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SUONA, NORA BLUME di Claudia Quadri

luglio 21, 2014

SUONA, NORA BLUMESuona, Nora Blume di Claudia Quadri (Casagrandre edizioni) – in collegamento con il forum di Letteratitudine dedicato al rapporto tra “Letteratura e musica

“Perché la musica ci rende così vulnerabili?”
Una conversazione con Claudia Quadri attorno al suo romanzo “Suona, Nora Blume” (Casagrande, 2013)

di Claudio Morandini

Nel salotto di Nora Blume, insegnante di pianoforte di mezza età, dal carattere difficile e dal passato complicato, si alternano allievi di tutte le età: ad alcuni di loro la musica interessa molto, per altri è poco più di un pretesto. Nel nuovo romanzo della ticinese Claudia Quadri l’amore per la musica (di Nora, innanzitutto, ma anche di altri personaggi, e di sicuro dell’autrice stessa) è un elemento predominante, assieme alla cura con cui sono osservati i caratteri nella loro sfuggente complessità – una cura, piena di curiosità e di rispetto e non disgiunta da un umorismo lieve, che mi aveva già colpito in altri romanzi di Claudia Quadri, “Lacrima” del 2003, o “Come antiche astronavi” del 2008 (sempre editi da Casagrande).
Di musica e scrittura ho conversato con l’autrice.

 

CM – “Perché la musica ci rende così vulnerabili? Tutto si moltiplica per dieci e per cento. La musica ci rigira nelle sue mani come involtini da infarinare, ci passa nell’uovo e nel suo braciere diventiamo dorati e croccanti” si legge quando Nora, durante una lezione riservata a Jean, suona un Preludio di Chopin. È un pensiero che attraversa la mente di Nora, forse anche quella di Jean, e che l’autrice vuole condividere con i lettori. Partiamo da qui, Claudia: “Perché la musica ci rende così vulnerabili?”
CQ – Prima di tutto siamo cellule, impulsi nervosi. Immagino che dipenda da questo. Il nostro corpo è lo strumento con cui ci misuriamo con il mondo. Reagiamo agli stimoli. Su di noi, un ritmo sostenuto non ha lo stesso effetto di un ritmo lento, forse dipende dal nostro metronomo personale, il cuore. Penso che ci siano spiegazioni molto razionali, fisiologiche, a questa domanda. Perché il bianco ci fa un effetto diverso dal rosso? Un neurologo potrebbe aiutarci. Poi c’è la storia individuale, certe melodie evocano certi ricordi e dunque ci toccano. C’è la matrice culturale: quello che è orecchiabile e coinvolgente per una persona può risultare ostico a un’altra.

CM – La frase “Suona, Nora Blume” rimanda con un sorriso a “Suonalo ancora, Sam”, ovvero a uno dei momenti più celebri di uno dei più celebri film di tutti i tempi. Anche là, in quel film, come nel tuo romanzo, la musica si rivela potentissima nel conversare con gli animi, far rivivere emozioni, flirtare con la memoria profonda.
Claudia QuadriCQ – Nel racconto “La sonata a Kreutzer”, Tolstoj scrive: “In Cina la musica è una questione di Stato. Ed è così che dev’essere. Si può forse ammettere che chiunque possa ipnotizzare una o più persone per far di loro quel che vuole?” Una frase che torna sul potere della musica. In questo racconto l’autore narra di un omicidio passionale in cui la musica gioca un ruolo determinante. Ci sono poche persone insensibili alla musica. Quando si tratta di canzoni d’amore, poi… Mentre scrivo ho riascoltato “As time goes by”: è sempre una gran bella canzone.

 

CM – Nora, nel corso degli anni passati a suonare standard al pianoforte su una nave da crociera, elabora un’idea confidenziale della musica. “La pianista aveva imparato ad ascoltare le storie di chi si attardava accanto al suo strumento, gli occhi lucidi per i drink, per l’inafferrabile vastità del mare…” Questa veste confidenziale della musica sembra però smentita poche righe più avanti, dove l’atto dell’esecuzione si riduce a una comunicazione unidirezionale: “Nora Blume ascoltava e suonava. E teneva per sé la sua storia”. Certo, per Nora, suonare il pianoforte è (stato) anche un modo per concentrarsi su altro, per fuggire.
CQ – Nora Blume ha avuto un’infanzia faticosa durante la quale ha dovuto contare sulle proprie forze. Il suo ruolo di pianista sulla nave la mette in una posizione in cui deve imparare ad ascoltare le confidenze degli altri. Lo fa. Ma la solitudine e l’addestramento a fare riferimento a sé stessa sono un imprinting che non sparisce da un momento all’altro. Per fortuna ha la musica che la sostiene, anche quando decide di “tradire” il suo talento per riciclarsi sulla nave. E ancora la musica, ma non solo, le permetterà di tornare a coincidere con l’immagine che ha di sé stessa.

 

CM – Altrove, nel tuo romanzo, prevale un’altra idea della musica: la musica è ordine, incastro perfetto e armonioso di elementi che solo una mescolanza di studio e di sensibilità può cogliere. È un’arte paziente che esige di non avere fretta, che chiede all’esecutore di adeguarsi al suo andamento, al suo respiro, e che insomma sembra vivere attraverso l’esecuzione. “Era rassicurante muoversi in quel mondo in cui c’era un ordine riconoscibile, ogni nota aveva il suo spazio e il suo carattere, e si poteva provare e riprovare senza farsi male; bello, accordare le note e il respiro, suscitare l’emozione con accenti, pause, sfumature” si legge a proposito di una lezione riservata a Lisa.
CQ – La musica è mistero. Cos’è esattamente? Da dove viene? Il musicista è coinvolto su tanti piani, fisicamente, culturalmente, emotivamente… Un coinvolgimento globale (guardare i musicisti quando suonano è appassionante quanto ascoltare musica). Il canto, per esempio: ho sentito di un esperimento fatto in alcuni conventi volto a chiarire l’importanza del canto in coro. Diminuendone la frequenza è stato osservato un peggioramento dello stato di salute dei religiosi. La musica è anche ginnastica, mentale e fisica, con meno rischi di slogarsi una caviglia, è terapia, è un esercizio di creatività, può essere benefica a ogni grado di competenza. In questo è democratica.

 

CM – Durante il concerto finale, in cui Nora riscopre il piacere di suonare pezzi di Rachmaninov davanti a un pubblico in ascolto, la musica sembra dotarsi di un potere rivelatore: “La melodia che aveva risvegliato fece saltare uno per uno tutti i lucchetti dell’anima di Nora Blume”.
CQ – Rivelatore e liberatore. Certa musica non è fatta per lasciarti “tiepido”. Come altre esperienze forti è fatta per strapparti alla norma, non va d’accordo con l’emotività trattenuta della quotidianità. Stiamo parlando di passioni. Le società impongono in modi e in gradi diversi un controllo delle emozioni ai propri membri, creando dei “compartimenti” in cui le emozioni vanno disciplinate o sfogate. Nei contesti in cui si fa musica c’è molta “energia”, molta emozione in circolazione. Durante i concerti di musica classica il pubblico “si contiene”, vive l’escalation emotiva per interposta persona, attraverso i musicisti – finché arriva liberatore l’applauso finale. Sul palco, come sacerdoti e vittime sacrificali a un tempo, i musicisti, sudati, spettinati, sui cui volti sono passate espressioni che ricordano le estasi e i tormenti di certi santi (e le estasi e i tormenti di ognuno di noi), ritrovano compostezza, il rito è compiuto. È un rito? Ci hanno condotti lontano, hanno smosso cose profonde. Fuori dall’ordinario ci è sembrato di intravvedere significati, di percepire realtà diverse o di percepire la realtà in modo diverso. Poi siamo tornati. Ma siamo circondati da mistero e meraviglia, una foglia qualsiasi racchiude una complessità disarmante, che a sua volta suscita domande: da dove viene questa complessità? Mi fermo qui, e lo sguardo mi cade sulla copertina dell’autobiografia di Hélène Grimaud. È un’associazione “facile” quella di lei al pianoforte, con la Santa Teresa del Bernini… Cosa starà suonando, Grimaud?

 

CM – Come si può raccontare la musica in un romanzo? Con quali parole si può trasmettere al lettore la dimensione di un’arte che non ha bisogno di parole e che tende all’astrazione? Nel tuo romanzo il racconto della musica diventa da una parte il racconto del fare musica, dall’altra il racconto delle reazioni che essa provoca su chi la pratica e la ascolta – una cosa insieme molto fisica e molto sentimentale. “Sotto l’effetto della musica mi sembra di comprendere ciò che non comprendo, di potere ciò che non posso” recita una frase trovata in un libro da Salvo e subito sottolineata (si tratta, appunto, de “La sonata a Kreutzer” a cui hai fatto cenno in precedenza). Nora, più realisticamente e meno misticamente, osserva su di sé e sugli altri gli effetti della musica.
CQ – La musica mi interessa per mille motivi: dal punto di vista della scrittura perché indipendentemente da quello che si scrive, il libro resta muto. Allora perché non parlarne pescando da ambiti che non c’entrano con la musica? Il pianoforte diventa un organismo marino, la musica ci tratta come fossimo gli ingredienti di una ricetta e così via… Ma anche così, dalle pagine non esce musica. Come non escono profumi o colori. È un lavoro di squadra: il libro descrive, evoca, e le parole rimbalzano nella testa dei lettore e da qui sorge un mondo.

 

CM – Ho avuto l’impressione che si possa leggere nella dedizione con cui Nora si dedica a trasmettere ai suoi allievi il senso della pratica musicale anche un’indicazione per la scrittura: scrivere (raccontare) è lavorare di cesello sulle singole parole, sui minimi gesti, sui dettagli apparentemente trascurabili, scovandone un senso – e comunicare il tutto.
CQ – Scrivere non è necessariamente uguale a raccontare. Per me, la storia è quasi un pretesto. Mi interessano meno i fatti delle conseguenze dei fatti, dell’intimo funzionamento delle cose. Questo non vuol dire che si può trascurare la storia. La scrittura può moltiplicare gli sguardi sul mondo (esteriore e interiore) – l’angolazione e la finezza degli sguardi. Per fare questo ci sono le parole, la punteggiatura. Prima delle parole, i suoni. “Sciogliere” ha qualcosa di liquido, “soffiare” è pieno di correnti d’aria – qui si va verso la poesia. Una serie di frasi brevi non è la stessa cosa di una frase molto lunga con lo stesso significato. Quando scrivo, la parte che mi piace di più è quella in cui le dinamiche sono sistemate, i personaggi funzionano, non devo più preoccuparmi della storia. Sono libera di lavorare sulle singole frasi, sulle parole. Visto così, un libro è fatto di tante scelte quanto sono le parole che lo compongono. Anche nei panni di lettrice, una bella frase, una frase che mi colpisce, è un regalo.

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