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LA FIGLIA INUTILE di Laura Forti (Guanda)

Maggio 25, 2024

La figlia inutile - Laura Forti - copertina“La figlia inutile” di Laura Forti (Guanda): incontro con l’autrice e un brano estratto dal libro

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Laura Forti, scrittrice e drammaturga, è una delle autrici italiane più rappresentate all’estero. Insegna scrittura teatrale e auto­biografica e collabora come giornalista con radio e riviste nazionali e internazionali. In ambito editoriale, ha tradotto per Einaudi I cannibali e Mein Kampf di George Tabori. Con La Giuntina ha pubblicato L’acrobata e Forse mio padre, romanzo vincitore del Premio Mondello Opera Italiana, Super Mondello e Mondello Giovani 2021.

Il nuovo libro di Laura Forti si intitola “La figlia inutile” (Guanda, 2024).

Abbiamo chiesto all’autrice di parlarcene…

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«“La figlia inutile” nasce da un’indagine sulla memoria storica e personale relativa alla mia famiglia», ha detto Laura Forti a Letteratitudine, che ha coinvolto altri due libri che ho scritto, «“L’Acrobata” e “Forse mio padre” (Giuntina): si potrebbe pensarlo come il terzo tassello di una trilogia. Una famiglia ebraica in fuga che ha attraversato numerosi eventi e traumi della storia del Novecento, ben tre esili e tre dittature, lo Zar, Mussolini e Pinochet.
Image from LETTERATITUDINE (di Massimo Maugeri)Sono voluta tornare all’origine – per quanto sia possibile farlo, dato che molti rami dell’albero genealogico sono stati spezzati da guerre e pogrom – per concentrarmi sugli antenati, i Dresner, i miei bisnonni, scappati dalla Russia Bianca nel 1903 dopo il massacro di Kishinev, che scelsero prima la Francia e poi l’Italia come approdo e che dopo le leggi razziali dovettero espatriare di nuovo in Cile. C’era il desiderio, la necessità di fare un viaggio a ritroso per capire meglio, anche in un gioco di rispecchiamento con me oggi, il senso di valori complessi derivati da questa storia densa, perché una famiglia di esuli e perseguitati elabora a modo suo i traumi e li consegna ai discendenti in modo spesso irrisolto. Se restano dei conflitti e dei nodi da sciogliere la trasmissione si trasforma in eredità confusa, non elaborata, un retaggio che crea un senso di dolore e smarrimento. Chi viene dopo si trova infatti a dipanare un enorme materiale emotivo da solo, perché spesso questa sensazione di spaesamento è condannata e elusa dalla famiglia stessa, alleata nella negazione del passato.

La narrazione si concentra intorno alla figura di mia nonna che la leggenda tramandava come l’epigona di questo nucleo-Dresner coraggioso, eroico, che aveva attraversato con fierezza i drammi più sconvolgenti. Sentivo per lei una grande ammirazione, perché era rappresentativa di una memoria importante. Ma aldilà dell’idealizzazione agiografica, percepivo che c’era dell’altro, una discrepanza, un’ambivalenza di aspetti quasi contrapposti, una ferita nascosta di cui nessuno parlava e ho cercato di riportarla alla luce scavando e analizzando: una storia più sfumata, invisibile, quella relativa ai sentimenti, ritenuti innominabili, “inutili” – quasi un lusso, una zavorra – da questa famiglia di esuli. Ho cercato di ridare un corpo a questa nonna che, ironia della sorte, contravvenendo alla legge ebraica, si era fatta cremare, scomponendosi in cenere. Questo corpo che non c’è sotto la lastra di marmo funebre mi ha spinto a ricostruirne uno con la scrittura. E questo lavoro di “riempire una tomba vuota” si fa attraverso una sintesi tra memoria storica, personale e immaginaria, andando a recuperare l’umanità in senso globale, contraddizioni incluse».

(Riproduzione riservata)

© Laura Forti

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L’incipit di “La figlia inutile” di Laura Forti (Guanda, 2024)

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Una tomba vuota

Io sono quella che spazza le foglie sopra una tomba vuota.
Un rampicante dispettoso a seconda delle stagioni
produce una fitta pioggia di ramoscelli e inflorescenze,
un disordine vegetale che mi ostino a combattere.
La tomba che percepisco vuota è di mia nonna Elena.
Si trova lungo il muro del cimitero ebraico, in una zona
destinata ai suicidi o ai casi ambigui come il suo: quelli
che hanno voluto essere cremati. I precetti religiosi sono
contrari a questa procedura; affermano con certezza che
il giorno della resurrezione torneremo ad abitare i nostri
corpi e ci ritroveremo tutti a far baldoria a Gerusalem-
me. Evidentemente lei non condivideva quest’ansia mes-
sianica.
Sotto la lapide non ci sono i suoi resti, c’è un’urna con
le ceneri. A dire il vero non dovevano nemmeno stare lì,
era previsto un lungo viaggio al termine del quale avreb-
bero incontrato le acque fredde della Mosella in Francia,
il luogo della sua nascita. Poi a mia madre era sembrata
una complicazione, un capriccio della defunta, costoso e
soprattutto inutile. Tanto i morti non vedono e non sen-
tono, figuriamoci avere desideri.
D’altra parte, l’idea di un vaso funebre solitario, senza
una lapide con inciso il nome dove poggiare perlomeno
un sasso, pareva cosa brutta. Per non parlare di un’altra
questione che sarebbe sfociata in un vero e proprio con-
flitto affettivo familiare: chi avrebbe avuto l’onere e l’o-
nore di tenere il sacro reliquiario in salotto?
Così ecco trovato il compromesso risolutivo, il muro
dei suicidi. Si è fatta una cerimonia posticcia, giusto una
preghiera carbonara per un numero esiguo di presenti,
recitata da un rabbino comprensivo, ed è stata chiusa lì,
nel vero senso della parola.

Eppure non sono sicura che la nonna riposi davvero sot-
to la lastra di marmo su cui si accumulano le foglie di-
spettose che io continuo pazientemente a eliminare, sta-
gione dopo stagione.
Ho la stessa sensazione di quando era viva: che non ci
sia veramente. Che ci abbia ingannati. Che sotto si apra
solo il vuoto, una voragine, un abisso.
Lei era quell’abisso.
L’abbiamo mai conosciuta? È mai esistita?

(Riproduzione riservata)

© Guanda, 2024

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La scheda del romanzo: “La figlia inutile” di Laura Forti (Guanda, 2024)

«In fondo è questo la memoria: incarnare lo scomparso, entrare nelle sue scarpe e muovere le dita dei suoi piedi stranieri, sentire al suo posto attivando i sensi. Solo così il ricordo si scongela e rivela i suoi tesori, come una gemma che nasce nel ghiaccio e lo rompe in primavera quando fiorisce e il sole consente alla vita di riprendere.»

Un’urna riposa solitaria in una tomba vuota, nella zona del cimitero ebraico destinata ai suicidi e ai casi ambigui. Elena avrebbe desiderato che le sue ceneri fossero sparse nella Mosella, il fiume che amava. Ma la famiglia non ha rispettato la sua volontà e la nipote, a distanza di anni, capisce che in quel mistero c’è un nodo da sciogliere, un conto in sospeso con la memoria.
Nata in una famiglia di esuli russi che ­l’avevano lasciata a balia in Francia nei primi anni di vita, Elena era cresciuta ribelle e anticonformista, dispotica e generosa, amante dei gatti e delle tradizioni. Per ricomporre le tante facce della sua identità, la nipote deve ripercorrere il cammino dei Dresner, le tappe di una integrazione di successo in Italia: le amicizie con il sionismo nascente dei Rosselli e dei Sereni ma poi perfino con Mussolini, la scalata del Credito Italiano. Quando nel 1938, con le leggi razziali, i Dresner sono costretti di nuovo all’esilio, Elena, l’elemento emotivo, sensuale e vitale, dannoso per una famiglia che considera i sentimenti un lusso inutile, viene di nuovo abbandonata, proprio nel momento in cui il fascismo sta mostrando il suo volto più feroce.
La scrittura riempie la tomba vuota, restituisce fisicità e verosimiglianza a un fantasma, narrando una storia che attraversa l’Europa del Novecento ma è tutta italiana.

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© Letteratitudine – www.letteratitudine.it

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