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BOB MARLEY. ONE LIFE di F. T. Sandman (Newton Compton)

marzo 9, 2024

Bob Marley. One life. Storia dell’uomo che ha rivoluzionato la musica ed è diventato leggenda - F. T. Sandman - copertina“Bob Marley. One life. Storia dell’uomo che ha rivoluzionato la musica ed è diventato leggenda” di F. T. Sandman (Newton Compton): incontro con l’autore e un brano estratto dal libro

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F.T. Sandman, nome d’arte di Federico Traversa (Genova, 1975), si occupa da anni di musica e spiritualità. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. Insieme allo scrittore Episch Porzioni conduce dal 2017, sulle frequenze di Radio Popolare Network, il programma Rock Is Dead, dedicato alle morti misteriose dei volti noti e meno noti della musica, da cui è tratto l’omonimo libro.

Il nuovo libro di F.T. Sandman si intitola “Bob Marley. One life. Storia dell’uomo che ha rivoluzionato la musica ed è diventato leggenda” (Newton Compton, 2024).

Abbiamo chiesto all’autore di parlarcene…

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«Perché mi piace Bob Marley?», ha detto Federico Traversa, in arte F.T. Sandman, a Letteratitudine.
«Perché ci ho scritto due libri sopra? Perché ho speso gli ultimi 25 anni della mia vita a rincorrere questo fantasma con i dreadlocks e le sue canzoni di protesta?
Perché ho intervistato molti dei suoi tredici figli, ascoltato tonnellate di dischi reggae e votato parte della mia vita alla musica in levare?
Tanti motivi. Tutti validi.
Il più importante?
Marley è stato uno dei primi esempi veramente positivi che ho trovato nella musica. Non era autodistruttivo come tante rockstar nichiliste votate alla triade sesso, droga e rock n’ roll, il tutto rosolato al fuoco spento del no future. Bob credeva fortemente nella vita e non nella morte. Nell’amore e non nell’odio. Ed era un vero rivoluzionario, uno davvero per la gente. Le testimonianze raccontano di tante persone in fila, ogni giorno, nel giardino della sua casa a Hope Road, alla disperata ricerca d’aiuto. E lui lì, sudato dopo la consueta corsetta mattutina con i fratelli rasta, ad elargire soldi, a regalare speranza. Un po’ Gandhi, un po’ Muhammed Ali.
Bob aveva un bellissimo sorriso e quei capelli pazzeschi che si agitavano al vento mentre giocava a pallone, o danzava circondato dai bambini. Se lo osservavi bene, potevi avvertire Dio in ogni suo passo, in ogni sua nota.
Era naturale. Era mistico.
Era naturale e mistico.
Proprio come alla fine di un sogno, quando sta arrivando la luce.
E non mollava mai, era un duro, uno veramente “tuff”, che credeva in una ferrea disciplina: si allenava tutti i giorni, leggeva la Bibbia, lavorava senza sosta alle sue canzoni e, ovviamente, fumava quantità industriali di ganja per raggiungere stati più elevati di coscienza. La marijuana, dicono i rasta, è la pianta che cresceva sulla tomba del re Salomone. Se la fumi ti regala saggezza e ti avvicina a Dio, per questo la ritengono un prezioso sacramento. E Bob, prima di ogni altra cosa, era un Jah Soldier, un soldato di Dio. La musica per lui era un mezzo non un fine, un mezzo per portare nel mondo il messaggio di Jah Rastafari, quel Dio onnisciente che nella sua vita è stato tutto: padre, ispirazione, famiglia.
Un’anima antica quella di Marley, dice qualcuno. Un flusso ribelle che ha attraversato il vento, divampando come un fuoco fatto di tante diverse fiamme: il bambino meticcio e senza padre che corre per le colline di Nine Miles; il giovane musicista che cerca di affermarsi insieme agli amici Bunny Wailer e Peter Tosh nel ghetto di Trenchtown; il marito e padre in cerca di fortuna che emigra negli Stati Uniti; il rastaman che trova in Dio quel padre che non lo ha mai voluto; il calciatore con i dreadlocks al vento che ama le donne e la marijuana. E poi la leggenda, il mito, il profeta di una nazione a un passo dalla rivoluzione civile: l’uomo a cui sparano cercando di farlo fuori; il re del reggae che suona davanti a una nazione per la liberazione dello Zimbabwe; il marito infedele che deve affrontare i propri peccati e fantasmi.
Tanta vita, tanta ispirazione. Tanto amore.
Proprio come alla fine di un sogno, di quelli parecchio belli…
One love.»

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Un brano estratto da “Bob Marley. One life. Storia dell’uomo che ha rivoluzionato la musica ed è diventato leggenda” di F. T. Sandman (Newton Compton, 2024)

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Proprio nel periodo in cui le cose sembrano finalmente svoltare sul serio, i tre membri fondatori dei Wailers si separano, e ognuno di loro sceglie di continuare la propria carriera come solista. È il 1974.
Dopo il buon successo di Burnin’, tutti riconoscono Bob come leader del gruppo e la cosa infastidisce Peter Tosh, che si sente leader almeno quanto Marley. In più ritiene, che il contratto con Blackwell sia una fregatura e vuole più soldi. Così decide di andarsene.
Il problema di Bunny è diverso: Livingston odia andare in tour e allontanarsi dalla Giamaica; inoltre è un tipo che vive rilassato, senza orologi, e ama sparire per giorni. Tutti quei massacranti tour promozionali non fanno per lui, e allora dice basta. Continuerà a fare musica (e sarà ottima musica), ma con i suoi tempi e modi.
Nonostante le defezioni dei due compagni degli inizi, Bob è deciso ad andare avanti e continua a suonare senza sosta. Per armonizzare maggiormente le linee vocali del gruppo, orfano di Peter e Bunny, decide di coinvolgere nuovamente nei Wailers Rita e due cantanti con cui la moglie ha collaborato in passato, Judy Mowatt e Marcia Griffiths. Le tre donne si ribattezzano I-Threes e diventano parte integrante dei nuovi Wailers, insieme a un nuovo chitarrista, l’americano Al Anderson, e al tastierista Tyrone Downie, che già aveva preso parte alla lavorazione di Catch a Fire.
Con i problemi economici finalmente alle spalle, Bob si trasferisce al 56 di Hope Road, nella grande casa coloniale con giardino cedutagli da Chris Blackwell, che diventa un vero e proprio quartier generale del gruppo ma anche una specie di comune, bazzicata da musicisti, belle ragazze, rasta, faccendieri o semplici perditempo. Qui, il cantante scrive musica, discute di affari, ospita gente proveniente dai ghetti di Kingston, fa beneficenza, organizza incontri e riceve le tante donne che vogliono conoscerlo. In più, ogni giorno, nel cortile davanti alla casa, lui e il suo entourage si sfidano a lunghe partite a pallone. Il calcio, oltre alla musica, è una delle grandi passioni dell’artista. Uno dei suoi più cari amici è Allan “Skill” Cole, stella della nazionale giamaicana di calcio, una specie di Pelé con i dreadlocks che per un periodo ha giocato pure in Brasile.
Nel 1974, con l’uscita di Natty Dread, la band si battezza ufficialmente Bob Marley & The Wailers.
L’album presenta sonorità più morbide rispetto ai precedenti, mantenendo però intatta la forza rivoluzionaria dei testi, sempre più aperti nel comunicare il messaggio rastafari a cui Bob ha scelto di dedicare la propria vita.
Nella squadra di Marley entra lo scafato manager Don Taylor, che già ha lavorato con Marvin Gaye. L’arrivo di Taylor contribuisce a portare la carriera di Bob su un altro livello, trasformandolo in una star internazionale di prima grandezza.
L’anno successivo il gruppo tiene numerosi concerti in Europa, tra cui due memorabili serate sold out al Ballroom Lyceum di Londra, che sono ricordati come i migliori show del decennio. Un giornalista inglese scrive che, nei giorni successivi a quei due show, a Londra sono diventati tutti rasta! La registrazione di quelle due serate porta alla pubblicazione di Live, un album dal vivo che scala rapidamente le classifiche.
La versione di No Woman No Cry contenuta nell’album diviene un grandissimo successo mondiale. Quella canzone, che parla degli anni di Bob a Trenchtown, quando trovava ristoro nella cucina dell’amico Vincent “Tarta” Ford mentre il buon vecchio Georgie Robinson preparava un fuoco “capace di ardere tutta la notte”, entra nell’immaginario collettivo, contribuendo alla nascita della leggenda di Bob come profeta del reggae, che divamperà qualche anno dopo.
Sulle ali dell’entusiasmo per la musica in levare, l’icona soul Stevie Wonder propone a Marley un concerto di beneficenza insieme. Lo show ha luogo l’11 ottobre del 1975 a Kingston e i ricavi vanno alla Scuola per Ciechi messa in piedi dall’Esercito della Salvezza. In quell’occasione, Bob, Peter e Bunny si riuniscono per l’ultima volta come Wailers, suonando una memorabile versione di I Shot The Sheriff insieme a Wonder.
Intanto negli Stati Uniti è sempre più reggae-mania. Nel numero di febbraio del 1976, la rivista «Rolling Stone» proclama Bob Marley & The Wailers band dell’anno.
Non stupisce quindi che il successivo lavoro, Rastaman Vibration, sia devastante nelle classifiche americane, entrando addirittura nella top ten di Billboard, cosa fino ad allora inimmaginabile per un disco reggae. L’album picchia duro con sonorità decisamente rock, forse più adatte alla conquista del mercato americano, e vede un Marley sempre più anti-establishment con pezzi come Rat Race o la monumentale War, il cui testo è tratto da un discorso dell’imperatore d’Etiopia Hailé Selassié i, Ras Tafari.
Mentre l’America scopre il reggae, in Giamaica la situazione politica sta precipitando. Siamo sotto elezioni e i due principali partiti dell’isola si fronteggiano aspramente, con violenza e scontri fra i sostenitori delle rispettive fazioni che fanno temere addirittura la guerra civile.
Per stemperare le tensioni Bob accetta di partecipare al concerto “Smile Giamaica” in modo da lanciare un messaggio di pace e tentare di calmare le acque.
Il leader del pnp, Michael Manley, di cui Marley è simpatizzante, vede quell’occasione come un possibile vantaggio politico e decide di partecipare all’evento: Bob è ormai un eroe per la gente dell’isola e averlo pubblicamente dalla sua parte è un’occasione ghiotta in vista delle imminenti elezioni.
Inoltre Manley, allora primo ministro in carica, sceglie arbitrariamente di anticipare le giornate del voto in modo da sfruttare l’immediata scia di consensi che l’apparire al fianco di Marley gli avrebbe regalato.
Questi fatti scaldano ulteriormente gli animi fra le rispettive fazioni, e a farne le spese è proprio Bob.
Due giorni prima dello show, sei uomini armati fanno irruzione in casa sua a Hope Road. Rita sta lasciando la proprietà quando vede un gruppo di persone salire per le scale. Terrorizzata, si mette a suonare il clacson. Uno degli uomini si volta e insegue a piedi l’automobile sparando diversi colpi verso la macchina, sfondando il lunotto posteriore e ferendo Rita alla testa.
Bob è in cucina con il suo manager Don Taylor e sta sbucciando un pompelmo quando vede gli altri cinque aggressori entrare in casa e fare fuoco. Dopo una serie di spari, gli uomini si allontanano.
Per miracolo, nessuno perde la vita. Marley viene ferito di striscio al petto e al braccio. La moglie Rita, come detto, è stata colpita superficialmente alla testa. Danni più gravi riporta Taylor, che viene ferito all’intestino e rischia complicazioni al midollo spinale.
Questo evento ispirerà a Bob il testo della canzone Ambush In The Night.
Nonostante l’aggressione e la defezione di alcuni musicisti spaventati dall’attentato, Marley si esibisce come programmato. Quando gli viene chiesto perché abbia accettato di cantare comunque, risponde: «Perché le persone che cercano di far diventare peggiore questo mondo non si concedono un giorno libero… Come potrei farlo io?!».
Il giorno dopo il concerto, però, lascia la Giamaica e vola a Nassau, nelle isole Bahamas. Stare lontano dal Paese, al momento, appare la scelta più sicura. Alle Bahamas viene raggiunto da Cindy Breakspeare, neoeletta Miss Mondo, con cui da tempo ha una relazione. Sarà lei, nel 1978, a dare alla luce Damian, uno dei tanti figli avuti da Tuff Gong al di fuori del matrimonio.
Dopo un periodo di riposo trascorso tra Miami, New York e il Delaware, Bob parte con i Wailers alla volta di Londra per incidere Exodus. Questo disco conferma la fama di superstar internazionale di Marley, restando per cinquantasei settimane consecutive nelle classifiche inglesi. Per molti è il disco migliore mai realizzato dalla star giamaicana, e nel 1999 la rivista «Time» lo eleggerà miglior album del ventesimo secolo.
La raccolta contiene alcuni dei pezzi maggiormente conosciuti dal grande pubblico, a partire dalle dolci ballad Waiting in Vain, Turn Your Lights Down Low, One Love e Three Little Birds fino alle monumentali Jamming e Exodus, in cui il profeta del reggae esorta il popolo nero a tornare nella madrepatria Africa.
Il soggiorno in Gran Bretagna, che Bob cerca di tenere segreto per garantire la propria incolumità, è fonte di grande ispirazione per lui. Grazie all’amicizia con il film maker e deejay Don Letts, entra in contatto con la nascente scena punk inglese e ne rimane colpito. Al di là delle esteriorizzazioni caratterizzate da aggressività e spirito di autodistruzione, che non fanno parte del suo essere e sono lontane dal credo dei rasta, Bob condivide il contenuto critico verso la società e la valenza rivoluzionaria dei punk.
Il frutto di questa nuova conoscenza è la canzone Punky Reggae Party, che registrerà insieme a Lee “Scratch” Perry, con cui ha appianato ogni precedente incomprensione.
Nell’aprile del 1977 Marley è nuovamente nei guai: viene infatti fermato dalla polizia per possesso di marijuana. La cosa finisce sui giornali, così come la sua celata presenza a Londra. Lo spiacevole inconveniente regala però a Bob la possibilità di un incontro emozionante. Venuto a sapere della presenza di Marley a Londra, il principe Asfauossen, nipote dell’imperatore Hailé Selassié, esprime la volontà di conoscerlo. Durante l’incontro, il principe regala a Bob l’anello appartenuto all’imperatore etiope.

(Riproduzione riservata)

© (Newton Compton, 2024)

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Bob Marley. One life. Storia dell’uomo che ha rivoluzionato la musica ed è diventato leggenda - F. T. Sandman - copertinaLa scheda del libro: “Bob Marley. One life. Storia dell’uomo che ha rivoluzionato la musica ed è diventato leggenda” di F. T. Sandman (Newton Compton, 2024)

Il suo credo, le sue convinzioni, il grande messaggio di pace e amore che ne ha fatto una delle poche autentiche leggende del ventesimo secolo.

Il suo credo, le sue convinzioni, il grande messaggio di pace e amore che ne ha fatto una delle poche autentiche leggende del ventesimo secolo. Ma anche il lato più privato e segreto, i ricordi d’infanzia, il forte legame con la sua Giamaica, la passione per il calcio. E, naturalmente, la sua musica, colonna sonora di tante generazioni in lotta per i propri diritti. Attraverso le interviste rilasciate da Bob Marley nel corso della sua vita, F.T. Sandman ricostruisce la storia e la voce di una star indiscussa, accompagnando i lettori alle origini del culto Rastafari e alla nascita della musica reggae. Senza dimenticare l’eredità di Bob Marley, la carriera musicale dei suoi figli e il debito che tanti celebri musicisti (da Rihanna a Manu Chao) hanno nei suoi confronti.

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