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LE SULTANE di Marilù Oliva (un estratto del romanzo)

settembre 4, 2014

SULTANE_CoverPubblichiamo un estratto del romanzo LE SULTANE di Marilù Oliva (Elliot edizioni). Domani Marilù Oliva ci racconterà il suo romanzo…

La scheda
Tre donne regnano sovrane sul palazzo popolare di via Damasco, a Bologna. Sono soprannominate le Sultane e hanno dai settant’anni in su. C’è Wilma, piccola e astuta mercante in grado di vendere l’acqua santa al diavolo, che nomina incessantemente il suo morto. C’è Mafalda, la donna più tirchia sulla faccia della Terra. E infine Nunzia, bigotta fuori e golosa dentro, incapace di contenersi. Le loro imperfezioni sono state marchiate a fuoco da una vita poco gentile: Wilma non sa fare i conti col suo lutto e litiga in continuazione con la figlia Melania, una disgraziata adescata da una setta satanica, che bussa alla porta solo quando necessita di un piatto caldo; Mafalda è costretta ad accudire il marito malato di Alzheimer; Nunzia, in delirio tra i suoi crocifissi, trova sempre il tempo per estorcere pettegolezzi e per concedersi i peccati che riesce ad arraffare. I loro desideri sono palliativi al grande sconforto dell’indifferenza che suscitano. Sono ignorate da un mondo a misura di giovinezza, un mondo incarnato dalla frastornante vicina del secondo piano, Carmela, cui Wilma prova a chiedere maggiore educazione e rispetto delle regole. Ma niente, quella continua a riderle in faccia. Le vecchie sono abituate a non ricevere considerazione, ragion per cui, quando improvvisamente l’esistenza le costringe a una svolta forzata, osano quello che non hanno mai osato fare e rompono tutti i tabù. Così, come tre parche potenti che inseguono disperate lo scoccare del loro tempo, nell’ombra filano i destini di chi ha tentato di metter loro i bastoni tra le ruote…
Dopo la fortunata trilogia della Guerrera, Marilù Oliva racconta una storia irresistibile di amicizia, solitudini, rivincite e desideri inconfessabili, tra sorrisi amari e atmosfere noir.

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Un estratto di LE SULTANE di Marilù Oliva (Elliot edizioni)

SULTANE_CoverLa Certosa di Bologna è il posto ideale per perdersi, quando si vuole restare soli con le proprie rovine. Ero abituata, da piccola, al campo santo contadino del mio paese d’origine, quattro lati che incoronavano un fazzoletto di terra stipato di loculi, erbacce e steli di marmo, mica troppe sciccherie: allora bastava una fossa e solo i più benestanti venivano inumati con corredo di foto e madonnina di marmo. I privilegiati che potevano fregiarsi di una tomba di famiglia si contavano sulle dita di una mano. Erano cinque infatti, ricordo i cognomi di tutti, gli stessi che alla domenica, anche in tempo di guerra, potevano permettersi tortelli di zucca, salama da sugo e dolcetto. Essendo infossato leggermente a valle, di sera il cimitero si individuava da ogni punto della città e rendeva più inquietanti le nebbie con le sue fiammelle fluorescenti. La Certosa no, non si vede dall’esterno: nove ettari segnano la contrada dei morti. Delle volte mi perdo apposta nel suo bianco labirinto e finisco in posti sconosciuti, che subito diventano familiari. La necropoli etrusca, le zone dei caduti di guerra, le tombe dei big, di Marco Minghetti, di Giorgio Morandi o dei grandi fondatori: Maserati, Zanichelli, Ducati.
Già agli inizi facevo fatica a trovare la strada verso Juri. Parcheggiavo al solito posto, lato ovest, compravo i fiori – solo rose rosse – e m’incamminavo per la via principale. Poi quando giungeva il momento di svoltare mi sbagliavo sempre: era la seconda, la terza o la quarta strada? E dopo: dovevo girare a destra o a sinistra? Le file con le tombe erano tutte uguali, a ogni angolo la stessa fontana, le stesse vedove di nero vestite, ovunque il medesimo odore dolciastro di gambi macerati nell’acqua e petali sfusi. Mentre camminavo stordita dai mille nomi e dalle date, ogni tanto mi lasciavo sfuggire il suo nome. Juri, cantavo ai cespugli spessi, Juri, trascinava il vento tra le lastre, Juri, perveniva all’orecchio del becchino, che ormai mi aveva battezzata per pazza.
Poi aveva avuto compassione e mi aveva accompagnata alla tomba, mi aveva anche fornito una mappa mentale per ricordare il tragitto: all’ingresso dovevo prendere la strada principale fino alla fine del primo blocco di fosse – quante! –, poi dovevo svoltare a destra, proprio all’altezza della tomba di una bambina di dieci anni – nella foto ha le trecce nere e manca la data di nascita perché era una povera orfanella morta, prima della guerra, di fame e di freddo – e andare dritto fino alla seconda fontana. Lì dovevo superare un altro plesso, sfilare sotto un portone con l’arco, proseguire e girare a sinistra alla terza fila. Tutto chiaro, l’avevo ringraziato e lui non mi aveva più rivolto la parola. Eppure ci incontravamo ogni tanto, lui procedeva a testa bassa come si conviene ai guardiani dei morti.
Come d’abitudine anche ora, tornavo con regolarità martedì, venerdì e ogni domenica prima di pranzo, il vaso del mio ragazzo splendeva sempre di fiori freschi, boccioli amaranto che si schiudevano durante la settimana. Lo chiamavo per nome, qualcuno mi sentiva e mi guardava con diffidenza, ma del resto questo tic mi aggredisce anche in casa ed è uno dei motivi per cui Melania si sente sollevata a non vivere più sotto il mio stesso tetto.
Ho scelto per Juri una tomba di marmo granuloso, anche se poi se me ne sono pentita: tra le scanalature della lastra s’insedia spesso polvere di terra, che provvedo a cacciare annaffiando la pietra con un caraffone di acqua, scortando lo spruzzo con la mano: a quello che non fa il getto, rimedia il mio indice laborioso. Ma che fatica: ora, col senno di poi, vi garantisco che è mille volte meglio una lapide liscia.
Oggi stranamente non ho ancora pronunciato il suo nome. Mi metto china col naso quasi incollato alla sua foto e ricambio il sorriso limpido di lui, denti splendenti da ragazzo, lo stesso sorriso di chi non assapora appieno l’estate, perché tanto pensa che ne arrivino altre. Sfioro l’immagine con le dita, appena passate sulla bocca per lasciarvi sopra un bacio.
«Ciao bello», gli dico con il cuore in bocca.

(Riproduzione riservata)

© Elliot edizioni

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Il Booktrailer

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Marilù Oliva - ElliotMarilù Oliva vive a Bologna. Insegna lettere alle superiori e scrive. Ha pubblicato racconti per il web e testi di saggistica, l’ultimo è uno studio sulle correlazioni tra la vita e le opere del Nobel colombiano Gabriel García Márquez: Cent’anni di Márquez. Cent’anni di mondo (CLUEB, 2010). Collabora con diverse riviste letterarie, tra cui Carmilla, Thriller Magazine, Sugarpulp. Mala Suerte completa la trilogia salsera di Marilù Oliva, dopo ¡Tú la pagarás! (Elliot 2011), finalista al Premio Scerbanenco, e Fuego (Elliot 2011).

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