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LO SCURU di Orazio Labbate (Bompiani)

Maggio 22, 2024

Lo scuru - Orazio Labbate - copertina“Lo Scuru” di Orazio Labbate (Bompiani): incontro con l’autore e un brano estratto dal romanzo

Da Lo Scuru è in corso di realizzazione il film omonimo diretto dal giovane regista Giuseppe William Lombardo e prodotto da Grey Ladder Productions. Un videogioco sarà sviluppato e distribuito dalla casa videoludica Tiny Bull Studios.

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Orazio Labbate, nato nel 1985, ha pubblicato i romanzi Lo Scuru (Tunué, 2014), Suttaterra (Tunué, 2017) e Spirdu (Italo Svevo Edizioni, 2021), e i saggi Atlante del mistero (Centauria, 2018), Piccola Enciclopedia dei mostri (Il Sole 24 Ore Cultura, 2016), Negli States con Stephen King (Giulio Perrone editore, 2021) e L’orrore letterario (Italo Svevo Edizioni, 2022). Ha ricoperto l’incarico di giurato della XXXV edizione del Premio Calvino e collabora con la Lettura – Corriere della Sera.

Per Bompiani ha appena ripubblicato Lo Scuru.

Abbiamo chiesto all’autore di raccontarci qualcosa del libro…

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«Perché “Lo Scuru” abbia possibilità di essere narrato», ha raccontato Orazio Labbate a Letteratitudine, «si deve annunciare una innaturale Trinità che il romanzo stesso dichiara di contenere nelle sue pagine: Lo Scuru, la Statua e U Diavulu. Questa scomposizione possiede gli elementi necessari di cui posso servirmi a mo’ di guida perché il racconto del libro si possa sostanziare in diversi periodi, posti e idee della mia breve vita, che hanno favorito la nascita del romanzo.

Il primo elemento: Lo Scuru

https://64.media.tumblr.com/7bb831a9a9a8dcbc4c0a99e9b6fc32a9/31e96cb9b2c85a77-eb/s1280x1920/dbce5565a9659ce79212c4e1cf25b995976374ad.jpgE’ stata la morte a farmi partorire lo Scuru.
A Butera, il mio paese natale (nonché spazio empirico e metafisico ove avviene principalmente Lo Scuru), morì mia nonna, quando avevo diciotto anni. La conoscenza del dolore, e l’evoluzione d’esso nella camera ardente, sino al punto di vederlo tramutarsi, secondo i miei occhi, in storpiamento delle cose reali, mi ha condotto a rivoluzionare la mia vita. Lì, in quel non-luogo, teatro della fine della carne, le potenti visioni religiose si sono scatenate. Visioni che covavo, anni prima da ragazzino, nella veste di chierichetto della parrocchia di San Rocco. La rabbia si è quindi frammischiata all’immaginazione di un nuovo ambiente e di una nuova, oscura, religione cattolica. Vidi quindi, grazie alla metafisica che accoglievo, le persone piangenti quali demoni o angeli, e poi vidi anche il soffitto divaricarsi per accogliere una luce e una Croce alle quali mia nonna si iniziò. Per contro, l’empiria fu padrona al cimitero dove mi resi conto definitivamente che mia nonna Maria fosse ormai sola: carne spenta. Fossimo io e lei nello Scuru. In questa Entità innominabile che è metà divina e metà diabolica eppure talmente malinconica, senza un Dio sopra di Essa solo gli uomini in grado di capirla.
Trascorsi la notte a scrivere in giro per il paese con un taccuino in mano, e poi di nuovo di nascosto al cimitero, da solo, scegliendo così i miei futuri posti di scrittura: la solitudine (la mia stanza), e i cimiteri. Ho dunque incominciato con impeto a scrivere il manoscritto embrionale che si chiamava “Sicilia mestruata” così battezzato dal mio maestro nonché grande sostenitore e amico Antonio Moresco.
Prima non avevo mai scritto seriamente, prima leggevo da impazzato Kafka, Dostoevskij, Borges, Bulgakov, Faulkner, McCarthy, Burroughs, Bufalino, D’Arrigo, e i gotici classici quali Hoffmann, Nodier, Meyrink, Poe, Stoker, e altri mentori di letteratura.

Il secondo elemento: la Statua

Da giovane chierichetto mi procurava suggestione, fino a incubi, una statua di cartapesta che rappresentava il Cristo accogliente dolorosamente sulle spalle la croce; la statua è chiamata a Butera: Il Signore dei Puci. Veniva condotta nottetempo, durante il Giovedì Santo, davanti alle diverse chiese paesane. La statua era fisiognomicamente orribile tale da indurmi a trasformarla, nella mia immagine infantile, alla mia prima idea iconica di Satana. Era come se la statua fosse posseduta, come se fosse accaduta una sorta di possessione rivolta verso un oggetto inanimato, un’originale vittima senza vita, all’interno di un significato, so bene, irrazionale dal punto di vista demonologico-possessorio.
Io tuttavia accudivo queste paure, e lo sentivo dentro di me, e percepivo sarebbero divenute humus fertile per una tensione alla letteratura che ancora pulsava e dunque non si dimostrava chiara. Pertanto la statua divenne, sedimentatasi nella mia mente tramite il tempo, un elemento di pensiero ancora addormentato ma pronto per essere pregato, coll’arte, fino al definitivo Lo Scuru.

Il terzo elemento: U Diavulu

U Diavulu non è solo stato, attraverso la rappresentazione figurata, il Signore dei Puci, è nella Trinità del romanzo anche lo stesso Lucifero che secondo la mia letteratura, in una veste gotico-americana, si manifesta e rivive lungo i territori di Butera e Gela. Trionfa in quel tratto stradale abbandonato, con la violenza degli incendi, colla potenza dei colori scuri e illuminati, colle nuove croci sacrileghe che sono gli spaccati pali legnosi della luce lasciati ardere la sera, con le chiesette lasciate preda di un solo lumino e non consacrate. Lucifero che è pure il cielo scoperchiato di stelle luminosissime nella Sicilia meridionale dove Esso abita. La sconfinata desolazione della strada Butera-Gela è per me dunque dominio del Diavulu.
I campi sono i suoi regni apocalittici, secchi e costellati di alberi spogli, sembra che sia già avvenuta la battaglia ultimativa dei due Cieli, pare che tutti i dimenticati e i solitari camminino la notte nella pianura infernale gelese la quale introduce alla città greca e al suo castello underground, il petrolchimico Eni. Pare allora possibile ricostruire una scena di True Detective, pare allora verificabile anche lì l’impazzata corsa di Llewelyn Moss di Non è un paese per vecchi.

In conclusione, per chiudere questa narrazione personale, propongo delle domande chiare e razionali che possono sorgere dopo questa lettura o dopo la lettura del romanzo: “perché non vi è luce in questa tua Sicilia meridionale? Perché è così oscura? Perché la bruttezza di una statua deve rimandare al Demonio? Perché la Sicilia meridionale è americana e infernale? Siamo in Texas o nella Sicilia meridionale?”
Ecco, queste questioni sono il motivo per cui ho scritto Lo Scuru, e sono anche il libro nella sua remota verità».

(Riproduzione riservata)

© Orazio Labbate

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Un brano estratto da “Lo Scuru” di Orazio Labbate (Bompiani)

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Il mio nome è Razziddu Buscemi. Sono un avvocato in pensione.
Seduto nel mio portico di Milton, West Virginia, guardo la prateria e il campo di granturco. La porta con le zanzariere sbatte e dentro casa non c’è nessuno. Mia moglie Rosa è morta qualche notte fa. Dormiva in camera da letto mentre sgusciavano dal cielo le prime stelle rosse che da alcune settimane vedo più spesso. Rosa aveva gli occhi nelle ossa del buio. Le ho preso i polsi sotto la luce morta della luna. Erano sbiaditi i polsi e non batteva nulla dentro di lei. Credevo di percepire fantasmatici respiri
provenire dalla sua bocca. Il vento dalla prateria portava gli affanni dei morti, le ultime boccate di aria vivente, le parole di Dio. Chissà dove sarà finito il cuore di Rosa: sotto il letto? Dentro le nuvole?
Ho visto, quella notte, dal portico, tanti morti che risalivano dalla prateria verso il cielo. E i morti avevano mantelle nere. Alcuni abbaiavano, altri ridevano, altri ancora
non volevano lasciare la terra e così sono rimasti a vagare attorno alla mia casa per infine, una delle notti scorse, decidersi a rifuggire nel firmamento brillante della luna piena. Avevo paura bruciassero la mia casa.
Ho i capelli bianchi e le mani vecchie ma negli occhi sono ancora in grado di riconoscere la luce siciliana. La luce degli astri. La luce delle chiese. La luce del fuoco.
Le luci mi fanno compagnia, in attesa del sonno eterno. Il rubinetto perde, ormai lo fa da anni. Gocciola. In cucina di notte mi siedo e ascolto. Ma le mie orecchie non sanno ascoltare più niente della notte. Gli animali stanno morendo. I campi non sanno più annerirsi. Spero che avrò nuove orecchie un giorno. L’udito dei mari e delle montagne silenziose.
Vi è mai capitato di vedere le nuvole immerse nell’arancio lacerato del tramonto? Ecco, se didentro ne rinvenite punti grigi allora osserverete bene il tempo. Il tempo non è mai di un solo colore. Lo capisco solo adesso. Il tempo è un traghetto manovrato dalle cose morte e io sto morendo.
Qui le nuvole non sono però di un arancio sangue, come in Sicilia.
Da ragazzo parlavo una mezza lingua: siciliano fuso all’italiano. A quei tempi possedevo la pulizia delle immagini e l’ingenuità di chi mangia ansante. Da picciotto iniziai a vedere le cose con chiarità. Ora vedo tutto sfuocato. Dove sono, adesso, le statue, mia madre, Nitto? Rosa?
Ho l’impressione di vedere il Signore dei Puci anche negli occhi del mio droghiere Rust, forse perché sono di cartapesta entrambi. Gli ho detto a Rust che sembrava un mostro e lui mi ha risposto che era tempo di riposarmi e che mi trovava stanco. Lungo la via del ritorno la gente aveva le facce incavate come teschi di coyote. Durante il
tragitto mi sono perso lungo una strada deserta e mi sono addormentato alcuni chilometri prima della mia casa.
Tremavo dal freddo e ho riposato dentro una stazione di servizio illuminata precariamente. Mantenevo nel sonno gli occhi aperti perché avevo paura di morire. Dopo un’ora mi alzai e davanti a me vidi la Statua, abbagliata da una lampada penzolante sopra le pompe di benzina. Il feticcio voleva strozzarmi. Chiusi gli occhi d’istinto e una volta riapertili non c’era più. Tornato a casa preferii dormire nella stalla aperta, mentre forconi metallici ombravano i cavalli e io credevo stesse entrando la statua. C’era puzza di rosmarino. C’era odore di legno bruciato. Forse non è vero tutto questo. Forse io non sto esistendo. Ho mal di stomaco, da un anno, il dolore mi divora le pareti delle budella. Mi rosicchiano i vermi. Sicuro. Lo spaventapasseri fuori è immobile con i corvi che gli beccano il cappello di paglia e la prateria è inerte. Le nuvole degli Appalachi sono di color sciroppo per la tosse. Non posso berne, ché lo stomaco mi fa vomitare tutto. Eppure berrei tutte le cose: notte, mare, cieli, facce, pance. Eppure stanno dissolvendosi. Io non ho poteri magici per fermare la distruzione. Mi è rimasta la forza per raccontare la mia fabula mentre Marty, l’husky, mansueto, latra alle oche. I porci si specchiano nel fango e la fattoria rossa perde vernice dal tetto isoscele. I buchi sono coperti da travi gialle.
In principio, il mio verbo era confuso, un fantasma piccolo, tormentato dalla religione. Nel sentiero della maturità ne uccisi il disordine con la spirtìzza della ragione e la luce del fuoco. Ora, pieno di morte, mi sforzo di parlare, tramite la debolezza, per saggezza. Sotto forma di litania, invaso dalla mia fine ultimativa.

(Riproduzione riservata)

© Bompiani

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La scheda del libro: “Lo Scuru” di Orazio Labbate (Bompiani)

Milton, West Virginia. L’avvocato Razziddu Buscemi, giunto alla fine dei suoi giorni, ricorda la propria infanzia vissuta nel profondo sud della Sicilia, a Butera. Nel disfacimento dei ricordi, mischiati a suggestioni metafisiche, la sua voce evoca un’infanzia visionaria, segnata da esorcismi e magie, e narra un’evoluzione violenta e dolorosa verso la maturità. Al cuore di tutto, il combattimento metafisico con una statua della Passione trasportata dai fedeli durante la Settimana Santa: il Signore dei Puci, una sorta di Cristo incatenato, forgia per sempre il suo spirito. Ma Razziddu non è solo, intorno a lui si muovono personaggi potenti come Nitto Petralia, il guardiano del faro di Licata, suo padre putativo, e Rosa Martorana, forse unica figura salvifica. Orazio Labbate racconta di aver concepito l’intuizione originaria di questo romanzo nel cuore della notte, al centro di una strada provinciale che taglia l’isola come la Route 66: “sovvertire l’immagine radiosa di una Sicilia zuccherina, meramente folclorica o vulcanica” attraverso la potente “qualità onomatopeica” di una lingua che attinge al dialetto. Lo Scuru, pubblicato dieci anni fa come esordio narrativo, si candida così a fondare il genere narrativo del gotico siciliano, che attinge al southern gothic di Faulkner e McCarthy quanto alla prosa di Bufalino e D’Arrigo, contaminati dal cinema americano di Robert Eggers. Un’opera di potente vitalità immaginifica, destinata ad arrivare presto anche nei cinema e a declinarsi nella narrazione interattiva di un videogioco.

Lo scuru - Orazio Labbate - 3

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