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MIA MOGLIE E IO, di Alessandro Garigliano (un capitolo del libro)

gennaio 18, 2014

Alessandro GariglianoAlessandro Garigliano ci racconta il suo romanzo MIA MOGLIE E IO (edito da Liber Aria). In esclusiva per Letteratitudine, pubblichiamo un capitolo del libro…

 

di Alessandro Garigliano

Con il passo di una ballata, il protagonista di “Mia moglie e io” si impegna perché la precarietà non lo annienti del tutto. Al ritmo di un montaggio alternato, da un lato si inventa un mestiere: insieme alla moglie mette in scena atti efferati, interpreta diversi cadaveri girando cortometraggi che gli possano dare un giorno una parossistica notorietà. Dall’altro, racconta i lavori che ha svolto a tempo determinato: esperienze da manovale, da commesso libraio e da orientatore. Lavori esercitati con sovrumano impegno e ossessiva epicità.
Visualizzazione di COPERTINA_GARIGLIANO_DEF_16 settembre_DEF-01 copia.jpgLa ballata incede con un registro umoristico – con un humour nero che informa e deforma – e la danza soprattutto si svolge tra il protagonista e la propria sconfitta, la depressione, che assume cangiante di volta in volta sembianze diverse, ma che in sostanza è una donna con la quale e contro la quale si instaura un rapporto sensuale e perverso, di repulsione e attrazione.
Ma il controcanto di una tale esistenziale lotta per la sopravvivenza è la dolcissima storia d’amore. La moglie del protagonista è la sua anima complementare. Speculativo lui, pragmatica lei; astrattamente furioso l’eroe, altrettanto dialogante l’amata. La quale, pur essendo precaria, insegnante di scuola media, mostra al marito, narrando le proprie esperienze scolastiche, la possibilità di salvezza, che non è la scoperta del punto morto del mondo, ma l’azione quotidiana e ostinata, il dubbio che indaga e non risolve, ignorando la resa.

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Alessandro Garigliano è nato nel 1975 a Catania, dove vive. Ha lavorato in ambito editoriale. Collabora con minima&moralia. Ha creato e cura il diario culturale liotroblog.com. Mia moglie e io è il suo primo libro, segnalato alla XXV edizione del Premio Calvino.

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Visualizzazione di COPERTINA_GARIGLIANO_DEF_16 settembre_DEF-01 copia.jpgUn capitolo MIA MOGLIE E IO (edito da Liber Aria) di Alessandro Garigliano

Il naso

di Alessandro Garigliano

Trovandomi in simili condizioni, il naso di mia moglie d’istinto fiutava un afrore di carogna sospetto; poi, appurata l’apparente falsità dell’allarme, si placava e riprendeva ad annusare gli odori domestici. Io salutavo, il naso e mia moglie, con la mano che non reggeva il libro, e riprendevo subito dopo a grattarmi la schiena, la pancia, i capelli, gli stinchi, i fianchi, i polpacci, ciclicamente.
‒ Mi ascolti?
Sempre questa domanda. Bastava che mi deconcentrassi pian piano dal libro che stavo leggendo, e indirizzando l’attenzione verso di lei – era solo questione di tempo – avrei inteso tutto quello che aveva da dirmi.
Nel frattempo, camminando lungo il corridoio, si sfilava i vestiti di fuori, la giacca del tailleur nero funereo, saltellava e parlava, si toglieva i pantaloni, alzando ora l’uno ora l’altro piede in sequenza, e la canotta, restando in reggiseno e mutande.
‒ Ci tiene ai ragazzi, li segue, li fa lavorare a piccoli gruppi.
Allora chiudevo il libro cercando di focalizzare il soggetto, evitando di chiedere di chi stesse parlando. Simulavo una comprensione totale dei fatti e la guardavo prepararsi a indossare la divisa domestica. Stendeva i due pezzi della tuta sul letto matrimoniale.
‒ Li fa lavorare molto con le mani, affinando la loro capacità di conoscere attraverso il tatto – diceva esibendo la sua straordinaria capacità olfattiva, passando al setaccio l’indumento disteso sul letto e, se la diagnosi era negativa, iniziando a metterlo addosso. La felpa per prima.
‒ Al buio, mi ha raccontato di averli fatti lavorare senza luce, con un pezzo di creta.
Era talmente eccitata che era rimasta nell’oscurità con la testa dentro il collo della felpa continuando a parlare.
‒ Li invitava a manipolare la materia cercando di creare forme semplici: posacenere, cornici, portapenne. Hai idea dei vantaggi che si possono avere plasmando la materia? Della sensibilità che si acquista?
Le mie mani in effetti fremevano mentre lei si adagiava seduta sul letto e calzava i pantaloni della tuta alzando prima una gamba nuda e poi l’altra. Allora mi avvicinavo planandole sopra leggero e poi abbassandomi le depositavo, come nessun altro collega avrebbe potuto mai fare, un piccolo bacio sulla guancia dolcissima.
Visualizzazione di COPERTINA_GARIGLIANO_DEF_16 settembre_DEF-01 copia.jpgAll’istante, sentendomi a pochi centimetri, metteva in moto la sonda del naso – sulle guance, i capelli, le ascelle – perlustrava pian piano di sopra la testa e poi in basso l’intero vestiario che avevo indossato per un colloquio recente: come se non fosse stata lei a scegliere cosa avrei dovuto mettermi addosso per apparire almeno composto, lindo, educato. Mia moglie amava gli odori. Talco o muschio, essenze rinfrescanti di deodorante creato da famosi stilisti: non tollerava che l’olfatto andasse deluso. Ovunque io fossi – in bagno, in ascensore, al supermercato – era sempre in azione, pronta a schedarmi. Non vivevo gesto d’amore senza subire una scansione olfattiva perpetua. Il suo naso era il narcisista della coppia, si ficcava dappertutto senza alone di pudore. Capitava che tornasse a casa dopo il lavoro esausto, rimanendo sulla soglia d’ingresso contratto, in apparenza avvizzito. Il nitore della pelle solito sembrava virare in un giallo untuoso. In quel naso fine proporzionato alla faccia, con la punta rotonda ma piccola, ornata di pori bramosi, penetravano i sudori dell’ufficio, le colonie scadenti, gli odori dei cibi sgranocchiati togliendo tempo al lavoro senza alcuna vergogna. Così, varcando il confine tra il mondo e la casa, le narici spalancate prendevano aria per tuffarsi ad annusare il dolce luogo privato. Era un ritmo che partiva lento, cadenzato, come chi rinviene da uno stordimento odorando i sali, e man mano aumentava abbracciando le esalazioni con timidezza all’inizio, per affinarsi sempre di più aspirando i vestiti casalinghi che senza perdere tempo andava a indossare. Era infine possibile partecipare all’orgasmo che esplodeva attraverso l’indumento privilegiato, sottovalutato e calpestato da tutti, da mia moglie invece eletto tra le sue grazie e coccolato come fosse il crogiolo di ogni possibile odore: aspro, morbido, acidulo ma come un vino invecchiato. Lo teneva stretto al petto, in piedi nella stanza coniugale, e nell’apoteosi dell’attimo lo sniffava come fosse l’essenza dell’intimità: il calzino adorato!
Tra le altre cose, annusandomi mi solleticava, così, benché arrossissi timido timido, approfittavo di quell’attimo per esporre quanto serbavo: anch’io avevo creato qualcosa. Le rivelavo il progetto dei provini, i cadaveri ammazzati, casa nostra immaginata come un set in cui sarebbe andata in scena la morte. Le confessavo a ruota libera le creazioni che gli intervalli tra un colloquio e l’altro mi avevano fatto concepire, interpretando quasi come una sfida quel che mi aveva raccontato, rivaleggiando in inventiva con il collega di Arte e Immagine di cui tanto amava vantarsi. Ma durante l’emissione delle frasi, sebbene fossero pronunciate in modo chiaro, senza che la mia bocca in miniatura strozzasse le parole, confondendo termini e suoni e componendo un cataclisma verbale, mi rendevo conto, mentre scandivo l’idea che mi tenevo dentro in gestazione da mesi, perfezionandola a ogni puntata di CSI, mi rendevo conto nell’esporre il progetto che dal confronto con i ragazzi ne uscivo debilitato, come se avessi partorito una cosa astratta schifosa.
Invece mia moglie quasi ballava di gioia. Aveva in una mano il cucchiaio di legno e nell’altra il contenitore del sale, l’avevo seguita dalla stanza da letto in cucina balbettando i concepimenti che mi giravano in mente e adesso non mi pareva vero di potere entrare nei dettagli, mentre lei salava felice la pasta.
Mia moglie non chiudeva le porte. All’inizio pensavo fosse casuale, un gesto mancato o una dimenticanza svogliata. Ma la frequenza con cui il fenomeno si proponeva mi aveva messo in allarme. Senza porvi un’attenzione ossessiva, in principio, nel momento in cui mi trovavo vicino, in cucina, in salotto, nella stanza da letto, mentre ciabattava passando e ripassando, scopando, pulendo, disinfettando, tra un vano e l’altro della casa, di sfuggita notavo che le porte non venivano chiuse. Mai. Tutte le volte che mi capitava di assistere a un suo spostamento potevo rendermi conto, benché riluttante, che dietro di lei ogni varco rimaneva socchiuso.
Interpretando quell’atto adesso, mentre mia moglie smetteva di salare la pasta e approvava con gesti convinti quanto le stavo esponendo, si apriva uno spiraglio. L’entusiasmo che le avevo destato con la mia novità era forse una spia che rivelava il senso di quel tic che non le faceva mai ostruire i passaggi? Seduto con i gomiti sulla tavola da pranzo, con l’indice destro sulla tempia per lungo e il pollice che si distendeva sul mento di sotto reggendo tutta la faccia, descrivevo i dettagli, condividevo le idee sui provini, ma in realtà mi fissavo sulla questione dell’amata che non si chiudeva dietro le porte. Lasciando dietro di sé spalancate porte e finestre, mia moglie dimostrava la sua insopprimibile voglia di accedere a nuovi obiettivi? Era una nuova e fulgida testimonianza del suo amato ottimismo?
Ora che ne avevo tentato una possibile lettura avrei voluto penetrare attraverso gli accessi che lei disserrava, nonostante il freddo, la pioggia, la polvere, immaginavo di superare la soglia della portafinestra in cucina e irrompere in quella della stanza da letto, attraversando là fuori il balcone pieno di piante e all’interno tutti i vani che aveva dimenticato di chiudere.

© Letteratitudine

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