Home > Brani ed estratti > TUTTO QUELL’AMORE DISPERSO, di Luca Raimondi (un estratto del romanzo)

TUTTO QUELL’AMORE DISPERSO, di Luca Raimondi (un estratto del romanzo)

novembre 14, 2014

TUTTO QUELL’AMORE DISPERSO, di Luca Raimondi (Il Foglio letterario, 2014)

Dalla Prefazione di Gianluca Morozzi

di Gianluca Morozzi

Una volta, mi ricordo, dovevo scrivere un racconto sulla fine di una storia d’amore. Che non è la materia più originale del mondo, ne convengo, ma forse il modo in cui mi ero calato nell’atmosfera un po’ originale lo era: avevo ascoltato dieci volte di file la canzone di Bob Dylan Ballad in plain D, che proprio di questo argomento tratta, in modo autobiografico. E così avevo scritto il racconto sulla fine della storia d’amore.
Il romanzo precedente di Luca Raimondi si apriva proprio con una citazione di Ballad in plain D, e questa era cosa buona e giusta.
Mi sono sempre piaciuti, mi piacciono, sempre mi piaceranno i romanzi che mescolano in modo sapiente donne indimenticabili e citazioni musicali.
In questo romanzo, ad esempio, il protagonista trova qualcosa di un personaggio femminile in un disco dei CCCP dal romantico titolo Epica Etica Etnica Pathos. Mi sembra già parecchio significativo, come accostamento.
E poi, in questo romanzo, c’è una ragazza che vuole riuscire a sedurre ogni forma di vita organica, ragazzi, ragazze, cani, gatti. Una che non si accontenta di sentirsi dire “ti amo”, no: vuole che quelle due parole vengano accompagnate dalla rinuncia contemporanea a un’altra ragazza.
Un perfetto, equilibrato mix di musica di classe e donne complicate.
La migliore combinazione del mondo, dopo vodka e martini.

* * *

Un estratto del romanzo TUTTO QUELL’AMORE DISPERSO, di Luca Raimondi (Il Foglio letterario, 2014)

Dal capitolo 12, pp. 176-180

Il vocio della folla è rassicurante come il fluire gentile del ruscello. Peccato che le automobili ogni tanto rompano quell’incanto con i loro mille mormorii: l’umanità protesa per la via principale a indaffararsi nello shopping. Mi disperdo in quella beata folla, mi sembra di condividerne i piaceri e i dispiaceri, fare parte della loro vita, in qualche modo. Disintegrare la mia unità in una molteplicità di vita. Un pezzo di sé a ogni altro sé. Una scomposizione infinita della propria personalità: possibile? Certo, il nulla si può dividere all’infinito: un’infinità di niente. Perché non sono più sicuro di avere una vita che non sia soltanto il fluire, l’abbandonarmi alla deriva.
Devo reagire, se è Sofia che voglio – e sì, è ormai ovvio che la voglio, la voglio perché mia, m’aspetta, ne sono certo – la devo smettere di organizzare autodafé per me stesso e cercare di ve- derla, di presentarmi a lei anche a costo di farla scappare a gambe levate e a quel punto inseguirla – io ridicolo, io coglione, io merda – e una volta raggiunta gridarle in faccia il mio amore disperato. Perché non è vita questa, non è più la mia vita, quella che vorrei. Può forse dirsi vita quella che mi sveglia alle sette del mattino per scoprire che non ho nulla da fare se non aprire libri che non intendo studiare? E anche aprendoli, studiare l’amore per Dio, per l’arte, per la libertà e per la conoscenza quando l’unico amore che m’interessa è il mio per Sofia? E quale filosofo mi parla del mio amore per Sofia? Ce ne dev’essere uno, lo so, da qualche parte che non sia il solito Platone, ma non lo trovo, nei miei libri universitari non vi si accenna, forse in qualche nota a margine, magari tra i libri di psicologia? Li sfoglio, ma non trovo nulla di mio interesse.
Il sabato passa così, i miei genitori sono fuori, assenti, come sempre, nella loro vita di cui non mi parlano mai, né a me interessa. I loro amici del club, le inaugurazioni di questa o di quella mostra che mio padre non vuole perdere, il cinema con l’ultima commedia italiana di successo che mia madre non vuole perdere, e io che guardo la televisione fino a quando mi addormento sul divano, perso in me stesso. Al risveglio, intorno alle dieci, dopo aver sognato Sofia, ancora una volta Sofia, esco di casa, d’impulso.
Scendo le scale con passo dapprima incerto e lento, poi via via sempre più baldanzoso e spedito.

Sofia abita sul lungomare di Ortigia. La sua stanza illuminata si scorge da lontano. Me ne sto appoggiato a una ringhiera, ascolto lo sciabordio delle placide acque immerse nell’oscurità, fantastico e annodo pensieri su quello che lei stia facendo oppure no nella sua cameretta. Chissà chi c’è con lei, forse Aldo, forse soltanto Natalie ed Edoardo, chissà. Magari parlano di me, ridono di me, che cretino quel Carlo, ma chi si credeva di essere per lasciarti a quel modo, Sofia? Non è mica questo granché, è alto, sì, ma troppo magro, pensa di essere un ragazzo di buona cultura ma ha frequentato l’istituto alberghiero, mica il liceo classico come noi, e poi è noioso, mamma mia, quant’è noioso (e questa è senz’altro Natalie a dirlo), crede di essere così interessante e invece le sue sono soltanto battute del cazzo e a volte anche un po’ volgari, comunque mai rispettose dei sentimenti altrui.
Meglio Aldo, vero Sofia? Molto meglio Aldo, che ti solletica con la musica, che ti parla al cuore con la musica, che ti addormenta e ti fa risvegliare e ti fa raggiungere l’estasi con la sua musica e alla fine ti fai sbattere sopra un tavolo senza neanche che te l’abbia chiesto lui, perché con lui vuoi, con chiunque altro vuoi tranne che con me, vero, Sofia? Avevi paura, Sofia, e io ne avevo anche più di te. Ed è stata la paura a fregarmi. Quella maledetta paura, quella dannata insicurezza del figlio unico che non si è mai confrontato davvero con nessun altro, alle prese con quella maledetta paura, quella dannata insicurezza della figlia unica che non si è mai confrontata davvero con nessun altro.
Magari Sofia è lì con Aldo, o chissà chi c’è adesso lì con lei – mi sembra di impazzire al solo pensiero. Medito sul da farsi, perché sarebbe anche ora di fare qualcosa anziché ridurmi il cervello in una specie di pappa per neonati.
Bussare, citofonare, scampanellare alla sua porta, buttarla giù. Urlare, piangere, gridare il suo nome.
SOFIA!
Rapirla, persino, finanche torturarla.
Ucciderla, ma con amore, per amore – sprofondare insomma nella follia.
Penso di tutto, pianifico momenti romantici da soap opera a basso costo e scene da film cruento vietato ai minori, mi perdo in mille fantasticherie e le trovo senz’altro, anche quelle più raccapriccianti, molto più desiderabili di questa triste realtà in cui non ho la forza di fare nulla, neanche di ridurre la distanza che mi separa da quella casa.

M’imbottisco di musica, tralascio quella di origine anglosassone che ascolto solitamente e mi perdo nei versi di Giovanni Lindo Ferretti.
Ascolto Tabula Rasa Elettrificata, poi vado a ritroso, recupero Ko de Mondo e Linea gotica. Rivivo quelle intermittenti memorie di me e di te, Sofia, stesi sul tuo letto, cupe vampe cantava Ferretti, cupe vampe, e io ti ho detto “ma dobbiamo proprio sentire Cupe vampe mentre ci si bacia”? e tu hai detto “Vuoi una canzone d’amore?” e hai lasciato perdere i C.S.I. e hai recuperato qualcosa dei CCCP, che poi più o meno era sempre lo stesso gruppo. “Ma non erano punk, i CCCP? Ti ho chiesto una canzone d’amore” ho detto io e tu hai detto “I punk italiani non saranno mai come i punk inglesi, gli italiani respirano sentimento come bevono caffè, ascolta Amandoti” e io l’ho ascoltata ed era bella, era proprio bella, ma Ferretti cantava “amarti è una fatica, mi dà malinconia” e io pensavo: che fatica, effettivamente, cribbio, che fatica… e la parola “fatica” non sapevo neanche cosa voleva dire. Nessuna fatica per Carlo Piras. Tutto facile, tutto a portata di mano per questo figlio unico dei nostri stivali. Lasciarti? Facile, più facile che amarti. Riprenderti? E che ci vuole.
Questo pensavo. Riprenderti? E che ci vuole.
Poi mi hai fatto ascoltare anche Annarella. E Depressione caspica.
Metto via Tabula Rasa Elettrificata, al cui riguardo aveva ragione il commesso, bello, sì, bravi, ok, bravi ma basta, interessante però l’ultima traccia dal titolo poco ermetico, M’importa ‘na sega, ma non rispecchia il mio attuale stato d’animo.

Torno in Piazza Stesicoro e dico al commesso del negozio di dischi:
– In che album è contenuta la canzone Amandoti?
– Parli dei CCCP, se non sbaglio. Dovrebbe stare in Socialismo e barbarie… no, ma che dico, è in quel cd che si chiama… non me lo ricordo mai come si chiama, aspetta che vedo.
Cerca fra gli scaffali, tira fuori un cd con una copertina che raffigura una vecchia stanza dal soffitto alto, una cappella un po’ malmessa, e gli strumenti musicali e i mixer e le casse e una tastiera sulla destra e insomma, non c’è nessuno in quella copertina, solo uno stanzone umido e della robaccia e i ferri del mestiere.
– Eccolo qua, Epica Etica Etnica Pathos. Sì, ricordavo bene. Amandoti è in questo cd. Bella canzone.
– E Annarella? In che album è contenuta?
– Sempre in questo.
– E Depressione caspica?
– Ti sembrerà strano. Sempre in questo.
– E allora quasi quasi lo compro.
– Quasi quasi fai bene – dice lui. Lo voglio. M’aspettava. Mi spetta. Lo pago. Adesso è mio.
Dentro quel disco di policarbonato, c’è un po’ di Sofia. In un disco che s’intitola Epica Etica Etnica Pathos.
Ah, Sofia, amarti è davvero una fatica.

(Riproduzione riservata)

© Il Foglio letterario

* * *

Luca Raimondi è nato nel 1977 ad Augusta, in provincia di Siracusa. Presso l’Università di Catania si è laureato in Filosofia nel 2000 e in Scienze dell’educazione nel 2003. Ha pubblicato con le Edizioni Dell’Ariete i romanzi “Cerniera lampo” (1996) e “Cuore del vuoto” (1998), con Aracne “Marenigma” (2009), con Melino Nerella il lungo racconto contenuto in “Amore, rabbia e verità” (2009) e quello più breve in “Le eccellenze del gusto” (2011). Nel 2013 ha pubblicato per le Edizioni Il Foglio “Se avessi previsto tutto questo. In cerca d’amore nella Catania di fine millennio”.
È autore anche di alcuni saggi, tra cui “Nient’altro che un sogno. Pasolini e la Trilogia della vita” (Bastogi, 2005), “Il pensiero pedagogico di Pier Paolo Pasolini” (Sampognaro & Pupi, 2006) e “Comunicare la cultura” (Bonanno, 2007). Regista, montatore e sceneggiatore, tra il 2002 e il 2008 ha diretto sei edizioni del festival “Corto Siracusano”, nel cui ambito ha pubblicato il volume “Fronte del corto. Scenari siciliani del film breve” (Sampognaro & Pupi, 2005). Collabora con il periodico on line “Diorama” (www.dioramaonline.org).

Il suo blog personale è www.lucaraimondi.blogspot.it.

* * *

© Letteratitudine

LetteratitudineBlog / LetteratitudineNews / LetteratitudineRadio / LetteratitudineVideo