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L’IRA DI DIO di Costanza DiQuattro (Baldini + Castoldi) – recensione

marzo 27, 2024

L'ira di Dio - Costanza DiQuattro - copertina“L’ira di Dio” di Costanza DiQuattro (Baldini + Castoldi)

Libro presentato da Roberto Barbolini nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica al Premio Strega 2024.

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di Daniela Sessa

L’armonia di una ninna nanna rompe il fragore delle macerie delle case e del cuore. La sua eco  resterà quando il frastuono della Natura, che scuote la terra, cederà il passo alla ricostruzione, quando alla polvere grigia delle macerie seguirà il candore della pietra di Ibla, quando le colonne e i capitelli di una chiesa saranno il sorriso di una madre e i capelli di un neonato. Tutto questo accade nel mondo immaginato da Costanza Di Quattro nel suo ultimo romanzo “L’ira di Dio”. Un romanzo con cui la scrittrice aggiunge un tassello al suo racconto di Ibla, la parte storica della città di Ragusa, arroccata su una collina e sulla storia che ne ha segnato l’architettura nella splendida sintesi tra medioevo e tardo barocco. Costanza Di Quattro, con questo romanzo, entra a pieno merito nel gruppo di scrittrici siciliane che da Dacia Maraini in poi hanno raccontato la storia dei luoghi dentro la storia di personaggi da questi partoriti, e dei luoghi conosciamo la lingua, i pregiudizi, i contrasti sociali, i profumi, come se questa isola così carnale potesse essere solo sintesi dei sensi. Della passione e del dolore. “L’ira di Dio” è quella che si scatena tra il 9 e l’11 gennaio del 1693. Il terremoto più forte della storia della Sicilia, più di quello di Messina e più di quello del Belice. Si contarono quasi 60.000 morti e fu distrutta la val di Noto. Ibla è figlia delle rovine di quel terremoto e quel terremoto, scrive Costanza Di Quattro “è metafora della Sicilia che cade e si rialza, ma è anche paradigma della natura dell’uomo che, pur nello sconforto, riesce a trovare la forza di guardare oltre”. Una narrazione della Sicilia che non si arrende alla fraintesa sicilitudine. Ma Ibla non è solo una città: Ibla è un personaggio, come personaggio sono i dodici anni in cui si sviluppa la narrazione, come personaggio è il Seicento, il secolo della meraviglia e dell’Inquisizione, il secolo in cui la Chiesa fagocitava nella grettezza e nella superstizione ogni voglia di vita. Costanza Di Quattro restituisce alla perfezione il buio e la grettezza di un secolo, dominato dalla secolarizzazione del clero e dall’ignoranza della gente. “Memorare tremotus et non peccabis” recitavano i preti mentre la terra tremava. “L’ira di Dio” è un romanzo storico, sebbene la storia diventi destino e ceda al racconto intimo, con un andirivieni del narrato dalle cose ai sentimenti, dalle case agli animi. Il rigore della ricerca storica, grazie a una scrittura controllata e incline agli squarci lirici, dialoga con la finzione di una storia di amore e morte, di odi e rancori, di amicizie e di solidarietà, di fede e superstizione.  Se la coralità è la cifra dei romanzi di Di Quattro, che segue il modello realista da Manzoni a Verga, in “L’ira di Dio” la narrazione carsica si dipana tra finzione e storia, tra narrazione e simbolismo, tra carne (quella dei personaggi) e pietra (quella delle case e del tempo). Almeno due sono i protagonisti di questo romanzo: Bernardo e Ibla. Uno è il senso, anzi il sentimento: la Bellezza. La letteratura sulla Bellezza è sterminata: basti per tutti l’inno alla bellezza di Venezia scritto Iosif Brodskij, e dopo di lui si può solo procedere per imitazione. In “L’ira di Dio” la Bellezza è un po’ vendetta, un po’ risarcimento, diritto più che privilegio. La bellezza di Ibla si può toccare nelle sue pietre bianche, nei suoi palazzi nobiliari di cui la scrittrice è cantore, nelle vie sinuose e negli squarci aperti delle sue piazze dominate dalla chiesa di San Giorgio. Ma c’è un’altra Bellezza che Costanza Di Quattro ci racconta: concreta e palpabile. Avviene quando si tocca il corpo della persona amata, quando si accarezzano le guance di un bambino, del tuo bambino, quando si cercano gli occhi di un familiare o la pacca sulla spalla di un amico, quando si bacia un crocifisso. Di tutta questa Bellezza di mani e corpo, l’unica che non avviene in questo libro è l’ultima perché padre Bernardo, il protagonista, non ha fede, almeno non quella giusta. Costanza Di Quattro con Bernardo regala al suo pubblico ancora una volta un maestoso personaggio maschile. Corrado Arezzo, il gattopardesco protagonista di “Donnafugata” riverbera in padre Bernardo con la sua forza e le disillusioni. Ma Bernardo non poteva esistere senza la dolcezza di Fortunato di “Giuditta e il monsù” e senza l’inquietudine infelice di Antonio Fusco di “Arrocco siciliano”. Bernardo con la sua indolenza e il suo sorriso come uniche armi da contrapporre al mondo. Prete per forza, Bernardo non si arrende né al senso di colpa né al peccato. Ama Tresina, la serva umiliata, procace quanto Ibla, che si porta in canonica e nel letto. Bernardo è fra’ Cristoforo di Manzoni quando è ancora Ludovico in quella strada in cui incontra il male e il bene. Bernardo è lì, in quel momento, nel carattere, nella giovinezza, riverso sul portone del convento in cui si ripara ubriaco fradicio e poi quando si trova tra i feriti del terremoto. La forza del personaggio di Bernardo è la sua schiettezza, una verità dell’animo che non cede mai a nessuna disperazione che non sia relegata nella perdita di ciò che lo rendeva felice. “L’ira di Dio” si snoda dentro un’equazione: la Felicità sta alla Bellezza, come la Violenza sta alla Distruzione. E’ la violenza a ipotecare la felicità dei personaggi in una soffocante ricerca di identità. Chi è Bernardo visto che per violenza si è fatto prete? Chi è Eligio, il gemello, che la violenza della sorte ha immobilizzato in un letto e in un casato? Chi è Ninfa De Torres la baronessa madre che la violenza ha strappato dal convento e resa madre e vedova da quarant’anni? Chi è padre Fernando che della violenza è l’artefice, figlio di quel siglo de oro che mescolò l’orrore a Dio e fece mostruosità del desiderio? Tutti infelici, tutti prigionieri di un destino che è tutt’uno con il suo tempo. Bernardo si ribella: ama la povera Tresina e diventa padre vero, carnale non quello che ogni mattina recitava (mai verbo fu più letterale) la messa. Dalla distruzione nascerà la bellezza di Ibla, ma non solo. Tresina, l’amante amata di Bernardo incarna nel suo seno procace, negli occhi verdi e nelle labbra carnose, in quel suo ventre pregno di vita, il circolo fatale di distruzione, bellezza e distruzione. Tutti infelici tranne Ibla, nelle cui pietre Costanza Di Quattro ha lasciato l’impronta di un’altra storia di passioni e un’altra folla di indimenticabili personaggi.

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La scheda del libro: “L’ira di Dio” di Costanza DiQuattro (Baldini + Castoldi, 2024)

L'ira di Dio - Costanza DiQuattro - copertina

In un ordito sapiente di realtà e fantasia, questo è il ritratto di un uomo straziato tra dubbio e rinascita, che della resilienza fa il proprio riscatto, scorgendo nel passato irrisolto la promessa di un nuovo futuro. Sullo sfondo, la Sicilia che l’autrice come sempre sa raccontare: calda e sanguigna, dissoluta e antica, qui più densa e ferita, ma ancora umana come nessuna.

Il Seicento volge quasi al termine, laggiù a Ibla, terra di Santa Inquisizione e governatori regi, notabili e viddani, vecchie zitelle e prostitute lise. La terra dove padre Bernardo, uomo dai moti secolari più che claustrali, «dominato dalle passioni eppure vinto dalle responsabilità», amministra una piccola chiesa celebrando messa senza slancio né vocazione. È la terra dove lui troverà l’amore, più che in Dio in Tresina, la perpetua redenta con il cuore grande e la risata lieta, lei che «infinitamente donna» gli farà il regalo più grande. Eppure, sullo sfondo di una fugace e momentanea felicità, aleggia un antico rancore, professato da un «dimonio» di madre che, timorata e luttuosa, mai gli ha perdonato errori adulti e bambini. Così, in un crescendo incontrollato di sentimenti contrastanti, senso del dovere e bramosia di dar seguito alle passioni, Bernardo diventa testimone di un evento distruttivo ed epocale, il grande terremoto dell’11 gennaio 1693, che segnerà la sua esistenza riducendola a fede macilenta, rovina e silenzio.

Proposto da Roberto Barbolini al Premio Strega 2024 con la seguente motivazione:
«Una forza tellurica, possente, serpeggia tra le pagine di questo intenso libro di Costanza DiQuattro, che fin dal titolo “L’ira di Dio”, col suo richiamo alla collera celeste, evoca la catastrofe verso la quale la trama inesorabilmente precipita: il terribile terremoto che colpì Ibla e il Val di Noto l’11 gennaio del 1693. Consideriamo la città in cui la storia è ambientata: come la “Casa degli Usher” di Poe, fin dalle prime righe essa si rivela una sorta di espansione psichica dei suoi abitanti: «Ibla, sciupata e stanca, di notte ricordava il lamento flebile di una prefica piangente che all’alba si trasformava nel vociare di una donnaccia spudorata». Già al centro di romanzi precedenti come “Arrocco siciliano” e “Giuditta e il Monsù”, Ibla è parola magica nella geografia interiore dell’autrice. […] Fervida di passione per il mondo atavico che descrive, ma ben calibrata nel dosarne la rappresentazione, DiQuattro ci consegna una prova di alta maturità stilistica, grazie a una scrittura che padroneggia perfettamente registri alti e sapide incursioni dialettali, capace di dar voce a figure memorabili mentre disegna con rigore appassionato il quadro storico e umano entro cui queste si muovono.»

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Costanza DiQuattro (Ragusa, 1986) è scrittrice e drammaturga. Dirige il teatro Donnafugata dal 2008. Dal 2019 scrive per il teatro. Conduce la rubrica «Dimore nella storia» sulle dimore storiche italiane per Rai 1. Con Baldini+Castoldi ha pubblicato “La mia casa di Montalbano” (2019), “Donnafugata” (2020, Premio Porta d’Oriente 2021), “Giuditta e il monsù” (2021) e “Arrocco siciliano” (2022, Premio Comisso 2023).

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