con spettri, tradimenti, morti violente, sensi di colpa, figure titaniche, rivalità insanabili. Mi ci buttai a capofitto. Innanzitutto andavano sistemate alcune cose, oliati alcuni ingranaggi; bisognava trovarle una lingua, un punto di vista non banale, occorreva dare spessore ai personaggi. E vi andava innestata una ironia tutta moderna, se volevo che certe situazioni non risultassero eccessive. Leggi tutto…

YARI SELVETELLA racconta LE STANZE DELL’ADDIO

YARI SELVETELLA racconta il suo romanzo LE STANZE DELL’ADDIO (Bompiani)

[tra i dodici libri del Premio Strega 2018]

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di Yari Selvetella

Non ho un posto per scrivere, non ho un’ora a disposizione. Ho un quaderno che mi piace, di marca Spalding, di forma quasi quadrata, con carta gommata. Perdo sempre la penna, ma ne trovo un’altra. Mi siedo nella sala interna del Caffè Italia, a piazza Santa Croce in Gerusalemme. Ascolto attorno a me i discorsi di agenti immobiliari, di coniugi pensionati, di sfaccendati. Indosso occhiali da sole, almeno per qualche minuto. In genere in motorino piango, poi una volta seduto aspetto che passi l’irritazione agli occhi e agli zigomi, che non punga più quell’acido. Quando non ho più lacrime mi tolgo gli occhiali e scrivo.
La mia sedia nel bar è la sedia della sala d’attesa del reparto. Il brusio mi concentra, le voci mi convincono che il buio non è la mia unica patria. Devo dirmi tutto, per convincermi che sia veramente accaduto. Su, una parola appresso all’altra. Così e così. Così e così.
Devo vincere il vizio di riprendere la solita strada che passa il Tevere e raggiunge Prati, si inerpica sull’Aurelia antica fino a Boccea e poi da lì taglia la pineta e all’improvviso si fa imbuto, proprio all’altezza dell’Ospedale. Lì proprio si stringe il budello, lì si complica lo scorrimento. Lì continuo a entrare, sempre; e non ne posso più. Leggi tutto…

MARCO MARSULLO racconta DUE COME LORO

MARCO MARSULLO racconta il suo romanzo DUE COME LORO (Einaudi)

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di Marco Marsullo

“Due come loro”. Già nel titolo, inizia il dualismo. È un romanzo che parla di coppie. La prima, lampante: Dio e il Diavolo. In lotta tra loro, come sempre. Umanissimi, nel loro modo di vivere, pensare e parlare. Pieni di manie, di tic, di ossessioni. E in mezzo a loro, Shep, il protagonista. Che fa un lavoro strano, per entrambi: si occupa di decidere il destino degli aspiranti suicidi. Se per conto del Padreterno dovrà convincerli a non compiere l’estremo gesto, per il Signore degli Inferi dovrà fare l’esatto contrario. Perché un’anima che sceglie di ammazzarsi finisce dritta dritta all’Inferno.
La sfida, perché di sfida si tratta, era quella di raccontare una storia diversa in Italia. Un romanzo così surreale, scorretto, pieno di riflessioni sul passato della gente, sul destino, sul bene e il male, è un azzardo. Un azzardo che ho voluto fortemente perché mi andava di raccontare quanto dolore ci fosse nel vissuto di ognuno di noi. E come in ognuno di noi convivano istinti altissimi e bassissimi, praticamente ogni giorno. Shep è questo: un caos di passato e futuro, un mix esplosivo di umanità normale. Leggi tutto…

SILVIA FERRERI racconta LA MADRE DI EVA

SILVIA FERRERI racconta il suo romanzo LA MADRE DI EVA (NEO Edizioni)

[tra i dodici libri del Premio Strega 2018]

di Silvia Ferreri

Ricordo che me ne stavo seduta in un ristorante, a una certa distanza dalla tavola visto il mio ingombrante pancione di sette mesi.
Ero felice e in attesa del mio primo figlio. Io e mio marito vivevamo a Parigi dove lui fotografava e io stavo per lo più appunto in attesa.
Eravamo così, rilassati, a cena con vecchi amici italiani in visita, quando qualcuno mi parlò per la prima volta di quella cosa. Della bambina che voleva cambiare sesso. Te la ricordi, l’hai vista piccola, abitavano vicino a noi, ora vuole diventare uomo.
Non so perché ma questa notizia mi scatenò un’altamarea di sentimenti. La ragione non la compresi subito. Forse perché conoscevo la sua famiglia? Non so. Fatto sta che quella cosa mi aprì e si fece un cantuccio dentro di me. E lì rimase sopita per alcuni mesi.
Ogni tanto ci pensavo e di nuovo sentivo quell’alzarsi di emozioni. Capii solo tempo dopo la ragione per cui mi aveva scossa e la ragione era che io stessa stavo in quel momento nel più grande processo di creazione che un essere umano conosca. Credo che sia stato per questo che quell’ immagine della bambina che si fa sventrare per cambiare sesso mi si appiccicò addosso e non mi abbandonò più. Costruzione e distruzione di un essere umano. Lui, colui che più amerai al mondo.
La decisione era presa. Avrei scritto di lei.
Ma non subito, evidentemente.
Perché nel frattempo nacque mio figlio, passò qualche anno, tornammo a Roma, cominciai un lavoro full time come autrice televisiva.
Ma Eva era sempre lì, appiccicata a me, dentro i miei pensieri della mia nuova vita di madre.
Decisi che dovevo cominciare.
Avviai la ricerca, e fu una ricerca faticosa.
Parliamo di quattro anni fa. Oggi forse, che si parla con più facilità di disforia di genere, non avrei trovato tante resistenze. Allora era quasi come cercare testi proibiti, o ficcare il naso in faccende private o ancora peggio andare a caccia di storie un po’ oscene con un qualche fine voyeristico. Dovevo fare molta attenzione. Altrimenti quelli che avrebbero potuto aiutarmi, che potevano essere fonti preziose, sarebbero fuggiti e non avrebbero più parlato. E io avevo bisogno di loro, avevo bisogno di entrare in quel mondo e in quelle realtà e di pescarne a piene mani. Leggi tutto…

MARCO BALZANO racconta RESTO QUI

MARCO BALZANO racconta il suo romanzo RESTO QUI (Einaudi)

[tra i dodici libri del Premio Strega 2018]

di Marco Balzano

Era da tanto che volevo scrivere un romanzo con una protagonista. Volevo dire “io” e essere una donna. Adesso posso dire che questa è stata una delle esperienze più importanti che ho provato scrivendo. Tutto è diventato ancestrale, viscerale, materno. Fragilità e coraggio, due sentimenti che non ho mai considerato in contrapposizione, si sono amplificati in maniera assolutamente inedita. Trina (Caterina) – così si chiama la protagonista – ha il nome di mia figlia, della chiesa del paese di confine in cui è ambientata la vicenda e, soprattutto, dell’ultima donna che ha lasciato il borgo dopo che la Montecatini ha messo il tritolo alle case, ha sbattuto la gente nei container e ha riempito l’invaso sommergendo per sempre ogni cosa. Quando l’acqua era già alta si sono accorti che era rimasta una signora anziana, che una fotografia ritrae in ginocchio sul tavolo, con le mani strette al davanzale della finestra. Immagino Trina che grida “Resto qui!”, che punta i piedi anche quando sotto non ha più terra ma acqua. La vedo che si rifiuta di andarsene quando con una barca la vanno a prendere per portarla via di peso. Volevo una donna così, con questo attaccamento oltranzista al suo mondo e ai suoi affetti.
Nei romanzi precedenti ho sempre raccontato di quanto sia legittimo partire, di come l’emigrazione sia una straordinaria metafora del nostro legittimo desiderio di andare incontro al miglioramento della nostra sorte e, perché no, alla felicità. Non è però una convinzione che mi impedisce di osservare quanto bisogno abbiamo di persone che sappiano restare, puntare i piedi, cambiare le cose dall’interno. Ma non è solo questo: volevo scrivere un romanzo diverso per ambientazione e per tema, pur rimanendo legato all’esplorazione degli ultimi, all’Italia meno conosciuta, a una letteratura di stampo civile. Sentivo la necessità di calarmi in un sapere diverso, in cui non mi sentissi comodo, nel quale percepissi l’inquietudine e la fame di chi vuole conoscere per la prima volta. Così, quando quel giorno d’estate sono arrivato in val Venosta, in questo paesino a pochi chilometri dalla Svizzera e dall’Austria, e ho visto il campanile che torreggia sull’acqua, ho subito pensato che quella era una storia. Uno scrittore è prima di tutto qualcuno che le storie se le va a cercare e che le sa ascoltare: per la prima volta, invece, la storia mi è venuta incontro. Leggi tutto…

DARIO BUZZOLAN racconta LA VITA DEGNA

DARIO BUZZOLAN racconta il suo romanzo LA VITA DEGNA (Manni)

Un romanzo di formazione tardiva.
A proposito di La vita degna

Dario Buzzolan

(foto di Giliola Chisté)

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di Dario Buzzolan

Mi sono distratto un attimo e quando ho rimesso a fuoco lo sguardo, d’un tratto, Leonardo Bolina mi stava davanti. Somigliava ad alcune persone realmente incontrate, realmente conosciute; ma c’era qualcosa di più. Un supplemento di senso che meritava di essere indagato, con calma; che valeva un’attesa.
L’origine di un romanzo è sempre, per me, nella nebbia. E diradare la nebbia è possibile solo alla fine (quando il libro è diventato un oggetto, svincolato da te, esterno, quasi lontano), rileggendoti e ascoltando chi ti ha letto.
A volte tutto nasce da un intreccio seminale, un nucleo narrativo già strutturato. C’è un esercito che assedia una città. Oppure: c’è un tizio che dopo avere assediato una città per anni deve tornare a casa sua (come sosteneva Quéneau: esistono soltanto Iliadi o Odissee). Altre volte, invece, ti capita di trovarti davanti un personaggio, lo porti con te per un po’ e tutto quello che conta è lui. Nel caso di La vita degna è andata così. Ed è strano, perché io ho sempre amato i plot, la bottega delle costruzioni e delle scalette calcolate al millimetro, ed ero fermamente convinto che nulla mi avrebbe mai smentito. Invece è arrivato lui, Leonardo. Mi ha seguito per qualche tempo, io ho seguito lui, e a un certo punto, aspetta che ti aspetta, mi è parso un perfetto protagonista intorno a cui raccontare. Da quel momento in poi, il suo carattere ha forgiato il suo destino – cioè ha costruito la storia.
La vita degna è un libro su un tema desueto. Che non è (o non è innanzi tutto) la vecchiaia, bensì la felicità. L’ho capito soltanto dopo, ripeto, rileggendo e ascoltando chi lo aveva letto.
Come rispondereste a uno che vi chiede se siete felici? O come si raggiunga la felicità? Leggi tutto…

HELENA JANECZEK racconta LA RAGAZZA CON LA LEICA

HELENA JANECZEK racconta  il suo romanzo LA RAGAZZA CON LA LEICA (Guanda)

Vincitore del Premio Bagutta 2018, candidato al Premio Strega 2018

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di Helena Janeczek

Ogni libro ha una storia che può essere facilmente ripercorsa e una storia sotterranea di cui l’autore riesce a vedere alcune tracce. Entrambe cominciano nel 2009, con una visita al Forma di Milano che ospitava la prima retrospettiva di Gerda Taro accanto a una mostra di Robert Capa. In quel periodo lavoravo a Le rondini di Montecassino, dove Capa è menzionato per una foto dei funerali degli studenti del liceo Sannazaro caduti nel 1943 durante le “Quattro giornate di Napoli”. Però tutto il suo lavoro a seguito delle truppe americane mi aveva permesso di toccare con gli occhi la realtà della guerra che stavo raccontando. Erano quelle foto della “Campagna d’Italia” che volevo vedere in uno spazio espositivo. Questo significa che, sul versante della storia sotterranea, Robert Capa era già una presenza interiorizzata quando uscii dal Forma con il desiderio di approfondire la conoscenza di Gerda Taro. Comprai il catalogo a cura di Irme Schaber e poco dopo andai a procurarmi Gerda Taro, Una fotografa rivoluzionaria nella guerra civile spagnola (DeriveApprodi, 2007), la biografia con cui la studiosa di Stoccarda poneva fine al lungo oblio della sua concittadina morta a nemmeno ventisette anni nella Guerra di Spagna.
Ma soltanto sul finire del 2011 si affacciò l’ipotesi che quella lettura potesse fungere da base per un lavoro di scrittura. Non pensavo a un romanzo, bensì a un racconto da affiancare a altri due che componessero un trittico dedicato a tre donne reporter di guerra. Le rondini di Montecassino, uscito nel 2010, aveva suscitato spesso la domanda come mai avessi scelto un tema così maschile come la guerra. In realtà, non mi sentivo molto svantaggiata rispetto a uno scrittore, bastava solo studiare un po’ di più. Però restava vero che narrare qualcosa che travalica le esperienze di noi figli e figlie del dopoguerra comporta un rischio di inadeguatezza sia etica che estetica. Mi colpiva, perciò, che esistessero donne disposte a mettere a rischio la propria vita per testimoniare con le parole o con le immagini la realtà delle guerre ancora in corso. Avevo già scritto un contributo per un’antologia (I persecutori, Transeuropa, 2007) che riconvocava la figura di Anna Politkovskaja nella cornice della fiera del libro di Francoforte agitata dalla notizia del suo assassinio. Durante le ricerche per quel racconto, avevo scoperto che tra i pochissimi giornalisti presenti a Grozny nei giorni della caduta ci fosse un’altra donna. Già inviata a Gaza e Sarajevo e in molti altri conflitti (in italiano è stato tradotto Il giorno che vennero a prenderci; dispacci dalla Siria, La nave di Teseo, 2017), Janine di Giovanni ha scritto anche il memoir Ghosts by Daylight (2011), dove racconta come la scelta di mettere al mondo un figlio avesse attivato i traumi che lei e il suo compagno, un fotoreporter francese, avevano subito.
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PATRICK FOGLI racconta A CHI APPARTIENE LA NOTTE

PATRICK FOGLI racconta il suo romanzo A CHI APPARTIENE LA NOTTE (Baldini + Castoldi)

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di Patrick Fogli

Scrivo queste righe mentre fuori nevica.
È un caso, è ovvio, però se ci rifletto è il momento migliore per tentare di mettere in fila la strada che ha portato A chi appartiene la notte a diventare un romanzo.
Senza l’Appennino reggiano, la mia casa, la mia vita traslocata dalla pianura, questa storia non sarebbe nata.
È la prima volta che non c’è nemmeno una riga su Bologna, nemmeno nella mia testa, nell’immaginario che ha dato origine a luoghi inventati.
È una storia che arriva in fondo a un periodo difficile, non solo per i tre anni di silenzio editoriale. Un periodo in cui ho anche pensato che non avrei più scritto.
In fondo la vita ha le sue stagioni. Poche cose durano per sempre.

Poi è arrivata la Pietra.
C’è la Pietra di Bismantova all’inizio di tutto.
Non solo della storia, nella notte in cui si decide il destino di Filippo e con cui si apre il romanzo, ma dell’idea, dell’ipotesi senza forma che, molti anni fa – credo cinque – ha cominciato a balbettarmi in testa.
Una notte di stelle, una notte d’estate, un adolescente in cima a un luogo impossibile, una scogliera di mille metri, sopravvissuta ai tempi in cui tutto era mare, dalla Liguria a Venezia, un destino che si gioca in un istante, i pochi secondi in cui il suo corpo buca i trecento metri di dislivello e precipita. E sua madre alla finestra, una sigaretta in mano e la stessa notte davanti, a consumare il tempo una boccata lenta dopo l’altra, gli occhi fissi a quella sagoma più scura in lontananza – sempre lei, la Pietra, la montagna del Purgatorio o la montagna del Diavolo – in cui, nello stesso istante, la vita di suo figlio finisce.
Non avevo nient’altro, allora. Non era ancora il suo tempo.
Con le storie, almeno per me, funziona così. Leggi tutto…

SACHA NASPINI racconta LE CASE DEL MALCONTENTO

SACHA NASPINI racconta il suo romanzo LE CASE DEL MALCONTENTO (Edizioni E/O)

di Sacha Naspini

C’era l’idea di mettere le mani in un posto mio, tra quelli che mi hanno toccato, facendo il primo solco. A quarant’anni uno si diverte anche così: mappe. Ce n’era una giù, che abbaiava come una bestia viva. Mi piaceva il fatto di buttare sulla carta quella roba, perché toccava una geografia intima che però, a occhio, aveva la presunzione di portare con sé una creatura superiore (alla fine sono vivo e mi sporco nel mondo; vibrazioni spesse si avvertono anche da queste parti). Insomma, la chiamata arrivava da un luogo con un volto preciso: il borgo di Maremma da cui vengo, scavato là, nella roccia di una cresta che dalla notte dei tempi guarda la spianata delle acque marce; ma si vede anche il mare. Ecco il campo da gioco. Nella realtà si chiama Roccatederighi. Nel libro l’ho ribattezzato Le Case.
Ovvio: pensandolo nella prospettiva di un romanzo intuivo un territorio infame, dove sarebbe stato difficile restituire i simboli, la vocazione al vivere di una realtà minima. E piena di tutto. Corde sottilissime che d’un tratto cominciano a ronzare. Per diventare botte di cannone.
Quindi la nebbia. Le Case del malcontento è nato lì. C’era un bel velo bianco, latte a tutto spiano. E un subbuglio indecente nello stomaco dello stomaco. Alla fine mi sono calato in quella zona e basta.
La prima stesura fu un approccio fatto in punta di spada. Tenevo un piede in salvo, sguainando gli strumenti dell’artigianato assorbito come uno scemo. Mi buttavo nella scrittura, ma stando sulla difensiva. “Forse c’è una storia bella” mi dicevo, e guardando solo da quella parte perdevo la voce, povero cretino, tutto concentrato nei giochi di trama. Quindi non scrivevo davvero: tagliavo una fetta sottile di qualcosa. Grattavo la crosta. Infatti non ero contento per niente, perché sotto le parole urlava un’occasione e io la ignoravo – ma forse si trattava solo di un passaggio necessario: un animale comincia a muoversi e neanche capisci da quale parte gli stanno nascendo le corna. La prima stesura fu come un colpo d’accetta. Di quelli dove la lama resta incastrata nella pancia del ciocco. Allora bisogna fare lo sforzo vero. Leggi tutto…

VANNI SANTONI racconta L’IMPERO DEL SOGNO

VANNI SANTONI racconta il suo romanzo L’IMPERO DEL SOGNO (Mondadori)

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di Vanni Santoni

Prima di tutto, grazie a Letteratitudine per l’invito a parlare dell’Impero del sogno. Per farlo, mi piace partire oggi dalla copertina, disegnata da Vincenzo Bizzarri. È sempre una soddisfazione per l’autore quando capisce che il copertinista ha letto il libro con attenzione, e devo dire che quando sono arrivate le prime prove mi sono addirittura commosso: durante la lavorazione, mi chiedevo spesso se non avessi ecceduto nella varietà degli elementi e dei riferimenti mitologici, letterari e “pop” messi in campo. Quel primo disegno a matita, che poi è diventato la cover che vediamo oggi, mi ha detto che quanto stavo facendo poteva avere senso anche per occhi esterni. Mi piacciono molto anche i riferimenti all’Italia che si vedono qua e là: quando con Carlo Carabba di Mondadori abbiamo cominciato a parlare del romanzo, una delle prime cose su cui ci siamo trovati era che sarebbe stato bello fare un romanzo fantastico con una forte collocazione italiana, e la copertina riesce a rendere anche questo. Lo scrittore, e artista visivo, Francesco D’Isa, nel commentarla, aveva evocato le bahavachackra, le rappresentazioni simboliche del samsara, sovraccariche di dei, demoni e bodhisattva, che si vedono nei templi tibetani, e il paragone mi piace: è tipico, nella grammatica della visione, il passaggio da una zona di caos sovraccarico prima di sfondare verso le rivelazioni, e un percorso del genere è proprio quello che compie il protagonista del romanzo.

La seconda cosa che credo valga la pena raccontare, è che questo libro nasce davvero da un sogno. Ho davvero sognato quello che sogna Federico Melani all’inizio dell’Impero del sogno, il palacongressi, il congresso, i Draghi, i Sacerdoti, gli alieni, il fatto di essere io stesso un “delegato”. Avvenne sette anni fa, a Londra. Il sogno era così vivido, carico di senso apparente e curiosamente “seriale” che sentii il bisogno di trascriverlo, pensando che un domani, con opportuni sviluppi e modifiche, avrebbe potuto costituire lo spunto per qualcosa. Quella trascrizione è rimasta nel suo quaderno per diversi anni, finché non ho capito che poteva essere utile come base per questo romanzo, che a sua volta nasce da altre esigenze. Dato che da un po’ di anni ho cominciato ad articolare i miei romanzi, per quanto sempre autonomi, all’interno di un sistema narrativo unico, pativo un po’ il fatto che i due Terra ignota, in quanto fantasy, fossero del tutto avulsi dal resto dei miei libri. Mi assillava inoltre una questione, potremmo dire, “cosmologica”: trovare una giustificazione coerente alla natura intertestuale del mondo di Terra ignota. Ho voluto allora scrivere un romanzo che risolvesse quest’ultimo nodo e allo stesso tempo facesse da ponte tra quei due fantasy e il grosso della mia produzione, quella realistica di Muro di casse, Gli interessi in comune o La stanza profonda. Leggi tutto…

MARGHERITA OGGERO racconta NON FA NIENTE

MARGHERITA OGGERO racconta il suo romanzo NON FA NIENTE (Einaudi)

di Margherita Oggero

È spesso molto difficile stabilire da dove nasce lo spunto per scrivere un libro: stabilire e non ricordare, perché sulla memoria operiamo tutti, volontariamente o no, correzioni aggiustamenti o vere e proprie falsificazioni che poi non riteniamo più tali. E preferisco la parola spunto al posto di ispirazione, adatta forse alla poesia più che alla narrativa.
Non fa nienteNel caso di Non fa niente, il mio ultimo romanzo, mi sembra (uso molta cautela) che all’origine ci sia una conversazione avvenuta a tavola moltissimo tempo fa, al tempo del liceo. Ero ospite della mia compagna di banco Maria Pia nella sua casa poco fuori città, ad A.; c’era, oltre a me e alla famiglia, un altro invitato, il medico condotto, e in mezzo alle chiacchiere conviviali (di cui non ho alcuna memoria) ci fu una specie di brusca diversione quando fu pronunciato un nome maschile che invece mi rimase impresso, proprio perché avvertii un mistero o forse una reticenza intorno a esso. Non ne parlai con la mia compagna, forse per discrezione o forse perché allora me ne dimenticai.
Decenni dopo, sempre a tavola, chiesi improvvisamente a Maria Pia, diventata una cara amica di vita, notizie circa quel nome, tornato chissà perché a galla dall’archivio della memoria e lei mi raccontò anche il motivo di quell’antico mutamento del discorso. Era un figlio di due madri, un ragazzo concepito da una donna, ma legalmente figlio di un’altra e del marito di quest’ultima, padre ufficiale nonché biologico. Sul caso c’erano stati in paese alcuni mormorii, o meglio sospetti, ma di breve durata e intensità, anche perché nel frattempo un misterioso omicidio aveva spostato l’interesse sulle indagini e poi sulla scoperta dell’imprevedibile colpevole. Leggi tutto…

BRUNO ARPAIA racconta QUALCOSA, LÀ FUORI

BRUNO ARPAIA racconta il suo romanzo QUALCOSA, LÀ FUORI (Guanda)

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di Bruno Arpaia

A volte ci si porta dietro un’immagine per anni e anni. Quando ne avevo una ventina, ho nitidamente «visto», chissà perché, un popolo intero che viaggiava in condizioni avverse, assetato, malridotto, sfinito. Quell’immagine mi è rimasta dentro e ogni tanto si riaffacciava, faceva capolino tra i pensieri. Poi, qualche tempo fa, da cittadino appassionato di scienza, ho cominciato a interessarmi al cambiamento climatico. La situazione era molto più grave di quanto la dipingessero e implicava sconvolgimenti anche sociali, economici, politici, tra cui le migrazioni di massa. E a un certo punto è scattato qualcosa, ho legato quell’antica immagine all’oggi, al domani: il popolo che migrava eravamo noi in un probabilissimo futuro. Dopo, si è trattato «soltanto» di scriverlo, il romanzo.
Non m’interessava fantasticare su scenari catastrofici. Ho preferito immaginarne di probabili, a volte provocati da eventi già accaduti senza che ce ne rendessimo conto, a partire da dati scientifici. Leggi tutto…

PEPPE FIORE racconta DIMENTICARE

PEPPE FIORE racconta il suo romanzo DIMENTICARE (Einaudi)

di Peppe Fiore

Ogni volta che faccio un romanzo ho questa sensazione, che la parte della storia di cui ho più nostalgia è quella che è rimasta fuori. Fuori dalle pagine cioè: il protagonista del mio libro precedente era un impiegato modello di un’azienda di latte e caseari alle porte di Roma, che si trovava risucchiato in un maelstrom di suicidi a catena. DimenticarePersonaggio grigiognolo e prono sulla routine, circondato da colleghi trascurabili, e costretto suo malgrado al confronto archetipico che in un modo o nell’altro, prima o poi, tocca a tutti se si vuole diventare uomini davvero: quello con l’Inspiegabile. Nessuno dei miei lettori sa che, dopo l’ultima pagina del romanzo, quella con la parola Fine, Michele Gervasini trovava l’amore, si trasferiva in Croazia e abbracciava il buddismo mahayana. Nessuno lo sa perché, per questioni di equilibrio e di struttura, la storia doveva finire, appunto, con la parola Fine. Lo so solo io. Ma sapere che dentro il mio Michele, nascosto sotto strati e strati di geologia impiegatizia, si annidava una torsione verso l’assoluto, per quanto anchilosata dalla quotidianità, mi è servito a conoscerlo, a farlo muovere in quelle scarse 200 pagine che precedono la parola Fine e a trovare la sua voce.

Lo stesso con Daniele – che è il protagonista di Dimenticare. Leggi tutto…