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Sulle Opere di Massimo Onofri (Inschibboleth)

giugno 3, 2024

Per una storiografia della vita - Massimo Onofri - copertinaIl mestiere della letteratura. Sulle Opere di Massimo Onofri (Inschibboleth, Roma, 2021-2024)

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di Grazia Pulvirenti

Un tempo, ormai lontano dal nostro avvilente presente, il concetto di letteratura era declinato sempre in relazione a un altro concetto, quello di mestiere. La scrittura era considerata, al di là di ogni possibile spazio accordato a ispirazione, estro o genialità, nei termini di una rigorosa pratica – si pensi ai grandi maestri, da Alessandro Manzoni a Thomas Mann, da Flaubert a Tolstoj. Una pratica che richiedeva padronanza degli strumenti del mestiere, studio, impegno intellettuale quotidiano, scandaglio del cuore umano e dell’epoca storica. E stile. Il “grande stile”, o dopo il suo tramonto, lo stile incrinato e disincantato della modernità.
Lo stesso risulta vero anche per il nobile mestiere del critico letterario: rigore esegetico, possesso degli strumenti della filologia, abilità analitiche, studio, molto studio, dominio dello stile. Lo stile, anche quello del critico, ha sempre costituito la cartina al tornasole, il banco di prova per generazioni di studiosi. Contenuto è forma, come ci hanno insegnato da tempo i formalisti del “Circolo linguistico di Mosca”.
Oggi il mestiere è definitivamente scomparso, e con esso lo stile. E pure la scrittura nella sua accezione più nobile. E ciò vale tanto per la produzione letteraria, vandalizzata dalla pubblicazione di sottoprodotti culturali, quanto per la critica, in asfissia fra tiktoker, influencer dei social, che pensano di dettare mode e determinare il successo o l’insuccesso di un’opera. Pochi giorni addietro ho scoperto che esiste addirittura un mercato di vendita di “pacchetti di recensioni online”!
In questo bailamme è sempre più arduo leggere sia buoni testi letterari che stimolanti riflessioni critiche. I ‘veri’ critici, ovvero coloro in possesso degli strumenti di questo mestiere, sono sempre più rari, e la loro voce sempre più isolata: vox clamantis in deserto. Eppure senza questa resistenza ad oltranza della buona letteratura e del ‘nobile’ esercizio della critica da parte di sempre più rari femmes e hommes de lettres non avremmo più ossigeno per respirare.
Una energizzante boccata di ossigeno possiamo attingerla dai quattro volumi delle Opere di Massimo Onofri, pubblicate dalla benemerita casa editrice Inschibboleth: la summa dell’indefesso operato critico di circa trent’anni.
Storia di Sciascia - Massimo Onofri - copertinaRendere conto con perizia e nel dettaglio di queste migliaia di pagine è impresa ardua. Qui non posso che limitarmi a tracciare un breve excursus riassuntivo, prendendo le mosse dal primo volume, edito nel 2021: esso contiene l’opera dedicata a Sciascia, divenuta riferimento fondamentale per la critica italiana, pubblicata la prima volta da Laterza nel 1994, segnando un radicale cambiamento nella ricezione critica dello scrittore siciliano. Con una premessa dello stesso autore, riappare in questo volume di 368 pagine, dense di osservazioni e spunti destinati ancora a far riflettere, per la loro impareggiabile abilità di scandagliare a fondo i testi senza mai perdere di vista un’inquadratura storica.
Tutti a cena da Don Mariano. Letteratura e mafia nella Sicilia della nuova Italia - Massimo Onofri - copertinaNel 2022 è uscito un altro volume, contenente un’opera, anch’essa al suo apparire profondamente innovativa nel panorama della critica letteraria. Tutti a cena da Don Mariano. Letteratura e mafia nella Sicilia della nuova Italia colmò la lacuna esistente intorno a un tema che non finisce di porre problematiche, quello del rapporto fra letteratura e mafia. La Sicilia, in tutto il suo articolato spessore sociale, politico e culturale, è al centro di questa articolata disamina, la Sicilia, che, citando lo stesso autore, “nella sua peculiarità culturale, potrebbe anche non essere mai esistita”, ma che esige che si facciano “i conti con ‘l’isola di carta’ che gli scrittori siciliani ci hanno consegnato in questi ultimi cento- trent’anni.” Lungi da ogni “sicilianismo corrivo”, come da ogni forma di meridionalismo apologetico, o da ogni inquadratura stereotipata, la lente d’ingrandimento che acuisce la vista del critico viterbese, gli ha consentito di cogliere, da par suo, contraddizioni, asperità e ambiguità di un cronotopo di difficile definizione, mettendo in fuga equivoci, generalizzazioni di comodo, come quella di Vassalli nei confronti di Sciascia.  Parafrasando quanto Onofri scrive sulla letteratura siciliana, da Leonardo Sciascia a Vincenzo Consolo, il suo libro ha riacceso la “coscienza critica e autocritica” e riesce, ancora oggi, a “restituire il fenomeno in tutta la sua complessità” (p. 16).
Questa visione disincantata dell’isola, costruita attraverso una minuziosa ricognizione di testi e mediante l’acribia analitica, ha consentito allo studioso di elaborare una visione di quella che definirei ‘malattia Sicilia’, oggetto d’indagine da parte dello stesso autore che, sulla Sicilia ha scritto pagine memorabili nel suo Passaggio in Sicilia del 2016.
La critica in contumacia - Massimo Onofri - copertinaLe pagine che più inducono a riflettere sullo statuto della critica letteraria sono quelle contenute nel terzo volume delle opere, La critica in contumacia, edito nel 2023. Bisogna premettere che Massimo Onofri nel 1995 aveva pubblicato un testo provocatorio, un libello di spirito settecentesco, denso di sarcasmo voltairiano, dal significativo titolo Ingrati Maestri (Theoria). A partire dalla critica di Croce, che viene presentato egli stesso come una sorta di fondatore dell’attuale “industria del vuoto”, alla condanna della visione “più estatica che estetica”, sdoganata da Renato Serra, dai ‘peccati’ di Debenedetti e Contini alla colpa “semiopatica” di Segre, dalla “vertigine semiotica” di Umberto Eco alla contrapposizione fra Citati e Macchia. Gli scritti successivi a quel volume, che provocò non pochi mal di pancia, sono adesso raccolti in questo terzo volume delle Opere: Il canone letterario (2001), La ragione in contumacia. La critica militante ai tempi del fondamentalismo (2007), Recensire. Istruzioni per l’uso (2008), Critica della vita e storiografia letteraria (2015). Qui, la critica letteraria diviene oggetto di una metariflessione acuta e impietosa, dalla quale affiora una visione da autentico e raro umanista: la critica, secondo Onofri, ha un dovere da cui non prescindere mai, al di là degli statuti storiografici e dei più arditi tecnicismi, il dovere di servire “alla interpretazione delle opere in vista della costruzione del senso della vita di un lettore, del suo modo di abitare il mondo. Già: la critica della vita”.
https://letteratitudinenews.wordpress.com/wp-content/uploads/2024/06/86576-de20ceccatty_edited.jpgTale visione, che rende ancor più indispensabile interrogarci sul mestiere di critico, ritorna come fil rouge nel quarto volume delle opere di Onofri, appena edito. L’interrogativo che attraversa quest’ulteriore ponderoso volume (366 pagine) è il medesimo: “Che ne sarà della storiografia letteraria una volta ripensata alla luce del concetto di ‘critica della vita’?”  (risvolto di copertina).
Sarà in grado Massimo Onofri di rispondere a questo abissale interrogativo?  Le pagine di questo volume propongono fra acute e disilluse osservazioni, ulteriori scritti del critico viterbese: i 29 ritratti contenuti in Gatti e tignosi. Dizionarietto dei viterbesi, degni e indegni, comunque memorandi (1994), l’excursus visuale di Il suicidio del socialismo. Inchiesta su Pellizza da Volpedo, L’epopea infranta. Retorica e antiretorica per Garibaldi, Via Mazzini 87 e Viterbo, la sua luce. Di questi, il primo testo, un’opera giovanile di Onofri, scandaglia alcuni profili di viterbesi celebri, alcune forme di ‘viterbesità’, come a volere partire dalla propria terra di origine per leggere il mondo; la seconda opera nasce da una contraddizione tra “le magnifiche sorti e progressive”, propugnate da Pelizza da Volpedo nella sua più celebre opera Il Quarto Stato, e quella tragica decisione che lo condusse ad armare la sua mano per uccidersi, contravvenendo alle sue istanze politico-sociali, e lasciandoci con una domanda irrisolta: quanto germe di cupio dissolvi albergava anche nel Partito Socialista italiano, vista la sua ingloriosa fine? Il terzo testo, L’epopea infranta, richiama alcuni snodi del precedente Tutti a cena da Don Mariano, lì dove fornisce una lettura di un mito all’interno di una società ai primordi, preannunciando ciò che sarebbe stata la società di massa, con i suoi riti laici, le sue religioni civili, le sue contraddizioni insanabili.
Infine, a impreziosire il volume sono due appendici: una sulla storica Libreria Fernandez della città dell’Alto Lazio, l’altra dedicata al pittore viterbese Federico Paris, nei cui dipinti “si accampa come un sogno di Viterbo” (p. 355). Tali testi rappresentano un congiungimento fra inizio e fine, chiudendo la struttura ad anello di questa raccolta di saggi proprio dove nasce: nel luogo delle origini, ovvero in una città di torri merlate, fra antiche mura di cinta, mitopoieticamente etrusca e medievale, da dove fuggire verso le isole, tante isole, ma dove ritornare sempre, per ritrovare i fili di una infinita narrazione.
Fra disillusione e distruzione dei miti, affiora sempre, e con irruente evidenza, quella visione di chi sceglie di indagare l’arte e la letteratura, per comprendere, o almeno tentare di intuire, il senso della incredibile, a volte sconfortante, complessità dell’essere vivi in questo mondo. E di essere salvi tramite la parola.

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Tra le pieghe delle storie”:
Tra le pieghe delle storie, tra gli anfratti di ciò che in genere scompare, ma che è pregno di significato.
Rubrica a cura di Grazia Pulvirenti.

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