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LE TERZINE PERDUTE DI DANTE, di Bianca Garavelli

dicembre 5, 2012

Le terzine perdute di DanteIn esclusiva per Letteratitudine, pubblichiamo un brano tratto dal romanzo “Le terzine perdute di Dante“, di Bianca Garavelli
Baldini Castoldi Dalai, 2012 – pagg. 334 – euro 9,90

Parigi, 1309. Dante, stanco e spaventato, sta attraversando un ponte sulla Senna. Sente dei passi minacciosi alle sue spalle, teme siano quelli di uno dei suoi molti nemici. In realtà è Marguerite Porete, mistica accusata di eresia su cui grava un peso terribile. Con lei il sommo poeta riesce a sentirsi a casa anche in esilio, ma ben presto scoprirà di essere finito al centro di una guerra spietata fra due ordini che agiscono nell’ombra. In gioco c’è un grande segreto. Una profezia di cui l’Alighieri è il depositario prescelto e che dovrà essere trasmessa alle generazioni future per salvarle dalla minaccia di chi cerca di violare il mistero della creazione. Oggi. Riccardo Donati è un cultore di filologia medievale e un insegnante frustrato, eppure in lui arde ancora la scintilla della curiosità. Studiando un antico manoscritto si imbatte in quella che ha tutta l’aria di essere la firma autografa di Dante. Da questa incredibile scoperta prende il via una caccia all’uomo in cui sarà coinvolta anche Agostina, attraente e determinata ragazza sempre presente in ogni momento difficile. I due saranno costretti a una fuga che li porterà fino a Parigi, dove li attende la soluzione di un enigma che dura da settecento anni…

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Dal capitolo 15 MEDITAZIONI E INCONTRI (pp. 89-91)

Terzine perdute di DanteAl pensiero del suo nuovo maestro che con tanta ansia aveva atteso, Dante sentì salire un’onda di curiosità. Si chiedeva chi fosse veramente. Chi si poteva nascondere dietro quel nome di Numenio che la confraternita si tramandava di capo in capo. Marguerite gli aveva detto che veniva dall’Oriente, ma Dante aveva l’impressione che fosse una diceria diffusa a beneficio dei più, con l’unico fondamento del nome del primo maestro, quel Numenio di Apamea che era stato discepolo di Plotino. Certo, poteva essere che Numenio venisse dall’Oriente, ma solo nel senso che aveva vissuto a lungo in luoghi lontani, in cui aveva appreso o perfezionato quell’arte di condurre verso la visione che solo un grande maestro poteva padroneggiare e insegnare.
Ma il suo aspetto non era necessariamente quello di un uomo d’Oriente. Il Numenio era alto, il suo corpo era prestante e massiccio, come se venisse da una stirpe che trasmetteva in eredità una potenza fisica naturale, che restava nelle forme anche se non coltivata. C’era infatti, nel suo viso, nel suo modo di muovere la bocca e gli occhi, una componente di energia fisica non comune. E poi c’era il suo accento. Numenio parlava perfettamente il latino, e il linguaggio del Nord in cui si dice oïl per dire sì, e si esprimeva molto bene nella sua bella lingua del sì, ma sempre con una cadenza, a volte con un sottile accento, di una durezza eccessiva per appartenere a un uomo abituato a usare la dolce musica della lingua orientale.
E poi Dante si domandava dove quell’uomo dall’aspetto così sanguigno e vistoso trascorresse la giornata, dove viveva quando non frequentava le riunioni notturne della confraternita, come riusciva a nascondersi così bene da non destare sospetti. Tutte domande cui non sapeva trovare una risposta. E che Marguerite gli avrebbe letto subito sul viso, se non addirittura nella mente, come sembrava in grado di fare. Non poteva dimenticare che era stata Marguerite il tramite fra lui e il Numenio. Ma non sembrava conoscere nemmeno lei il suo segreto.

© Baldini Castoldi Dalai (riproduzione riservata)

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La biografia di Bianca Garavelli

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